Commedia cantarsi nella lingua dei Titani
dal V libro de “I credenti nella rima”

L’autorialità, cari lettori, l’autorialità è il primo degli inganni. Chi ha scritto questa Commedia cantarsi nella lingua dei Titani? E chi sono “I credenti nella rima”? Persino Immanuel J. Wolfgenstein, o il Filologo, claudica e non sa dire.

Ci sono poche cose certe, e le cose certe valgono poco. Di certo c’è un mito (Arianna e Teseo, il Minotauro, Dioniso e Egeo). Di certo c’è una stratificazione del mito (ognuno vuole la sua parte, a modo suo). Il Filologo ci dice che tutto questo potrebbe risalire a una tarda variante del mito, bizantina, dove la componente sessuale gioca su fronti inaspettati: il rifiuto di Arianna da parte di Teseo, la sua infatuazione per il Minotauro. E il desiderio unico e animale di questo che si scontra con l’attitudine tetica e costruttiva di un Teseo per cui l’amore (e la fondazione) è un’azione ripetuta e costante, eterna. Un Teseo che promette al Minotauro la libertà in cambio della sua verga eterna – rinunciando, per questo, alla paternità e all’eternità con Arianna. E un’Arianna che si dà al dio del labirinto negandosi la maternità, e con questo fa della sua rinuncia la fine dell’Amazzone e della grande Madre – per farsi costellazione, stella distante.

Poi l’inganno, signore. L’inganno reciproco o triangolare. Il Filologo suggerisce al riguardo che non c’è variante del mito che tenga – che quel succo è la base zuccherina di ogni parola proferita.

Di certo c’è un’interpolazione stratificata e successiva – un testo i cui elementi spaziano dalla tardo-grecità a certa essenziale coralità (poi tremendamente moderna, dopo esser stata così arcaica). Sincretismi, signori e signore. Un’ipotesi suggestiva riconduce la compilazione finale del testo a circoli barocchi anti-bembiani (non solo un ritorno alle forme dialettali e una rivolta anti-Petrarchesca, ma un’apertura plurale alle lingue: dal greco al latino, dal volgare italico all’ispanico). Sincretismi, lettrici e lettori.

C’è dunque una poesia complessa e semplice al tempo, ermetica ed evidente. Una poesia senza tempo. Per questo, il nostro Filologo s’è deciso a fornirci un’edizione critica del testo quanto più aperta e comprensiva. Tuttavia, data l’enorme mole di lavoro e la fiducia che il Filologo, contro ogni consuetudine, versa nei nostri confronti, i suoi editori, ne riportiamo una versione fondata sulla pergamena (ah, il gusto per l’antiquariato!) scritta di suo pugno – pergamena in cui si esplica a fondo il problema dell’interpretazione a tutti i costi, quale paradigma della critica, che si fa vanto di comprendere l’opera più a fondo di chi l’ha scritta. Eppure, come sostiene il Filologo in una nota, l’interpretazione non disvela il mistero, come questi critici vogliono – e non lo comprende, soltanto ne preannuncia l’imminenza.

Un’ultima nota sulla musica. La versione musicata della Commedia, ritrovata per caso su nastro in un cesso del Liceo Classico “Enrico Perito di Eboli” (sotterrata in montagne di escrementi rinsecchiti), è di dubbia paternità. Anche qui, le influenze si mischiano e depistano. Il Filologo declina commenti al riguardo e allora noi, figli dell’universale come mai nessun altro, ve la rendiamo così com’è. Le cose alle cose.

*   *   *

Arianna: ‘Vevo[1] voglia di maternità
‘vevo voglia di maternità-de yeah
E quest’ile[2] testimonierà
L’ingiustizia della parità

Piacque toti[3] meo fratello
Lo chiamavi Taurandello
Ed a me che sua sorello[4]
Restringevasi bacello

Vuoi riempirmi questa ovarità
Vuoi riempirmi questa ovarità-de yeah
Dov’è andata la teserietà[5]
Teseandato[6] consanguineità

Minotauro: D’ire fore al labirinto
†Tuoque[7] sere[8] altocinto
Promissest in loco finto
Ed i’n’conobbi che l’istinto

Arianna: Quella tua verga bestialità
Quella tua verga bestialità-de yeah
Mi ha privato della libertà
Di una nananà[9] maternità

Teseo: M’ideai inganno sin[10] fardello
Perché questo questo quello quello[11]
Or non mi resta ch’un garzello[12]
A sollare[13] buco cum pesello

Negotiavi[14] mea paternità
Negotiavi mea paternità-de yeah
Ma ‘un[15] tuvi[16] quella duplità[17]
‘nci[18] †a[19] sembiante di volgarità

Arianna: Questa più del mare rocca düra
Et que pietate fassi impüra
Quivi lanzo tibi la iattüra
Non s’addürerà la verga oscüra

Abortisco la maternità
Abortisco la maternità-de yeah
Nullo seme me l’inciapperà
E per sempre bella di papà

Minotauro: Visi della piazza fora[20]
Lumi soni e della sora
Le labioni[21] visi ancora
Ed il filo rosso mora

Ed il filo della sorte
Tal crudel ben più che morte[22]
All’altocinto dabbi[23] norte[24]
Mi la speranza de le porte

Teseo: Quell’inganno bisensualità[25]
Quell’inganno bisensualità-de yeah
Di un amore amato per metà
Disvelare infine verità

Minotauro: Il mio amore ha una finalità
Il mio amore ha una finalità-de yeah
Una sola volta compierà
Omnia ταũτα mancha d’empietà[26]

Arianna: Il tuo εδονή[27] quanta costanza
Mi negasti gravidanza
Al mi frero[28] liberanza
Αυτω tibi[29] costumanza

Et or qui solapensaque[30]
Et intorno tota l’acque
Et miriadi stelle vacue
Et silenzio sine loque

Coro: L’arrivata del dio mante
Risolvette tutte quante
Le quistioni dell’orante
E si mise di davante:

Dioniso: (a Arianna) Tanata[31], sposoti.
Tanata, prendoti eppure filio non doti, tanata.
In costella[zio] foti, fema Tanata…
(a Teseo) negoti returno tibi
e moroti tu patre, Teseo, Te se o…
(a Arianna) amoti, soti eterni labirinti toti, siempre!

Arianna: Ora soti costellarità
Ora soti costellarità-de yeah
Labi labi labi labirà[32]
Eppur mavi[33] maternalità

Deo mante tu mi nunzierà
Deo mante tu mi nunzierà-de yeah
Dopo tutta la mia ovarità
Non val certo questa minchia qua.


[1] ‘vevo: Elisione della a iniziale per sragioni metriche.

[2] Ile: Isola, provenzalismo.

[3] Toti: Dativo: a te.

[4] Sorello: Genere neutro, probabilmente di derivazione tardo-greca.

[5] Teserietà: Craxi. Tua serietà, con riferimento a Teseo.

[6] Teseandato: Craxi. Teseo andato, ablativo assoluto medievale.

[7] Tuoque: Segnato con la crux desperationis, poiché non potendo ricostruire la forma originaria, di cui non si hanno tracce, la tradizione manoscritta ha interpolato con una forma che metricamente rispettasse il ritmo e contenesse – in qualche e quale modo! – un rimando all’eroe ateniese.

[8] Sere: Signore.

[9] Nananà: Sragioni metriche. Sic est!

[10] Sin: Forma abbrevia per sine. Senza.

[11] Perché questo questo quello quello: In entrambi le coppie di dimostrativi si sottintende il verbo essere. La costruzione ricalca l’essenzialità greca e la necessità formale di non disorientare il lettore/ascoltatore. Per quanto riguarda il significato, il verso simboleggia l’evidenza del fatto contro il discorso dimostrativo. Esso è quindi un’antinomia, laddove utilizza ben quattro pronomi per sollecitare il loro inverso semantico.

[12] Garzello: Ragazzino. Forma colloquiale aretina.

[13] Sollare: Forma abbreviata per sollazzare.

[14] Negotiavi: Latinismo puro. Perfetto del verbo negotio: stratificatosi nei secoli, assume un valore morale di vendita degli affetti e delle conseguenze calcolabili in disprezzo, che un tale ethos porta con sé. – Quanta infima disonestà in questa idiosincrasia che si chiama amore!

[15] ‘un: Elisione per non, originaria della lirica monodica siciliana.

[16] Tuvi: Valore a metà tra mezzo e compagnia. Vale: con te/per te. Si tratta, inoltre, di un hapax, dato che né negli Scoli sopra citati e neppure in alcuna altra pagina del V libro de “I credenti nella rima” si ritrova questa forma. [Ripensaci, non è niente vero: ebbi, verbo avere, cristo e la merda]

[17] Duplità: Contrazione per duplicità. Parola di ambiente curtense.

[18] ‘nci: Elisione per quinci, quindi.

[19] †a: Segnato con la crux desperationis, dopo che negli Scoli non si è trovata memoria alcuna di commento. Il Filologo, però, che si innervosisce se vede la croce, ha ipotizzato che possa essere una semplicissima terza persona singolare del verbo avere, in lingua francese. Ma la semplicità, viene da dire a noi editori – e chi siamo noi! Come ci permettiamo! –, è più esaustiva talvolta della ricerca forzata, che altro non fa che diminuire l’inventio poetica.

[20] Fora: Forma dialettale in uso nella poesia Comico-parodica del Duecento, presente in più dialetti dell’Italia centrale, tra Firenze e Bologna.

[21] Labioni: Le grandi labbra – della vagina

[22] Tal crudel ben più che morte: Ottonario dantesco, una vera rarità!

[23] Dabbi: Forma dell’imperfetto latino del verbo dare. Si evince ancora il suffisso in –b, qui con il raddoppiamento della labiale. La desinenza in –i è forse una forma barbarica, di cui però si hanno scarse conoscenze. Il Filologo stesso su questa non si esprime.

[24] Norte: Forma dell’Italia centro-meridionale di probabile origine barbarica. Tesi sostenuta sulla desinenza in –te. Il Filologo tace anche su questa, ma da suoi editori presumiamo che rida.

[25] Bisensualità: Neologismo. Si potrebbe obiettare contro il giudizio del nostro Filologo che un neologismo non può risalire a più di mille anni fa, ma appunto si potrebbe, non è detto che si deve. Il significato della parola allude all’impossibilità che il Minotauro conceda per due volte il suo amore, da qui l’inganno e il contro-inganno di Teseo.

[26] Omnia ταũτα mancha d’empietà: Il verso più complesso dell’intera Commedia. Composto da quattro parole di nazionalità diversa: latina, greca antica, spagnola, italiana. Andiamo con ordine.

  1. Omnia: Tutte le cose, ha valore di complemento oggetto. Posto all’inizio del verso al fine di dare rilievo maggiore alla parola, che qui assume il senso di “tutto intero”. Forse l’autore (o gli autori) ricordavano l’incipit del “De bello gallico” di Giulio Cesare: Gallia est omnis divisa in partes tres.
  2. ταũτα: traslitterato dal greco in tauta, pronome dimostrativo. È il soggetto plurale in genere neutro. Va tradotto, tuttavia, al singolare: questo, ciò. (Vedi 3.)
  3. mancha: Dallo spagnolo latinoamericano, sporca. Il verbo al singolare rispetta la sintassi greca: un soggetto neutro plurale infatti ha di norma valore collettivo, soprattutto quando questo è un pronome dimostrativo.
  4. d’empietà: di empietà. – Accademia della Crusca? in fondo a destra.

Il verso dunque andrebbe così inteso (per il principio di interpretazione, vedi introduzione): questo sporca tutto d’empietà. Il significato è ambiguo: da un lato sembrerebbe voler alludere a un principio morale, per cui concedersi due volte all’amante è segno d’empietà; oppure l’atto empio è il mancato mantenimento della promessa da parte di Teseo, poiché a parlare è in questo ritornello il Minotauro. [Ma dove? Mancha sostantivo, cretino!, verbo essere sottinteso come ogni volta che uno apre la bocca: “ogni cosa [è] un segno/macchia d’empietà].

[27] Εδονή: Traslitterato dal greco edonè, il piacere.

[28] Al mi frero: A mio fratello. E il Filologo ammonisce: anche il fiorentino è un dialetto!

[29] Αυτω tibi: Anche qui è evidente la stratificazione, che da origine al plurilinguismo.

  1. Αυτω: Traslitterato dal greco autò, dativo. Stesso, proprio.
  2. tibi: a te.

Traduzione: a te stesso.

[30] Solapensaque: Forma ricalcata sul petrarchesco “solo e pensoso”, con l’enclitica latina –que e la fusione in unica parola del binomio del poeta aretino.

[31] Tanata: mortale.

 

                                               Mortale, ti sposo,

                                               Mortale, ti faccio mia eppure non ti do un figlio, Mortale.

                                               Ti muto in costellazione, femmina Mortale…

                                               A te nego il ritorno, a te,

                                               e uccido tuo padre, Teseo, Te se o…

                                               Ti amo, sono il tuo eterno labirinto, per sempre!

[32] Labi labi labi labirà: Il verso è in evidente stato onomatopeico.

[33] Mavi: mai. L’esistenza della v: se la leggete c’è, se non la leggete, non c’è.