[Praga, 12 luglio 1920]
Lunedì

Sono stati due giorni a dir poco orrendi.[1] Ma adesso capisco che non è stata affatto colpa tua, un qualche diavolo malefico ha trattenuto tutte le tue lettere da giovedì in poi. Venerdì ho ricevuto soltanto il tuo telegramma, sabato niente, domenica niente, oggi quattro lettere, di giovedì, venerdì e sabato. Sono troppo stanco per scrivere come si deve, troppo stanco di queste quattro lettere, della montagna di disperazione, dolore, amore e amore ricambiato per scoprire che cos’è rimasto per me, si diventa così egoisti quando si è stanchi, dopo essersi consumati per due notti e per due giorni in pensieri spaventosissimi. Ciononostante – e questo lo devo di nuovo alla tua forza rivitalizzante, madre Milena – di fatto sono meno logorato di quanto lo sia stato per sette anni interi, escluso l’anno nel villaggio[2].
Tuttavia non riesco ancora a capire perché non sia arrivata alcuna risposta al mio telegramma urgente di giovedì sera. Poi ho telegrafato alla signora Kohler, di nuovo nessuna risposta. Non temere che io scriva a tuo marito, non ne ho neanche tanta voglia. Ho soltanto voglia di partire per Vienna, ma non farò neanche questo, anche se non ci fossero impedimenti come il tuo rifiuto per il mio viaggio, le difficoltà legate al passaporto, l’ufficio, la tosse, la stanchezza e il matrimonio di mia sorella (giovedì). Comunque, sarebbe meglio partire che passare pomeriggi come quelli di sabato e domenica. Sabato: ho passeggiato un po’ con lo zio, un po’ con Max e poi due ore in ufficio a chiedere della posta. Di sera è stato meglio, sono andato da Laurin, non aveva nessuna brutta notizia sul tuo conto, ho menzionato la tua lettera che mi ha reso felice, ho telefonato a Kisch della Neue Freie Presse[3], neanche lui sapeva niente ma avrebbe voluto chiedere tue informazioni – non a tuo marito – e telefonare di nuovo stasera. Per cui sono rimasto seduto da Laurin, sentivo il tuo nome sempre più spesso e gliene ero grato. Comunque parlare con lui non è né facile né piacevole. È come un bambino, un bambino non molto sveglio,

Sul margine sinistro della seconda pagina della lettera: Hai frainteso il «livello», non intendevo quello; come che sia.

si vanta allo stesso modo, dice bugie, fa la commedia e uno si sente esageratamente furbo e disgustosamente comico se rimane seduto tranquillo lì ad ascoltare. Soprattutto perché non solo non è un bambino ma, in quanto a bontà, partecipazione e prontezza nell’aiutare, è un uomo adulto grande e serio. Da questo suo doppio carattere non se ne esce e, se non avessi continuato a dirmi: «Un’altra volta, voglio sentire il tuo nome un’altra volta», me ne sarei andato molto tempo prima. Mi ha anche raccontato del suo matrimonio con lo stesso tono.
Domenica è stato peggio. Sinceramente volevo andare al cimitero e sarebbe stata la cosa giusta, ma per tutta la mattinata sono rimasto a letto e di pomeriggio sono dovuto andare dai suoceri di mia sorella dai quali non ero ancora stato. Così si sono fatte le sei. Di nuovo in istituto a chiedere di un telegramma. Niente. E ora? Ho controllato il programma del teatro, perché Jílovský aveva detto, di fretta e di sfuggita, che Staša sarebbe andata a vedere un’opera di Wagner[4]. Adesso leggo che lo spettacolo comincia alle sei, e alle sei abbiamo l’appuntamento. Male. Vado a vedere la casa in Obstgasse. È silenziosa, nessuno entra e nessuno esce, si aspetta un po’ sul lato della casa, poi sul lato opposto, niente, tali case sono molto

Sul margine destro della terza pagina della lettera: Grazie per le foto, ma Jarmila non ti somiglia, al massimo sotto una certa luce, un certo chiarore che si posa sul suo viso come sul tuo.

più sagge delle persone che le fissano. E ora? Nella casa-lucerna dove una volta c’era un’esposizione del dobré dílo[5]. Non c’è più. E allora forse si va da Staša, cosa facilmente fattibile dato che in questo momento non è sicuramente a casa. Una casa bella e silenziosa con un giardinetto dietro. Davanti alla porta d’ingresso c’è un lucchetto, quindi si può suonare impuniti. Nel frattempo una piccola conversazione con la portinaia al solo scopo di pronunciare «Libešic» e «Jílovský», purtroppo non c’è stato modo di dire «Milena». E ora? Ora arriva la parte più buffa. Vado al Café Arco in cui non vado da parecchi anni per cercare qualcuno che ti conosca. Per fortuna non c’era nessuno e sono potuto andar via subito. Mai più domeniche del genere, Milena!

F

Sul margine sinistro dell’ultima pagina della lettera: Ieri non sono riuscito a scrivere, era tutto troppo buio per me a Vienna.

 


[1] Tradotto da F. Kafka, Briefe an Milena, erweiterte und neu geordnete Ausgabe, herausgegeben von Jürgen Born und Michael Müller, Frankfurt am Main: Fischer Taschenbuch Verlag, 2015¹⁵.

[2]Kafka si riferisce al suo periodo di soggiorno a Zürau, tra il 1917 e il 1918.

[3]Paul Kisch (1883–1944), compagno di classe di Kafka.

[4]Il Sigfrido, stando al «Prager Tagblatt» dell’11 luglio 1920, p. 9.

[5]L’opera buona. Esposizione della serie di libri edita congiuntamente da Josef Florian e Staša Jílovská, nel passaggio-lucerna tra Vodičkova/Wassergasse e Štěpánská/Stefansgasse.