I. Nomadi

I nomadi del Farharhar credono che non esistano cose definitive e fisse, perché le aborrono, e confidano fermamente nell’oblio. Vivono infatti nell’eterna ripetizione del dissimile, in una sequenza illimitata di Cicli incomparabili. Il loro Sovrano siede perennemente al centro esatto della Capitale. Quando muore uno, muore l’altra. Il suo corpo viene allora bruciato, la Capitale distrutta e abbandonata. Una nuova Capitale è fondata altrove, attorno al nuovo Sovrano, perché sia centro e cominciamento del Ciclo successivo. Dall’istante convenzionale in cui avviene la rifondazione, quando il nuovo Sovrano si accomoda sul seggio centrale al suono grave dei corni, in conformità delle loro credenze i nomadi del Farharhar reputano doveroso perdere qualsiasi memoria del vecchio Sovrano, della vecchia Capitale e del vecchio Ciclo, cosa che precipita i loro cartografi e storici in un gorgo di profonda prostrazione.

II. Uno storico

Poco prima che l’infermo Sovrano passasse a miglior vita, quando il suo lavoro di decenni e la sua memoria sarebbero stati cancellati per sempre, Mencidhor, biografo di corte, il più insigne degli storici tra i nomadi del Farharhar, reagì alla prostrazione in lui generata dall’evento luttuoso con la rivolta. Riunì allora in concilio straordinario i saggi momentanei e disse loro che dimenticare tutto, alla fine di ogni Ciclo, rendeva e avrebbe reso ogni Ciclo uguale agli altri. Perché i Cicli erano e sarebbero stati comparabili, e nella comparazione uguali negli effetti, dunque uguali grosso modo in tutto: l’oblio era e sarebbe stato norma, e in quanto tale definitivo e fisso, cioè intollerabile. I saggi, dopo un’iniziale e accesa protesta, dopo veementi accuse di eresia, alle quali Mencidhor rispose saldo e con fermezza, ci pensarono per bene, e precipitarono tutti in un gorgo di profonda prostrazione.

III. Il Sovrano

Il concilio straordinario indetto nel Farharhar dal biografo di corte Mencidhor, reagendo alla profonda prostrazione, deliberò unanime su un punto: il cambiamento avrebbe smesso di essere norma e necessità. Non vi fu tuttavia accordo sulle procedure da adottare nell’applicazione di quanto deliberato. Così, sotto consiglio dell’avveduto Mencidhor, si decise di discuterne con la dovuta calma, e rimandare la decisione almeno fino a quando il Sovrano sarebbe infine spirato. Sotto promessa di sontuosi compensi, furono perciò chiamati a corte i medici migliori dei regni esterni, per offrire consulto ai cerusici del Farharhar: primo imperativo era ritardare il più possibile la morte del Sovrano, fintantoché i saggi momentanei avrebbero discusso sul da farsi. E allora, per molti, moltissimi anni, la Capitale restò al suo posto; gli storici e i cartografi, Mencidhor per primo, proseguirono soddisfatti nel loro lavoro; e il Sovrano, grazie agli unguenti e ai salassi dei medici dei regni esterni, a rari rimedi costosi e a continue trasfusioni di sangue pulito, sopravvisse inerte, prostrato nel suo letto, vegetando come un batterio nel ghiaccio eterno.