Le storie di Jerzy Kosinski sono superfici di acciaio riflettente, e Flipper non fa eccezione: da questo romanzo proviene un vago calore, per quanto raccontato con un distacco chirurgico, e una timida partecipazione alle vicende emotive dei personaggi, anche in questo caso (come già accade in Oltre il giardino, L’uccello dipinto, Passi) divisi tra una esistenza di superficie e una realtà interiore con cui si devono confrontare.

La musica non ha esigenze. I compositori sì.

Flipper è incentrato sui giochi di relazione tra quattro personaggi: il compositore decaduto e rassegnato Domostroy, Goddard, un musicista famosissimo che non appare mai in pubblico e di cui nessuno conosce l’identità, la pianista Donna e Andrea, una donna che assume Domostroy per scoprire l’identità di Goddard.

Se la musica di Goddard nasce da un profondo bisogno di esprimersi, quella di Domostroy deriva invece da una ricerca della perfezione; se il primo si annulla attraverso la sua arte traendone una libertà illimitata, nonché la possibilità di darsi al mondo senza filtri e senza compromettere la sua vita privata, il secondo fa aderire uomo e compositore, finendo per vivere, paradossalmente, la sua arte e la sua vita in modo gelido e sempre autovalutativo. È attraverso la musica che si crea un rapporto quasi intimo tra Goddard e Domostroy: i due intuiscono che c’è, in loro, un qualcosa di più grande e difficilmente spiegabile.
Donna e Andrea si rapportano con gli uomini in maniera speculare: una cerca di conciliare il talento musicale con le pulsioni torbide, l’altra tende alla sovraesposizione (anche sessuale), restando però inconoscibile.

Se anche lui, come Goddard, avesse deciso, allora, di nascondersi, sfuggire alla pubblicità e vivere la sua vita in disparte, da recluso, oppure travestito? Lo avrebbe fatto per salvare la sua musica, oppure, ammansendo i suoi nemici e detrattori, per salvare se stesso dalla notorietà e dal pubblico scandalo?

Sembra che, secondo Kosinski, essere sé stessi sia possibile solo nascondendosi agli occhi degli altri, senza mascherarsi ma scomparendo, negandosi, procedendo per sottrazione; anche di fronte ai loro pensieri, i quattro protagonisti si scarnificano.
Lo scrittore polacco ci suggerisce che è necessario trovare un modo per far coincidere ciò che si è con ciò che si fa: l’identità è un ostacolo con cui è necessario fare i conti. Tutto ciò che contorna l’azione creativa è limitante, costrittivo, se non addirittura soffocante; il creare non è un trastullo, e neanche una vocazione, ma un’esigenza; non un qualcosa che dà gioia, e neanche un movimento che nasce dal dolore, ma un qualcosa che è e basta; e questa visione si impone a tal punto che lo sviluppo della trama appare quasi come una forzatura, un innesto brutale, insoddisfacente e incompleto, per quanto necessario.

Finora, egli aveva sempre scoperto se stesso attraverso le proprie reazioni viscerali: e tali reazioni il più delle volte lo stupivano. Ora, per la prima volta, si preoccupava di ricavare una verità morale da se stesso.

Kosinski si conferma con Flipper un autore radicale, etico e amorale, affamato di assolutezza, asciutto fino alla secchezza; i suoi personaggi rimandano al lettore un vuoto affascinante, insondabile e liberatorio.

Jerzy Kosinski
Flipper (1982)
Trad. it. di Pier Francesco Paolini
Milano, Gruppo editoriale Fabbri, 1983
pp. 274