Se questa piattaforma fosse piuttosto lo spazio rinomato di un’importante supplemento culturale – cosa che in Italia non esiste, si ragiona doppiamente per assurdo – uno tenderebbe a giudicare Contronatura di Massimiliano Parente in base alle linee editoriali – santificando o gettando alle fiamme; il libro, in questo senso, è tentatore – o tentando l’utopia dell’imparzialità.
Ecco, se uno prendesse la seconda delle due vie, direbbe che Parente si piazza, di forza ed esplicitamente, nella tradizione modernista (Beckett e Joyce, il monologo interiore è tutto; e, per quantità di citazioni ed espressa volontà dell’autore più che per parentela naturale, Proust). Che si muove, inoltre, nel territorio dell’autofiction estrema, laddove non solo il nome dell’autore ma le sue opere precedenti ed i luoghi e i personaggi di quelle partecipano al gioco non come comparse ma al contrario come elementi fondanti e pregressi; e della metaletteratura, poichè scrittura e letteratura costituiscono elemento tematico della fiction. Che Parente viene, filosoficamente, da Leopardi e Nietzche, da cui il titolo ed il leitmotiv del libro, ed esteticamente da Duchamp e le avanguardie, da cui il gusto a oltranza per lo scandalo. Una voce neutrale con un minimo di palle sottolineerebbe la dimensione pornografica che avvolge il tutto come membrana cellulare, e filtra la rappresentazione della società dello spettacolo radicallizzandone eccessi e contraddizioni.
Un uomo paradossale, le sue ossessioni e le sue scelte estreme nel mezzo del circo della televisione e della cultura generalista in un’Italia prossima a venire e al tempo vicinissima. Si può dire, si direbbe, si tratti di un libro controverso, rivoltante e bellissimo, storto, zoppo eppure illuminante.

Noi pero qua chez Crapula non siamo nessuno, anzi siamo nessuno, per questo ci permettiamo arditezze che altri nemmeno nei sogni più spinti.
Cosa vuole Parente?
Il tono della voce narrante di Contronatura ha precedenti di rilievo, Ecce homo (Nietzsche, non Pilato) su tutti. Schiaffeggiando il lettore Parente vuole indottrinarlo (senza zucchero per coprire l’amaro della medicina, à la Lucrezio, nè burro francese a illanguidire il buco del culo). “O me o niente”, dice. E il lettore ottimo, senza paura dell’amaro nè del cazzo in culo, accetta e ringrazia – così siamo fatti noi qua chez Crapula. L’indottrinamento viene, passo passo, attraverso lo scandalo, l’atroce e il terribile (eccoci, monsieur Artaud); assolutamente meritorie di nota la cacata in bocca, gli schizzi feticisti nei cocktail delle famose, le torture e le imboccate padre-figlia.
Ma chi esattamente vuole inculare Parente?
La retorica de “il romanzo è finito, la letteratura e la scrittura sono finiti” non prende, non esiste, semplicemente è falsa. La letteratura non finisce mai – semmai la tradizione cui Parente pretende d’iscriversi è finita; di tutto bisogna farsi una ragione. Ed ancora, l’assioma filosofico del libro (il compimento dell’uomo come animale razionale è l’estinzione) è una versione per non udenti del labirinto nicciano. A chi si rivolge dunque Parente quando punta il cazzo lunatico? Quando spara sulla chiesa e sulla religione ovvietà trite di secoli o quando, al colmo del pathos polemico, deve richiudere su sè stesso e giustificare le proprie posizioni nel punto liminale in cui è venuto a rinchiudersi (ancora ed ancora: circa un quarto del libro)? Uno sarebbe tentato di dire: è propio l’italiano medio, quel coglione alienato e guardone davanti alla tv, a lui Parente rivolge la verga veggente. E invece no, dico io cioè Crapula. Il destinatario di Contronatura è l’elite politico-culturale italiana, all’incirca la stessa del recente La setta dei radical chic solo più bipartisan. “Voglio scandalizzarti, incularti e confutarti, Italietta”. (In questo senso funziona pure la retorica à la Dalí “io sono un genio, un capolavoro”; prossimamente un pezzo analitico sul tema.) E il finale, moment of clarity mondano e moralistico, funziona solo se si è accettato il resto, l’assioma filosofico, come buono. Altrimenti, nel vuoto successivo alla caduta della trama (i due misteri si lasciano sciogliere presto) tale finale accade senza il trasporto mistico in cui Parente, dopo averlo inculato, vorrebbe avvolgere il lettore.

Eccoci dunque, da Crapula con burro. Un libro la cui dimensione estetico-simbolica (la pornografia assoluta, la radicalizzazione ossessiva del sesso e del potere nel contesto della città dei voyeurs e lo scrittore senza qualità che ci sbatte il cazzo contro, come albatros erotizzato) è originalissima e densa. Lo scrittore stesso però gioca continuamente a castrarla e mozzarla senza potersi frenare, come un ultimatum perentorio, una questione di vita o di morte, per giustificarsi davanti alle parole, tribunale supremo. C’è grandezza in tutto questo; ed anche, in gran parte, il suo opposto.