A trent’anni decido di prendere la patente. È tardi, lo so. La responsabile dell’iscrizione scruta il mio documento con aria sospetta, poi, stupita o schifata o entrambe le cose, me lo restituisce. “Ah, ma lei è già maggiorenne!” Probabilmente dovrei ridere, ma non mi fa ridere per niente. Pago e me ne vado. Le lezioni di teoria sono divise in quattordici incontri secondo un sistema troppo complesso da capire, per cui ogni terzo giorno del mese viene ripetuto un argomento, ma non ogni mese, un mese sì e un mese no, o era ogni tre mesi? In ogni caso non mi presento alla prima lezione e nemmeno alla seconda né alla terza perché non ho capito come funziona il sistema “di rotazione”, come lo chiama la signorina che mi telefona ogni giorno per chiedermi se andrò al prossimo incontro. Oggi ne approfitto e chiedo quand’è. Stasera alle 18. Va bene, avrei preferito uscire con Michele, ma forse è il caso di andarci. In realtà anche solo l’idea di avere tre pedali e solo due piedi mi mette l’ansia.

Vado alla prima lezione di teoria. L’insegnante è un fumatore incallito con un distacco evidente nei confronti del mondo, di sé e degli altri. Accanto a me c’è un ragazzino con i pantaloni troppo aderenti e decisamente troppo gel in testa. Tre su cinque si addormentano e vengono risvegliati da un video sugli effetti della droga sulla guida. Appassionante. Mi accorgo che la lezione è strutturata in modo tale che ogni dieci/quindici minuti parta un video al massimo del volume, data la capacità di concentrazione dei diciassettenni, pari a quella di un criceto suicida.
Finita la lezione, salgo sulla mia bici e me ne vado a casa. Senza luce, con i freni rotti. Se mi fermano ancora una volta finisco in galera. Me l’hanno promesso, forse era una minaccia, ma voglio pensare che sia una promessa. La prima volta mi fermarono perché stavo leggendo in bici, secondo loro. Ma non è che stessi proprio leggendo, stavo andando all’università e non mi ricordavo più con esattezza una citazione: presi il libro dalla borsa, lo aprii per controllare, quando arrivarono due poliziotti a cavallo. Ho il terrore dei cavalli, solo per questo mi girai e cercai di scappare. Ma i cavalli sono veloci e i poliziotti aggressivi. Secondo loro stavo leggendo in bicicletta e sapendo che non si può fare stavo scappando. Dissi che sono una studentessa e che finché lo Stato non deciderà di pagarmi decentemente per i mille lavoretti che faccio, non potrò pagare la loro stupida multa. Mi fecero qualche domanda finché non riuscirono a incastrarmi: ah, ma lei lavora in nero, quindi? Prima di ammettere altri reati decisi di pagare la multa, ma poi il poliziotto si sentì stringere il cuore, credo, vedendomi così triste, e mi fece andar via senza multa. Ormai ero in ritardo, non ero riuscita a controllare la citazione e tornai a casa.
La seconda volta che mi fermarono era per la luce e per i freni. Più o meno la stessa scena, lo stesso poliziotto che credo lentamente si sia innamorato di me, perché nemmeno quella volta mi fece la multa.
La terza era perché stavo “ascoltando musica” in bicicletta con le cuffiette. Cercai di spiegare che stavo ascoltando la Liberata e che non era musica, ma con scarsi risultati. La multa però non me la fanno mai, alla fine.

Inizio a fare qualche test. Non è molto divertente, ma mi sforzo. Scopro che sette volte su otto, quando sono in bici e qualcuno mi fa passare e io ringrazio, non dovrei ringraziare perché ho io la precedenza. È una notizia importante e ho bisogno di una pausa. Esco e vado a fare una passeggiata, a piedi, così faccio meno danni.
Scopro che la città è piena di cartelli stradali e mi gira la testa. Scopro anche che quello che pensavo fosse la colonnina dell’idrante, in realtà, è il cartello della precedenza valido solo per l’incrocio successivo. Mi sembra tutto così stupido.
Quando torno a casa decido di capirci qualcosa. Se riesco a studiare storia dell’arte riuscirò anche a prendere una stupidissima patente. Faccio una lista delle persone che conosco che hanno o non hanno la patente e li divido, per colori, tra persone che studiano, che hanno studiato e persone che lavorano, persone con scarsa capacità di astrazione e persone cretine e basta, persone ignoranti, stupide, aggressive, violente, impulsive, passive, intelligenti, simpatiche, e poi ho finito i colori. Il sistema cromatico è troppo complesso, quindi lo abbandono e ricomincio da capo, scrivendo accanto al nome un aggettivo o una breve descrizione. Le persone che stimo, culturalmente e umanamente, non hanno la patente. Tranne una. Una persona che stimo ha la patente. L’intento era quello di motivarmi e farmi capire quanto sia facile prendere la patente, se ce l’hanno tutti! Ma il risultato è molto diverso: inizio a credere che tutta quella gente lì sia diventata così stupida proprio perché ha la patente.
Mi addormento in cucina con la mia lista delle persone stupide e quando mi sveglio il telefono squilla. Rispondo, è la signorina della scuola guida che mi dice che dovrei presentarmi a lezione. Le dico che andrò stasera, dice che mi aspettano. Immagino il fumatore incallito che mi aspetta insieme alla signorina, ma io non arrivo e loro parlano di me come di qualcuno che in realtà non esiste.
Ricomincio a fare i test, non ne passo uno. Decido di imparare a memoria 1079 domande. Scopro che la macchina blu non ha mai la precedenza, quella rossa sempre e comunque. Prometto a me stessa che comprerò una macchina rossa, così da avere sempre la precedenza e non arrivare mai in ritardo. Scopro che carreggiata e corsia non sono la stessa cosa, e neppure attraversamento ferroviario e attraversamento tranviario, obbligo di dare precedenza e obbligo di fermarsi e dare precedenza, pronto soccorso e pronto intervento, attraversamento pedonale (o ciclabile) e passaggio pedonale (o ciclabile), freno a mano e freno di servizio, in prossimità e in corrispondenza. Prendo appunti.
Scopro che le domande con risposta sempre falsa contengono queste parole esatte e le imparo a memoria: differenziale, spinterogeno, trombe bitonali, luci d’ingombro, facoltativo, preferenziale, scorrimento, rimessa, autorimessa, scia, sciistici, ruote gemellate, veicoli eccezionali, bocchettone, bocchette, climatizzatore, scorta, pena pecuniaria, giudice, folle, quarta marcia, cambio sincronizzato, radiatore, tachimetro, cerchi, cerchioni, cilindri, provincia, provinciale, libretto, prefettura, P.R.A., T.I.R., 10%, commissariato, torto, ragione, maneggio, temperatura dell’olio, coppa, denso, fluido, organi di trasmissione, albero di trasmissione, candelette, corrente alternata, aumentare la pressione dei pneumatici, diminuire la pressione dei pneumatici, sistemi di distribuzione, organi di distribuzione, pompa dell’acqua di raffreddamento. Se ci sono “solo”, “mai”, “sempre” la risposta è quasi sempre falsa.
Imparo anche le risposte che sono sempre vere, quelle che contengono le parole reato, sostituisce, segnale complementare.
Scopro anche che se nella domanda compaiono due negazioni la risposta è vera.
Ripeto e ripeto le risposte, guardo l’ora e mi accorgo che anche oggi non sono andata a lezione.
Finisco le domande. Hanno un’impostazione buonista e moralista, inducono a stare sempre calmi e passivi, ad accettare le violenze, a far passare chi ha torto. Io non ci sto, mi sento molto ribelle e forse sto diventando scema come tutti quelli che hanno la patente, ma mi impunto e rispondo come voglio io, non come vogliono loro. Non passo il test, ma almeno non mi sono fatta mettere i piedi in testa. Mi chiedono che cosa farei se ci fosse un cieco che non riesce ad attraversare la strada. Una delle possibili risposte mi suggerisce di girargli attorno con la macchina suonando il clacson. Penso che siano tutti scemi, ma la cosa un po’ mi diverte e dico di sì, che lo farei. Ovviamente sto mentendo, non lo farei, ma è per vedere come reagiscono. Si arrabbiano e non passo nemmeno questo test. La signorina della scuola guida ha accesso alle mie risposte e alle mie statistiche, ora mi dispiace per il cieco e vorrei chiedergli scusa e mi vergogno.

Mi chiedo perché stia perdendo così tanto tempo per questa cosa di così poca importanza. Mi rispondo che lo faccio per la mia autonomia, per gentilezza, per poter dare il cambio quando si viaggia in due, che non si sa mai. Ma in realtà non ho mai considerato l’autonomia, così come la coerenza, un gran valore. Però, non so perché, voglio passare almeno un test. Così faccio una breve ricerca sciocca su internet su come passare l’esame della teoria. Il primo consiglio è di risolvere i quiz in “un luogo tranquillo che mi consenta una buona concentrazione”; farli “alla sera, magari dopo una giornata pesante e davanti alla TV, rischia di non essere efficace”. Mi complimento con me stessa perché non ho il televisore. Passo al secondo consiglio: “non aprire subito il libro se non sai cosa rispondere: arriva alla soluzione con il ragionamento”. Dunque dovrei avere un libro. Bene a sapersi. Il terzo è: “vai subito a vedere la spiegazione degli errori commessi e, se non la trovi, chiedi al tuo insegnate o a qualche amico”. Il mio insegnante… ormai sarà poco disponibile ad aiutarmi, dato che non vado mai da lui. Ma qualche amico si trova sempre: consulto la lista delle persone patentate e le uniche persone che vorrei chiamare non hanno la patente. Passo al prossimo preziosissimo consiglio: “se i tuoi errori riguardano sempre i soliti argomenti, studiali nuovamente”. Dovrei comprare il libro, mi sembra evidente. Lo scrivo su un post-it e lo attacco al frigo. “Se non capisci alcuni termini, segnateli su un foglio e cerca il significato”, ma allora lo vedi che è pensato per coglioni? Leggo l’ultimo consiglio: “lascia perdere i vari trucchi sulle domande trabocchetto: il tempo che impieghi per ricordarteli tutti usalo per studiare”. Che cagata. Quello è studiare. Mi sto innervosendo parecchio, quando mi imbatto nel titolo: studiare da privatista. E se lasciassi la scuola guida? Penso anche che se non passassi questo stupido esame, sarebbe la prima volta che verrei bocciata a un esame. Ed essere bocciata all’esame per la patente è molto, molto imbarazzante. La dimostrazione è proprio quella lista sul mio tavolo.
Scopro che se prendo la patente da privatista risparmio “parecchio denaro”, ma devo fare tutto da sola, “mentre se vai in una scuola guida sei facilitato dalle spiegazioni delle lezioni e dai consigli dell’insegnante”. E se andassi dall’insegnante? Così mi fornirebbe dei consigli! Mi sento molto motivata. Ma poi leggo che tutto dipende da me e dalla mia capacità di organizzazione e costanza nello studio. Ora mi sembrerebbe una sconfitta andare dall’insegnante, sarebbe come ammettere di non essere in grado di studiare quattro scemate da sola. Decido di abbandonare la scuola e di dimostrare al mondo intero che sono capace di studiare da sola.

Quelli della scuola guida mi chiamano. Vedo il numero sul display. Io non rispondo. Sanno dove abito. Mi stanno controllando. Forse hanno avvisato un’organizzazione famosa per tutelare i ciechi dalla mia cattiveria. Abbasso le tapparelle e mi nascondo sotto il letto. Mi sento molto stupida, ma so che mi stanno osservando. Per i casi di emergenza ho un libro di Pastoreau, una luce per leggere, due bottiglie di acqua e due pacchetti di cracker. Resisterò qui qualche giorno, poi si vedrà.