Io sono una di quelle persone che quando legge un giallo, o un noir o (più di rado) un thriller, non è minimamente interessata a capire chi è il colpevole. Quello che mi interessa è il movente. Detesto le storie con i serial killer psicopatici perché il più delle volte sono una banalizzazione del male[i]. Tanto più che ritengo giallo, thriller e noir generi dotati di una forte connotazione filosofica, focalizzati su un percorso che ci riguarda tutti: la ricerca della verità. Ma questa verità deve essere una verità oggettiva, non negoziabile e non discutibile, una verità ferrea, non importa quanto dolorosa; una verità che non rifugga il male, una verità che sia una base, per il protagonista e per il lettore, su cui riformulare la propria esistenza.

 I nostri genitori ci hanno regalato quattro scenari molto istruttivi. Primo: mamma e papà giovani e felici, i bambini che si godono il giardino dell’eden; secondo: papà si trova un’altra donna e sparisce con lei, mamma dà i numeri, i bambini perdono l’eden; terzo: papà ha un ripensamento e torna a casa, i figli cercano di rientrare nel paradiso terrestre, mamma e papà dimostrano quotidianamente che è uno sforzo inutile; quarto: i bambini scoprono che l’eden non è mai esistito e bisogna accontentarsi dell’inferno.

Non so se Lacci sia un dramma farsesco familiare travestito da thriller o viceversa, ma di sicuro è centrale il tema di un’indagine (anzi, di più indagini che si intersecano) e la tensione livorosa che accompagna la ricerca del colpevole, un criminale che si è macchiato di quattro vite rovinate; è un’indagine spinosa, nella quale investigatori e sospetti coincidono, in cui tutti mentono, a se stessi o agli altri, in cui ognuno presenta la propria versione dei fatti, dividendosi tra chi cerca una condanna implacabile e chi, riconoscendosi responsabile, invoca la clemenza della corte. Ma quello che i protagonisti di Starnone davvero cercano, almeno per tre quarti del romanzo, è, ribadisco, un colpevole, non la verità, perché è la cosa più facile, la strada meno profonda da percorrere, quella che intacca in maniera meno traumatica un fragilissimo equilibrio familiare; ma questo solo in apparenza, perché i lacci fanno presto a tramutarsi da simbolo di un profondo legame affettivo a strumenti di costrizione e talvolta di tortura, dai quali non ci si libera mai del tutto, stretti come siamo dal rancore e dal desiderio di rivalsa.

Dalla crisi di tanti anni fa abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci taciamo. Ha funzionato. Ciò che Vanda dice o fa è sempre il segnale di ciò che nasconde. E il mio continuo consentire cela che da decenni non c’è niente, assolutamente niente, su cui abbiamo sentimenti in comune.

Non è la prima volta che la letteratura  affronta il tema del sacrificio di ciò che (si) è in nome di ciò che (si) dovrebbe essere, e di come la famiglia, che dovrebbe essere accogliente e solidale, per l’individuo diventi il più crudele carnefice, ma Starnone non solo innesta in questa traccia una perfidia carica di compassione e umanità, soprattutto crea un’ansia da movente che è la vera forza trainante del romanzo: capire il perché delle cose, la ricerca della verità, diventa fondamentale, se non per i protagonisti, tutti presi dall’imbastire false illusioni e meschine fughe (per lo più da se stessi) e vendette, per i lettori, che si trovano a districarsi in un’inchiesta aggrovigliata, claustrofobica e coinvolgente, in cui diventa impossibile ergersi a giudici.

Domenico Starnone
Lacci (2014)
Torino, Einaudi, 2014
pp. 133



[i] Ci sono ovviamente eccezioni degne di nota: la Mika Isabelle Huppert in Grazie per la cioccolata, ad esempio, è l’incarnazione di un male quasi metafisico, che distrugge perché non riesce a fare altro, oppure c’è l’Hannibal Lecter televisivo, che è un vuoto estetico interessante, ma nel complesso trovo l’assassino psicopatico una soluzione noiosa. Certo, se la ricerca dell’assassino è elemento secondario rispetto alla trama (mi viene in mente il thriller Seduzione Pericolosa, dove l’indagine, per quanto interessante, è solo una spinta che il protagonista coglie per affrontare i suoi personalissimi demoni) allora il discorso cambia, e si fa molto più interessante. Peccato che accada raramente.