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L’americano di Massimiliano Virgilio racconta un conflittuale legame lungo trent’anni tra due ragazzi diversissimi (Leo e Marcello: uno figlio di un camorrista, l’altro di un banchiere deciso a lasciarsi il passato alle spalle). Tutto ruota attorno a un’epifania mostrata nella sua cruda assolutezza già nelle prime pagine e solo più avanti contestualizzata all’interno delle vite dei protagonisti. Essa illumina la vicenda che l’ha preceduta e rappresenta uno di quei momenti di rivelazione di sé capaci di toccare nel profondo chi legge, solleticando corde intime, quasi nascoste. Tuttavia, L’americano non scivola mai nella parabola, o nella storia-con-morale, ma conserva un certo sapore antico e misterioso, e un respiro di una certa grandezza.

Adagiò il corpo nella buca e lo ricoprì in modo che nulla sembrasse diverso. Si pulì le mani. Raccontaglielo, sopravvivi e raccontaglielo. Un sorriso gli attraversò il volto. Per un attimo i suoi occhi blu spezzarono l’uniforme muro di tenebre che avvolgeva la vallata, come una scarica elettrica di cui il suo corpo rappresentava un passaggio, l’esclusiva trasmissione di un’energia che arrivava da lontano e ancor più lontano sarebbe andata. Si sentiva felice.
Per una volta era stato lui a realizzare una magia: aveva seppellito qualcosa per portare alla luce tutto il resto.

Massimiliano Virgilio costruisce un romanzo dall’ossatura perfetta e dalle simmetrie impeccabili, e racconta la sua storia con una delicatezza brutale, straripante di un vigore etico che si sposa a una compassione rispettosa e profonda; dotato di voce distaccata e calda, comprensiva e carica di vita, è la storia di tentativi di fuga frustrati da una forza centripeta arcaica e implacabile: quella del sangue, della terra, delle viscere, degli affetti. Leo e  Marcello in primis, ma anche gli altri personaggi, si confrontano con il senso di smarrimento che deriva dal fuggire una situazione senza conoscerla, seguendone le regole senza capirle, rifiutandola o accettandola senza cognizione di causa.

E se Marcello (e con lui suo padre Eduardo) impara che la fuga scriteriata non può portare ad altro che a una vita in cui le ascese si rivelano fittizie e le cadute devastanti, Leo imparerà a scavare (in senso proprio e figurato), fino a capire che l’atto di nascondere e quello di rivelare nascono dallo stesso movimento.

Significa che se non ti metti a disposizione della vita, la vita non si occuperà di te.
Significa che solo chi ama qualcuno a sua volta è riamato.
Significa che per sopravvivere bisogna rischiare tutto.
Se non cerchi, non sarai trovato.
[…]
Tutto a un tratto, al cospetto dell’uomo che gli aveva distrutto la vita, l’americano aveva scelto di mostrarsi senza paura, da incosciente pronto a morire, scegliendo l’unico modo possibile per salvarsi.
Trattare senza trattare.
Chiedere per farsi dare.
Cercare per essere trovato.

La personalità non è altro che il modo che abbiamo di rapportarci con ciò che ci circonda e con la vita, la consapevolezza precisa e attenta di cosa siamo e perché lo siamo, la conoscenza delle leggi che ci hanno generato e formato e la nostra presa di posizione nei loro confronti; L’americano rappresenta il formarsi dell’identità mostrando il processo come un percorso accidentato e impervio, mai definitivo, ma necessario per vivere una vita che sia degna di essere vissuta. In questo processo, se il dolore è inevitabile, la chiarezza diventa una necessità ineludibile, per quanto amara e penosa, un qualcosa a cui bisogna accedere per muoversi con reale libertà e spezzare quel meccanismo di azione e reazione che chiamiamo destino (e che Leo chiama magia) che ogni giorno ci mangia l’esistenza.
E smettere così di sentirci persi e indifesi in quel mare magnum che è la nostra vita.

Massimiliano Virgilio
L’americano
Milano, Rizzoli, 2017
pp. 342