NdR. Dal mese di luglio a settembre la mia principale, imprescindibile (a tratti ossessionata) attività è stato pensare a Twin Peaks. Dopo giorni a tentare di dissezionare i vari tricks, i riferimenti incrociati, le differenze, le mancanze etc., mi sono reso conto che, in fondo, la cosa più interessante che quegli stessi tricks etc. mi stavano suggerendo era proprio pensare a Twin Peaks, non desiderando di svelare qualcosa, quanto di partecipare all’opera. La differenza, mi pare, sia enorme. (È stato come contemplare per circa 18 ore la Pietà Rondanini di Michelangelo.) Ma questo piacere di pensare a Twin Peaks è venuto dopo, prima ci sono state questioni che in questo testo ho riassunto.

 

kafka-bob-bn

Electriticy singing in the sycamore trees
Dream a little dream of me

 

 

Memoria e sogno.

Abbiamo visto che l’ipotesi dell’oscillazione della realtà tenta di descrivere il passaggio da uno stato di realtà verso un altro stato di realtà, in cui lo stato A, che potremmo chiamare la memoria, in qualche modo scompare o è sostituito parzialmente da uno stato B, che potremmo chiamare il sogno (che però non va confuso con lo stato del dormiente). La sostituzione parziale (qualcosa permane nel passaggio da una storia all’altra, da uno stato all’altro) agisce in modo tale che la memoria e il sogno, infine, arrivino a sovrapporsi e “generare” una nuova versione, un nuovo stato di realtà che viene accettato/percepito come veritiero e definitivo.
All’inizio dell’episodio 14 (We are like the dreamer) di Twin Peaks The Return, Gordon Cole (David Lynch) parla al telefono con lo sceriffo Truman (telefonata preceduta dai 50 secondi più comici dell’intera stagione), e lo sceriffo gli riferisce della scoperta da parte della polizia di Twin Peaks di 3 su 4 pagine mancanti del diario di Laura Palmer e, fatto più importante, lo informa che esistono due Cooper.
Poco dopo nello stesso episodio, Gordon Cole racconta a Tammy e Albert uno dei suoi Monica Bellucci dream. Nel sogno (qui si tratta di un sogno comune?) Gordon Cole racconta di aver avvertito un uneasy feeling (una sensazione di fastidio) e di aver visto allora il suo amico Dale Cooper, senza però essere riuscito a scorgere il suo volto. Monica, dopo i convenevoli e l’immancabile caffè, pronuncia the ancient phrase: “We are like the dreamer who dreams and then lives inside the dream. But who is the dreamer?”. Il sogno continua e Cole rivede se stesso nel suo ufficio di Philadelphia, il mattino del 16 febbraio alle 10:10 – ten the number of completion – (ovvero, Lynch inserisce nel sogno di Cole una scena di “Fire walk with me”, d’ora in avanti FWWM. Poche altre citazioni sono così palesi in tutta la stagione), nel momento in cui Cooper gli sta raccontando, a sua volta, del sogno che ha fatto la notte precedente (qui Lynch taglia le scene della camera di sorveglianza, nelle quali Cooper vede il suo doppio), e infine nello studio di Philadelphia irrompe Philip Jeffries (David Bowie). Anche in questo caso Lynch taglia, escludendo la prima frase di Jeffries su Judy, e mette in rilievo la domanda che Jeffries fa riguardo a Cooper: “Who do you think that is there?” (Chi credi che ci sia qui?) Poi Philip scompare. Il sogno si interrompe. – Riformulo: il sogno si interrompe? –
Dopo il racconto, Albert ammette che aveva dimenticato quel particolare cui Philip Jeffries (al quale lo stesso Albert aveva passato delle informazioni dopo la scomparsa di Cooper. Le aveva passate proprio allo stesso Philip Jeffries? O a chi chiama Mr. Cooper e Ray Monroe fingendosi Philip Jeffries?) o la sua proiezione, il suo tulpa, aveva accennato.
Il sogno è slittato sotto o dentro o oltre la realtà, ovvero in termini pratici la memoria (almeno per quanto riguarda le definizioni umanistiche di realtà), e ha fatto riaffiorare l’immagine di quel giorno.
Il caso, quindi, si mostra a Gordon Cole per ciò che è o, per dirla con le parole della Log Lady a Hawk: and a time presents itself. Ancora più specifico della Log Lady è Cooper: the past dictates the future (episodio 17, l’aforisma ne è anche il titolo)

Chiavi.

Il risultato di tutti questi aforismi sul tempo è la proliferazione di dettagli. I dettagli accrescono le possibilità che un evento si verifichi o meno. La presenza o l’assenza, ad esempio, della spilla sulla giacca di Cooper ci dice quale frangente del tempo di Twin Peaks stiamo osservando. Il loop stesso non ritorna mai uguale a se stesso. Qualcosa si disperde, qualche altra cosa resta.
Per brevità diciamo che la spilla è l’elemento che per un lungo tratto si disperde fisicamente, quando Cooper viene “trasferito” nel corpo di Dougie Jones (il suo tulpa) attraverso la presa di corrente; la chiave è l’elemento che resta, la chiave del Great Northern Hotel (GNH) che ha ancora con sé al momento del trasferimento.
Ma prima di parlare della chiave del GNH, soffermiamoci un attimo su un’altra specie di chiave: il tempo.
Consideriamo tre momenti di Twin Peaks The Return: 1) le parole di Margaret Lanterman, la Log Lady (o Signora Ceppo) nei primi due episodi; 2) il primo incontro tra Cooper, rinchiuso nella Loggia, e The Evolution of the Arm, sempre nell’episodio 2 (The stars turn and a time presents itself); 3) lo sceriffo Truman nell’ufficio di Ben Horne Episodio 12 (Let’s rock.)
Negli epispodi 1 e 2 il vicesceriffo Hawk riceve due telefonate dalla Log Lady. Per riallacciare il filo del discorso abbandonato 25 anni prima, nessuno più appropriato di Hawk e la Lady. Eppure, qualcosa è cambiato. Nella prima telefonata (episodio 1, My log has a message for you) Margaret avverte Hawk che qualcosa manca ancora nel caso di Laura Palmer, o meglio qualcuno: l’Agente Speciale Dale Cooper. E che il ritrovamento di Cooper ha a che fare con la sua eredità etnica, il fatto che egli sia indiano, come gli fa notare anche l’attenta Lucy. Nell’Episodio 2, Hawk da buon poliziotto ritorna nell’ultimo luogo, nel quale è stato visto Cooper: il bosco di sicomori. Mentre è nel bosco Margaret lo chiama di nuovo. Gli chiede dove sta dirigendosi in quel momento, Hawk le risponde che ancora una volta lui e il ceppo sono in perfetta sintonia, supposed to be something happening here tonight. La Lady prosegue e il suo parlare è profetico: the stars turn and the time presents itself. Hawk, watch carefully. La luce della pila di Hawk illumina porzioni di bosco: si vedono gli alberi e una pozza di fango argentato (simile a quella dove Hawk, Andy, lo sceriffo Truman e Bobby ritroveranno Naido/Diane a 253 yards dal Jack Rabbit’s Palace.) In uno dei frammenti stordenti della serie il bosco sembra oscillare, un altro bosco pare sovrapporsi (Hawk riesce a vederlo?), fino a che gli alberi non sono sostituiti dal tendaggio rosso dell’anticamera della Loggia Nera.
Altro frame stordente: nell’anticamera non c’è nessuno, vediamo tre poltrone e una statua di una pudica venere. Cambio di prospettiva e ecco: Mike e Dale Cooper. Ecco di nuovo il tempo che si presenta per ciò che è: is it future or is it past?
Se c’è Mike deve esserci anche il Braccio, ma dato che il nano (Michael J. Anderson) delle prime due stagioni non è stato possibile scritturarlo, ecco che ci troviamo di fronte a una pianta spoglia, che spunta dal pavimento zigzagato della waiting room della Loggia Nera, una pianta però che in cima al fusto ha un cervello dotato di una bocca ributtante. Lynch, pur metamorfosando il nano, gli lascia emettere il suo caratteristico biascichio. Ciò che dice a Cooper (qui ancora con la spilla, ancora lo stesso Cooper che ha atteso 25 anni nella Loggia, prigioniero del suo doppio), al di là della necessità di riportare dentro la Loggia Mr C. (qui Lynch riprende il frammento dell’invasione di Bob nel corpo di Cooper in Beyond life and death, ultimo episodio della seconda stagione), il dettaglio più importante per la storia – la sua soluzione o ripetizione oppure? – è: 253 time and time again. Notiamo anche che l’Evoluzione del braccio (d’ora in avanti solo l’Evoluzione) è l’unico a nominare esplicitamente Bob in tutta questa stagione e soltanto in questo punto, per il resto Bob è “qualcosa” che abita Mr. C.
Veniamo, dunque, alla chiave tautologica, alla chiave che è una chiave reale.
Nell’Episodio 12 lo sceriffo Frank Truman fa visita a Benjamin Horne al GNH. Non è una visita di cortesia, come sappiamo, anzi lo sceriffo Truman porta cattive notizie: Richard Horne, nipote di Ben, figlio di Audrey e di Mr C. (il doppelgänger di Dale Cooper) ha ucciso un bambino investendolo con un furgone, e ha picchiato quasi a morte la sola testimone, Miriam Sullivan, che è finita in terapia intensiva. Poi è fuggito.
Ben Horne si lascia andare al ricordo di Harry, fratello dello sceriffo e a sua volta ex sceriffo di Twin Peaks: menziona i tentativi di Harry di distogliere Richard dal male, in ogni caso vani tentativi. Poi – il caso. Qualche giorno prima per posta (noi sappiamo, noi che vediamo, per Ben Horne invece il caso esiste davvero) gli è arrivata una vecchia chiave del GNH, room 315 I’m pretty sure that this is the key of Agent Cooper old’s room, dice Ben, e chiede a Frank di donarla al fratello. Interesting. We’re just opening up an old case involving Agent Cooper. Strange… è l’osservazione di Frank Truman, che al pari del fratello pare essere più uomo d’azione che di pensiero, più uomo di fede che di scepsi.

Ma non sono qui a trarre conclusioni, ripeto. La strada per attraversare Twin Peaks è lunga. Forse è meglio fare una sosta al Great Northern Hotel, anche conosciuto come l’Albergo dei Signori.

Stanza 315 (Above the Convenience store).

“Conosce Judy?” domandò il signore. Mr. C. rispose di no. “Però lei conosce lei,’ disse quello sorridendo. C. annuì: non mancava certo gente che lo conoscesse, e questo era anzi il principale degli ostacoli che gli complicavano la strada. “Sono [crackle],” disse il signore, “[crackle] Philip Jeffries.”
“Mi scusi,” disse Mr. C. e allungò la mano verso la maniglia, “purtroppo ho scambiato la sua porta con un’altra. [crackle]
“Che peccato!” disse Philip Jeffries. “Non che l’abbiano convocata altrove, ma che abbia scambiato le porte. Io infatti, una volta svegliato non mi addormento più di sicuro. Comunque non si affligga troppo, è una mia personale disdetta. E poi, dirà lei: perché qui non si possono chiudere le porte a chiave? Una ragione c’è, è ovvio. E cioè che, secondo un antico detto, le porte del Convenience store devo essere sempre aperte. Però sarebbe proprio il caso di non prenderlo così alla lettera.”
[crackle] Come mai è così silenzioso, signor agente speciale?”
“Sono molto stanco,” disse Mr. C. [crackle]
“Naturalmente,” disse Philip Jeffries sorridendo, “qui sono tutti stanchi. [crackle] È del tutto escluso che mi addormenti ora, ma se questo evento così inverosimile dovesse accadere, se cioè dovessi addormentarmi mentre lei è ancora qui, allora, la prego, stia quieto e non apra nemmeno la porta. [crackle]
“La prego, dorma pure,” disse Mr. C., lieto dell’annuncio, “così, se permette, dormirò un poco anch’io.”
“No, no,” disse Philip Jeffries [crackle], “purtroppo non posso addormentarmi a bacchetta, l’occasione può presentarsi soltanto nel corso della conversazione, perché è la conversazione appunto quella che semmai mi fa appisolare. [crackle] E fare l’agente speciale com’è?”
“Non è il mio lavoro per il momento, attualmente non sono impiegato come agente speciale,” disse Mr. C. [crackle]
“Questa è stupefacente,” disse Philip Jeffries con un brusco moto del capo e tirò fuori da sotto la coperta un taccuino per annotare qualcosa. “Lei è un agente speciale ma non ha un lavoro da agente speciale.”
[crackle] [ominous music]

Distrazione Lynchana.

In un articolo apparso l’anno scorso su “Libreria francavillese” e riproposto su CrapulaClub, Alfredo Zucchi scriveva a proposito della “distrazione kafkiana” (di cui a breve darò un esempio): “La distrazione è più che una distrazione: è il luogo, la figura in cui oscillano e convivono i probabilia.”
Prima, però, una brevissima divagazione filologica.
In filologia classica, tecnicamente, circoscriviamo il concetto di distrazione omerica a personaggi che morti in un canto dell’Iliade, riappaiono vivi qualche canto più avanti. Problemi della trasmissione orale e delle versioni manoscritte. La distrazione omerica è tra i più antichi errori di scrittura e di trascrizione che conosciamo.
Se non ci atteniamo, però, soltanto alla filologia omerica e allarghiamo il campo, possiamo applicare lo stesso concetto anche a opere moderne, nelle quali l’apparizione di un personaggio o di un elemento della narrazione ritorna e fa oscillare quelle che sono le logiche della trama.
Consideriamo due casi: 1) nel Castello di Franz Kafka, riguardo all’incontro tra K. e i suoi aiutanti; 2) nell’episodio 7 (There’s a body all right) di Twin Peaks The Return, relativamente al ritrovamento di 3 delle 4 pagine mancanti del diario di Laura Palmer.
Nel Castello, romanzo incompiuto di Franz Kafka, l’agrimensore K. incontra i suoi due aiutanti, Jeremias e Artur assai somiglianti anche di faccia, per la prima volta mentre attende una slitta, che lo riporti indietro da dove è venuto o che lo conduca al Castello. K. non tornerà indietro né andrà in slitta al Castello, ma sarà accompagnato di nuovo alla locanda. La prima impressione riguardo agli aiutanti è che K non li riconosca, perché non li ha mai visti prima. Già nella locanda la situazione muta improvvisamente: K. fa la conoscenza degli aiutanti, ma le sue parole sono molto ambigue: “Ma come?” domandò K. “Voi siete i miei vecchi aiutanti, quelli che mi dovevano seguire, quelli che aspettavo?” […] “Ma che gente” disse K. “V’intendete almeno di agrimensura?”. “No,” Dissero quelli. “Però, se siete i miei vecchi aiutanti, dovreste saperne qualcosa,” disse K.
In questo caso, la distrazione di K. è una tautologia (abbiamo già visto che una chiave per accedere alla Loggia Nera è la chiave n° 315 del Great Northern Hotel), ma potrebbe darsi che sia uno scherzo della memoria, relativo all’oscillazione tra la realtà da cui proviene K. e la realtà del castello (o il sogno di K. e il sogno del castello, non fa alcuna differenza.)
A questo punto bisogna ricordarsi, per non smarrirsi, le parole che K. rivolge a se stesso poco prima dell’incontro: “Se fossi qui per caso e non per mia scelta,” gli passò per la mente, “questo sarebbe il momento di provare un certo sconforto”.
La materia è sfuggente. Gli aiutanti sono “vecchi” e quindi già conosciuti, ma è veramente così che stanno le cose? Abbiamo considerato se questa svista abbia una qualche funzione nell’innesco della storia? Non sembra che sia il preludio di una cancellazione del ricordo? Se K. non è giunto al villaggio del Castello per caso, ma per scelta, non appare contraddicente l’apparizione e il riconoscimento di Jemerias e Artur? Forse si riferisce a una prima stesura del testo, magari da espungere in fase di revisione; forse dimostra la collisione e l’effetto oscillatorio tra la realtà/sogno di K. e la realtà/sogno del Castello. La distrazione potrebbe essere una chiave per far scaturire il flusso e il riflusso della memoria, o per cancellarla. Questa, in fondo, suggerisce che qualcosa manca o che qualcosa, pur ancora resistendo (la memoria di K. rispetto alla sua realtà/sogno da cui proviene), sarà dimenticato.
Nell’episodio 6 (Don’t die) Hawk ritrova 3 pagine del diario di Laura all’interno di una porta del bagno della stazione di polizia di Twin Peaks. Di fatto grazie a una monetina che cade dietro al gabinetto, Hawk risolve una prima parte del messaggio di Margaret, quella riguardante il suo retaggio indiano. All’inizio dell’episodio 7 Hawk e lo sceriffo Truman discutono del ritrovamento. Hawk sottolinea che soltanto 3 su 4 pagine sono stare ritrovate, la quarta è ancora mancante.
Il diario è forse l’icona più eloquente di Twin Peaks. Se della Loggia Nera e del cavallo bianco di Sarah (che vede solo Sarah) fino a FWWM se n’è avuta una comprensione piuttosto fumosa e irreversibilmente legata a Bob, del diario (o dei diari) di Laura Palmer se n’è parlato subito: la chiave del mistero, now I know it isn’t Bob. I know who it is. Ma non è così che stanno le cose. Il diario non rivela ciò che ci si attenderebbe: It, ad esempio, è stato sempre letto come Leland Palmer, mente oggi sappiamo che potrebbe trattarsi di Sarah Palmer. It isn’t Bob o non è solo Bob, per ciò che rappresenta Bob: I’m the fury of my own momentum.
La funzione narrativa del diario è di tendere un’esca facilmente riconoscibile, un’esca per la memoria. Sappiamo che il diario ha rappresentato la fonte principale di connessione tra Laura, Cooper e la Loggia Nera. Sappiamo anche che Leland, posseduto da Bob, cerca il diario di Laura e lo trova nella stanza della figlia in FWWM e possiamo ipotizzare che in quella occasione Leland abbia strappato le quattro pagine incriminate. Se pensiamo, però, al ruolo che il diario svolge in FWWM, come vettore di un’informazione nota, qualcosa già non torna pienamente: le parti che lo riguardano sono brevi e la più significativa è la scena in cui Annie recita le frasi su Cooper e la Loggia Nera, che ritroviamo nel diario di Laura. Consideriamo inoltre che l’attenzione rivolta alla scoperta dell’assassino di Laura nella trama della terza stagione costituisce uno dei temi meno stringenti.
Dove si annida, dunque, la distrazione? E, cosa più decisiva, che cosa ci dice?
Alla prima domanda possiamo rispondere in maniera diretta: le pagine del diario non potevano trovarsi lì, per una ragione evidente. Sappiamo che Laura Palmer annotava la sua vita su 2 differenti diari: il primo è il diario segreto, che in FWWM consegna a Harold; il secondo è quello che trova Leland/Bob. Le ipotesi riguardo al modo in cui 3 di 4 pagine siano finite nel bagno della stazione sono varie e potrebbero essere quasi tutte valide. Non è questo il luogo in cui saranno discusse. Qui e ora ci interessa capire la funzione di questa distrazione lynchana.
Nel già citato articolo, A. Zucchi parla del rapporto tra il metodo onirico di Cooper, Episodio 2 prima stagione di Twin Peaks, e l’evoluzione di questo nella filmografia di Lynch, da Strade perdute a Mullholland drive. Ora possiamo aggiungere qualche altro dettaglio.
Innanzitutto: la scena di Hawk e Frank Truman. È una scena piana, in cui si discutono delle evidenze, cui i due poliziotti non sanno trovare una logica ferrea che le giustifichi. La distrazione lynchana si palesa proprio in questa sottrazione della logica (com’è possibile che le pagine siano proprio lì?) e al tempo stesso, come nel caso degli aiutanti di K., genera un twist, un vortice nella trama: seppure qualcosa manca, seppure qualcosa è irrazionale e illogico, non importa.
La distrazione lynchana – questa svista in cui pare sfuggire, se non essere del tutto irrilevante l’aspetto logistico – rientra pienamente in questa scrittura che fa della cancellazione di alcuni dettagli narrativi un paradigma della sua arte, insieme alla giustapposizione di scene, che rende la trama oscillante, e alla ricostruzione della trama stessa attraverso una memoria piuttosto depauperata.
In ultimo, la Log Lady era già stata chiara: bisogna trovare Dale Cooper. In entrambi i casi, dell’assassino e di Laura, la missione di Hawk è e resterà fino alla fine trovare l’Agente Speciale Dale Cooper. In tal senso le parole del diario Laura sono allusive; lo stesso Hawk si sofferma su the good Cooper is in the lodge, il dettaglio più rilevante, richiamato per l’ultima volta nell’episodio 14. Infine, anche il diario sarà dimenticato.
Ora, però, pare che ci stiamo prendendo un po’ troppo sul serio. Ciò che conta, lo abbiamo già letto, è la ciambella non il buco. Sono molte altre le cose oscure, che ammiccano suadenti al buco e non al morbido dolce. E non inganniamoci troppo sul nostro ruolo, piuttosto poniamoci il seguente quesito:

Di chi siamo epigoni?

Nel suo labirinto – disse alla fine, – ci sono tre linee di troppo. Io so d’un labirinto greco che è una linea unica, retta. In questa linea si sono perduti tanti filosofi che ben vi si potrà perdere un mero detective. [crackle], quando in un altro avatar lei mi darà la caccia, finga (o commetta) un delitto in A; quindi un secondo delitto in B, a quattro chilometri da A e da B, a metà strada tra i due. E m’aspetti poi in D, a due chilometri da A e da C, di nuovo a metà strada. Mi uccida in D come ora sta per uccidermi in Twin Peaks.
– Per quest’altra volta, – rispose [crackle], – le prometto questo labirinto invisibile, interessante, d’una sola linea retta.
[crackle] [ominous music]

Epica della dimenticanza: Andy e il Fireman.

Ancora Kafka. Nel racconto “Prometeo” Kafka fa del processo di assottigliamento delle versioni (quattro) della leggenda di Prometeo il fulcro del racconto, che genera attraverso la dimenticanza un inatteso finale. La quarta versione della leggenda prevede che tutti i suoi personaggi – l’aquila, Prometeo, gli dèi, e perfino la ferita – stanchi di essere ciò che sono, dimenticano. Restò l’inesplicabile montagna di rocciaLa leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché essa nasce da un fondo di verità, deve a sua volta per forza finire nell’inesplicabile. Come spesso accade negli scritti brevi o brevissimi, spesso quasi in forma di parabola, di Kafka non c’è parzialità, ma tutto volge verso una partecipazione degli opposti. Chi dimentica, dimentica tutto, non una parte di questo. Chi ricorda, invece, ricorderà soltanto la cosa inesplicabile, il mistero.
A fronte di un mero paragone con alcune scene di Twin Peaks 3 The return, soffermiamoci a considerare il luogo del mistero spoglio dei suoi personaggi.
Andiamo per gradi. Dall’episodio 14 all’episodio 18 (What is your name?) la narrazione raggiunge il culmine di ciò che si può considerare epica della dimenticanza. [1]
Consideriamo brevemente quest’epica attraverso due fondamentali elementi tecnici: 1) la giustapposizione delle scene; 2) l’interferenza tra realtà e sogno (vedi Memoria e sogno).
Sappiamo che a poco a poco quasi ogni cosa di Twin Peaks sarà dimenticato, il sogno che è slittato sotto la realtà diventerà pura memoria in frammenti, lo stesso accadrà alla realtà, dato che sono l’uno la vertigine dell’altra. In tal senso i fatti dell’episodio 14 sono i più decisivi. Al di là del già citato sogno di Gordon Cole, che ha portato con sé la reminiscenza di accadimenti in parte obliati, un altro momento è altrettanto significativo: la visione di Andy.
La visione di Andy comporta due domande (almeno): 1) perché proprio Andy?; 2) che senso ha la visione e come direziona la narrazione verso un’altra parte?
Alla prima possiamo rispondere allo stesso modo in cui il Fireman risponde al ragazzo dal guanto verde: “Why not you?”. Se ci riflettiamo un attimo, però, potremmo obiettare che sarebbe stato più congruente se la visione avesse riguardato Bobby Briggs, per ovvie ragioni di parentela con il Maggiore Briggs. Eppure, non soffermiamoci più di tanto.
Per la seconda consideriamo, innanzitutto, la scena in sé e per sé. Bobby, Andy, Hawk e lo sceriffo Truman si dirigono al Jack Rabbit’s Palace, dove Bobby era solito andare con il padre. Una volta lì, eseguono quello che ha l’aspetto di un gesto rituale: raccolgono della terra e se la mettono in tasca. Da Jack Rabbitt al luogo indicato nel messaggio del Maggiore ci sono 253 yards. I quattro trovano una pozza molto simile a quella che abbiamo visto nell’episodio 2 e, accanto, il corpo di una donna nuda, i cui occhi sono foderati (la donna l’abbiamo già incontrata all’inizio, è la stessa che precipita nello spazio, poco prima che Cooper veda il faccione fluttuante del Maggiore Briggs che pronuncia blue rose.) Alle 2:53 si apre il portale, il vortice, verso la Loggia Bianca, e Andy viene “trasferito” al suo interno. Fatta eccezione per la presentazione del Fireman, la scena si svolge senza dialogo. Attraverso una sorta di narghilè monco, dal quale fuoriesce del fumo profetico, Andy viene introdotto al “mistero” di Twin Peaks. Andy vede innanzitutto Judy, per due volte e la seconda mentre espelle Bob (episodio 8, Gotta light?), vede il Convenience store, dei cavi elettrici (che richiamano sia Mr. C. che Cooper), vede Laura (FWWM), Naido e se stesso, i due Cooper, prima sovrapposti poi separati, vede se stesso e Lucy nella stazione di polizia e infine il palo dell’elettricità a Odessa, che da FWWM all’episodio 18 di questa terza stagione era ancora irrisolto. Dopo la visione, Andy viene rispedito nel bosco. Segue un’altra di quelle scene stordenti, chiosata dalle parole icastiche del breve dialogo tra lo sceriffo Truman e Hawk.
A ben vedere, il ritrovamento di Naido/Diane è il fatto più importante. Lynch costruisce l’intera sequenza per arrivare a quel punto. La visione di Andy, invece, parrebbe essere a sé stante (nonostante lo stesso Andy menzioni l’importanza di Naido e che il suo corpo non venga trovato), un evento unico, nel quale Andy viene istruito sui fatti, su tutti i fatti e sempre per frammenti. E possiamo annotare una cosa piuttosto particolare: Lynch adopera, si potrebbe dire canonicamente, nel dialogo con lo spettatore una fraseologia di espressioni umorali. È il caso dell’espressione del volto di Andy alla vista del palo dell’elettricità a Odessa. Andy non pare così sconvolto nel vedere Judy o Bob o Naido e neanche i due Cooper, contrae gli zigomi e gli occhi quasi disperato o disgustato o sorpreso, come se quella visione gli dicesse che dall’altra parte né lui né Lucy né tutta Twin Peaks ci saranno più. Andy forse percepisce la fine o semplicemente come tutti quanti gli altri non capisce?
Questa scena giustapposta così a un evento ben più notevole è un artificio epico (se stessimo parlando in riferimento a testi antichi, diremmo che il Fireman svolge il ruolo della divinità che annuncia a uno degli eroi, in sogno, quale sarà il futuro. D’altronde, il Fireman fa il suo ingresso nella prima stagione proprio in un sogno di Cooper, lo invade come sarebbe potuto accadere a Odisseo.) L’artificio serve a mostrare attraverso gli occhi di Andy ciò che è stato, che è e sarà. Inoltre, ci offere la possibilità di comprendere la cifra della scrittura di Twin Peaks, nella sua evoluzione negli anni, e di come Lynch abbia conservato e lavorato, quasi ossessivamente (l’ossessione è una delle parole chiavi che ritorna spesso nelle interviste rilasciate dal regista di Missoula), su alcuni dettagli della storia e introno a questi abbia innestato, giustapposto e inframmezzato altri elementi della storia nota, per quella continuità spazio-temporale che il finale di stagione confuta e, confutando, riapre.

Fuori da Twin peaks

Non perdiamo di vista il punto di partenza, e non dimentichiamo che siamo all’interno di un loop. In un loop particolare, come abbiamo ricordato, in cui qualcosa si perde o viene sostituito. E se abbiamo iniziato con Kafka è giusto finire con Kafka: “Restò l’inesplicabile casa Palmer… La leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché essa nasce da un fondo di verità, deve a sua volta per forza finire nell’inesplicabile.”

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Bibliografia:

I testi interpolati sono:

F. Kafka, Il Castello, Feltrinelli 2009

J. L. Borges, La morte e la bussola, contenuto in Finzioni/Aleph, CDE 1985

Il racconto Prometeo è contenuto in F. Kafka, I racconti, BUR 2008


[1] Una suggestione. Se ancora si insiste a giudicare il viaggio fine a se stesso attraverso mondi fantastici, si continuerà a vagare nell’oscura ignoranza. Consideriamo invece il senso di quel viaggio. Una suggestione molto forte mi fa incrociare il ventennio di peregrinazione di Odisseo con il ventennio di Cooper nella Loggia Nera – pura suggestione ripeto. Il punto è che quel viaggio di ritorno a casa è anche l’ultima testimonianza di un mondo che va man mano scomparendo, non del tutto dimenticato, ma d’ora in avanti inaccessibile, non più esplorabile alla maniera di Odisseo, alla maniera dell’eroe del ritorno, ma soltanto alla maniera del poeta – ovvero attraverso frammenti e giustapposizione di ricordi.

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