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«La bellezza salverà il mondo» si continua a far ripetere a Dostoevskij* – avendo però dimenticato la portata soteriologica ed estatica di queste parole, in lui. E se invece la bellezza divenisse radicalmente inattingibile? Ecco il punto: se la bellezza si fosse prosciugata – e secondo il post-esotismo (corrente letteraria fittizia partorita da Volodine) s’è prosciugata! – totalmente, allora non ci sarebbe più possibilità né di salvezza, né di speranza; solo il crollo agonizzante e disperato di un’umanità dannata. Dinanzi a questa visione – così russa nella sua vastità apocalittica e messianica – Volodine ha una precisa, folgorante, illuminazione: «la stranezza è la forma che prende il bello quando il bello è disperato» e così nasce il suo dispositivo estetico fondante e così ha origine la progenie dei post-esotici, i suoi eteronimi. Incarcerati per l’eternità, metamorfizzati per le radiazioni assorbite, in procinto d’estinguersi, sepolti in labirinti sciamanici, intrisi d’ideologia egualitarista rivoluzionaria post-sovietica. Morti, eppure ancora necessariamente parlanti perché la parlabilità è l’unico modo di «abitare senza vergogna le macerie del tutto».

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Lisbona ultima frontiera racconta la vicenda amorosa di Ingrid Vogel e Kurt Wellenkind che ha luogo appunto a Lisbona. Lei di lui dice: «Brutto sbirro di merda, lurido mastino, hai in testa solo la tua missione criminale, figlio corrotto della polizia e dell’imperialismo, servo degli americani, sporco carceriere degli schiavi panciuti, cane schifoso, sicario al soldo dei social traditori, social venduto». Lui di lei: «Brutta stronzetta terrorista». Lei è veramente una terrorista e lui è veramente un agente della polizia tedesca anti-terrorismo, detentore peraltro del fascicolo su di lei. Kurt cerca di organizzarle una fuga sotto falsa identità lontano dall’Europa e dalla prigione che l’attende, Ingrid al contrario vede l’esilio come forma di putrescenza imbelle nell’oblio, al contempo dà segni di squilibrio – tra cui il decidere di scrivere un suo romanzo-diario –  che preoccupano Kurt.

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Fu pubblicato a Parigi nel 1990, un anno dopo la caduta del Muro di Berlino, e rappresenta il più netto spartiacque nell’opera dello scrittore francese di origina russa: fino ad allora la sua produzione era stata fantascientifica, in questo testo invece dismette gli stilemi della letteratura di genere, pubblica per la prima volta con Minuit e accetta un forte editing da parte della medesima casa editrice. Il risultato è un salto di qualità della prosa sorprendente, inoltre vede la luce il primo romanzo ascrivibile – ex post – al post-esotismo, ne sono presenti infatti quasi tutti i topos di rifermento: l’essere braccati, la fuga, l’interrogatorio, il ribaltamento dei ruoli nell’interrogatorio, il dissolvimento del narratore in più soggetti spesso indifferentemente sovrapponibili.

Un ottimo libro per iniziare ad addentrarsi nell’ubertosa selva volodiniana.

Lisbona ultima frontiera
Antoine Volodine
Clichy, Firenze, 2017
Trad. it Federica Di Lella
pp. 248

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*Il presente articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Foglio – a cui vanno per tanto i ringraziamenti della Redazione di CrapulaClub –  circa due mesi fa; viene qui riproposto con delle lievi limature cesellanti.