Qualche giorno fa ho riascoltato 38 luglio degli Squallor che, oltre a essere una delle più belle canzoni d’amore mai scritte in Italia, è anche un fulgido esempio di comicità: un arrangiamento orchestrale da brano pop all’italiana – l’intro riprende Il suo volto, il sorriso di Al Bano – accompagna una storia surreale e intrisa di malinconia: Là dove finisce il fiume comincia il film: la storia tremenda di un elettrotecnico che seppe inventare la pila. Non pochi ci riuscirono, ma fu lui che la inventò.
Se queste parole non fossero recitate dall’immenso Alfredo Cerruti, verrebbe meno quella magia che rende perfetta la convivenza tra elementi apparentemente inconciliabili.
È riascoltando la seconda strofa che mi sono detto “Dio bono, ma è il Gori: eccolo qui”:

Era il 38 luglio e faceva molto caldo, ed era scoppiata l’afa, quando all’elettrotecnico le venne una grossa idea: si sdraiò per terra e si fece camminare su un camion con rimorchio. Ma non si fece male perché aveva in tasca un portafortuna, un portafortuna che gli aveva regalato sua zia Uoller: un piede di porco a pila.

Al netto delle delle differenze, molti dei procedimenti comici utilizzati da Lo Sgargabonzi sono comuni a quelli degli Squallor: non a caso il gruppo figura tra i punti di riferimento del Gori (Il problema purtroppo del precariato, raccolta di racconti scritta a quattro mani con Gianluca Cincinelli, è dedicato proprio a Cerruti).

Ecco, se non fosse per l’uscita di questa sua ultima fatica, Jocelyn uccide ancora, mi risulterebbe difficile aggiungere qualcosa a quanto scritto due anni fa da Claudio Giunta su «Internazionale»: una impeccabile esegesi dello Sgargabonzi, che il filologo definiva il miglior scrittore comico italiano.
Per chi ancora non lo conoscesse, Lo Sgargabonzi è il nome che fu prima dell’omonimo blog, messo in rete nel 2005, e poi della celeberrima pagina Facebook, dove Alessandro Gori dà il meglio di sé. Ci sono poi gli Sgargabonzi Live, spettacoli nei quali Gori, pur limitandosi a leggere i suoi pezzi, si conferma intrattenitore di razza, riuscendo a far ridere fino alle lacrime anche quando le battute assumono le pieghe più triviali e disturbanti.

Il libro può essere considerato un compendio dello Sgargabonzi e un biglietto da visita per i pochi fortunati che ancora devono scoprirlo. I suoi precedenti lavori – Le avventure di Gunther Brodolini (2013), Bolbo (2014) e il già citato Il problema purtroppo del precariato (2015) –, a loro modo riusciti, sono soltanto un assaggio del suo stile, non essendo libri dello Sgargabonzi ma solo di Alessandro Gori – il secondo e il terzo scritti assieme a Cincinelli – e dunque solo in parte rappresentativi delle molteplici anime del loro autore. Jocelyn uccide ancora è invece il risultato di un lavoro diverso, più in continuità con l’esperienza del blog e dei live; quindi, l’ideale consacrazione di un percorso iniziato più di un decennio fa.
Il lettore attraversa qui varie tappe sgargabonziane: dalla pagina perduta del diario di Anna Frank, ai dieci brevi interludi con protagonista il defunto David Bowie rievocato da due medium, passando per Christian Raimo tramutato in un violentatore di ragazze disabili per il funerale di Dario Fo cui presenziano in vesti insolite personaggi più o meno noti e tanto altro – escludendo gli interludi, si tratta di cinquanta testi.

Lo sberleffo del luogo comune, la parodia e il rovesciamento delle convenzioni sono alla base della poetica di Gori, facile da etichettare come uno politicamente scorretto che dice cose sgradevoli ai più: sarebbe riduttivo per lui e per la straordinaria sensibilità trasmessa da queste prose brevi e auto-conclusive, dove i risvolti più delicati sono in realtà trattati con i guanti proprio quando sembrano affrontati nei modi più oltraggiosi. Lo dimostrano episodi come 20 cose che non sai sull’aborto e Ballata per Asia che non solo hanno il pregio di divertire e far ridere «col groppo in gola», come direbbe il Gori, ma ci fanno sentire in colpa, e ogni tanto ci rivelano per le merde che siamo.
Gori in questo momento gioca un campionato nel quale lui è l’indiscusso protagonista: può permettersi di essere un autore politico senza però fare satira politica, e il suo umorismo funziona tanto su internet quanto sulla carta stampata. La sua scrittura possiede capacità di mimesi e scelte lessicali adatte al contesto, ed è arricchita da sfumature necessarie a innescare la risata. Dunque è proprio vero: Lo Sgargabonzi è il miglior (scrittore) comico italiano.

Lo Sgargabonzi
Jocelyn uccide ancora
Minimum Fax, 2018
pp. 212