NoiaNoir

NoiaNoir

Informazioni preliminari.
Presentiamo oggi una breve intervista a Pasquale Sorrentino, voce e autore del gruppo rock vesuviano Pennelli di Vermeer, sull’ultimo lavoro discografico dal nome suggestivo (e parlante) NoiaNoir, che succede all’EP Trame dannata (2006), al disco La primavera dei sordi (2008) e al progetto di tetro-canzone La sacra Famiglia (2010).
NoiaNoir è stato prodotto attraverso un crowdfunding (Produzioni da basso), cui hanno partecipato 165 co-produttori (tutti menzionati nel libretto del cd) ed è distribuito dalla Marotta&Cafiero Recorder, casa editrice di Napoli.
NoiaNoir è un concept-album, nel quale con insistente ironia (non bisogna mai smettere di farsi domande, soprattutto domande giuste – pare essere questo il leitmotiv sotterraneo che segue tutti i brani) viene cantato un caso di omicidio e ne vengono tratteggiati i personaggi che ruotano attorno all’assassinio. Incontriamo il presunto omicida Ray Chat, la vittima Mrs Rose, l’ispettore Torquemada (burbero e incallito fumatore come l’ispettore Callaghan di Clint Eastwood), i giornalisti, le televisioni, i reality show e il vero colpevole, fino all’ultimo brano Animi anonimi – che, a mio avviso, nell’economia narrativa dei brani occupa un posto di rilievo. Tento una spiegazione: dopo vari ascolti del disco, questo brano, posto fuori dal caso Rose, quando ormai tutto è concluso, riapre in qualche modo il nocciolo della questione della noia (che è chiaramente il leitmotiv evidente del concept), e punta l’attenzione sull’effetto più schiacciante di questo sentimento tutto moderno, cioè la ricerca stessa della noia, per potere essere una persona (o un personaggio) – un’idea pop warholiana per eccellenza.

Potete ascoltare NoiaNoir qui, su Spotify.

pennelli di vermeer

Pennelli di Vermeer

Io.  Dato che mi trovo di fronte a un concept-album, penso sia necessario partire dalla struttura, che in Noia Noir è data dalle voci narranti (o cantanti). Noto che rispetto a La sacra famiglia, dove ogni personaggio ha il suo spazio per cantare la propria condizione familiare, qui al contrario i protagonisti – Ray Chat, Mrs Rose, l’ispettore Torquemada – sono invece muti, come se occupassero un ruolo predeterminato, piuttosto che avere una loro voce, e che questa coralità quasi priva di identità sia voluta, catalizzata, dai media, i quali al contrario svolgo quella che in letteratura viene definita una voce in prima persona, ossia autoreferenziale e narrante. Da che cosa dipende questa scelta?

Pasquale. NoiaNoir è un’opera “corale” perchè si ispira a quei casi di cronaca nera diventati “fenomeni mediatici”. Prendiamo in analisi l’omicio di Avetrana caratterizzato da tanti volti e tanti nomi: Sarah, Sabrina, zio Michele, zia Cosima, Ivan; tutti protagonisti inconsapevoli di un reality/noir. E sullo sfondo c’è l’intero paese di Avetrana su cui si sono accesi i riflettori. Parenti di primo, secondo, terzo, quarto grado, amici e amici degli amici, politici e personalità. Tutti hanno rilasciato interviste e dichirazioni solo per il gusto di apparire in qualche telegiornale o salotto televisivo. Non dimentichiamo che la notizia del ritrovamento del cadavere venne comunicata alla madre e ai familiari della vittima in diretta televisiva dalla trasmissione Chi l’ha visto? Una cosa abberrante che da un lato calpestò la privacy e il dolore dei familiari e dall’altro alzò lo share del programma. Addirittura il garante della privacy dovette intervenire d’urgenza sottolineando che in questo modo si stava alimentando nell’opinione pubblica una sorta di “pornografia del dolore” ma tutti se ne sono fregati perchè la cosiddetta “pornografia del dolore” oggi è diventata un businness collaudato dove l’offerta genera più domanda. Quando c’è una ingerenza così elevata dei mezzi d’informazione (e non mi riferisco solo all Tv) la linea di demarcazione che divide l’informazione vera dalla spettacolarizzazione del caso non esiste più: si moltiplicano a dismisura i punti di vista, le opinioni, le teorie; ne consegue un’informazione frammentata, che genera confusione nell’opinione pubblica; un’informazione dove all’unitarietà di un discorso si preferisce la frase ad effetto, breve ed incisiva, che soddisfi i tempi dello show televisivo in cui anche gli applausi e le lacrime sono telecomandati dagli autori del programma. La narrazione di NoiaNoir nasce da questi presupposti e quindi non è vincolata ad un punto di vista univoco (quello dell’assassino, dell’ispettore di polizia, del telespettatore). Essa è discontinua e sintetica come l’informazione televisiva, usa frasi e parole ad effetto come le prime pagine dei giornali, confonde come la “babele” dell’informazione che subiamo tutti i giorni. Ecco perchè in NoiaNoir tutti hanno voce: giornalisti, assassino, telespettatori, ispettore di polizia, perfino la vittima Mrs Rose. Ne esce fuori, dal mio punto di vista, il ritratto di una società voyeuristica e annoiata, senza stimoli nè valori, smarrita nel futile movente di un caso di omicidio e che prova piacere nel guardare con distacco il dolore altrui. Ovviamente la responsabilità in tutto ciò è principalmente dei media. Da qui il nostro j’accuse.

Io. La noia è, probabilmente insieme alla solitudine, un problema tutto moderno. Baudelaire, com’è noto, ne faceva il suo stesso inferno, sebbene scorgesse nella noia anche una sorta di fucina poetica, qualcosa che sostituiva l’otium, ma che era più malato e disfunzionale di quest’ultimo. Warhol – volendo tracciare una linea dal padre della modernità al suo Lutero in latex – l’ha consacrata e ne ha fatto un prodotto prêt-à-porter. In canzoni quali Boredom, Criminal boy – la noia è descritta sia come movente di omicidio e insieme sprone per il pubblico, nel seguire tendenze piuttosto macabre come in Orrido Tour. A che cosa ti sei rifatto per descrivere queste tendenze?

Pasquale. La cronaca ci dice spesso di gente che ammazza senza una ragione, un movente “logico”. Premesso che la noia è implicita nella natura umana, quando però essa si manifesta nei modi più crudeli e violenti restiamo a dir poco sconcertati: penso a quelle persone che buttano sassi dai cavalcavia contro automobilisti ignari; penso al branco di annoiati che pesta a sangue persone indifese; penso ai ragazzi che instillano gocce di vodka negli occhi per provare il nuovo sballo del sabato sera. Tempo fa leggevo un articolo di cronaca nera su un omicidio avvenuto in un sobborgo di Manchester dove due giovani ragazzi hanno ammazzato un’amica a colpi di bastone. Il movente dell’omicidio? Una scommessa, il cui premio è di una banalità disarmante. La vicenda ha ispirato me e Giorgio Volpe (co-autore) nella stesura del testo del brano Criminal Boy in cui l’assassino svela – sotto forma di anagramma – il movente dell’omicio di Mrs Rose.

Io. La citazione a Sogno numero due da Storia di un impiegato, concept-album del 1973 di Fabrizio de Andrè, mi ha fatto immediatamente pensa a un giudizio che lo stesso cantautore diede, qualche anno dopo, sulla sua opera, ritenendo che in quella occasione aveva detto alla gente come comportarsi, contraddicendo quanto si era sempre prefisso. Come ti poni nei confronti della critica che de Andrè fece del suo lavoro, appurato che, ascoltando Show Case (il brano che contiene la citazione), il rimando sarcastico non è all’autore, ma al pubblico descritto come giudice?

Pasquale. Per i miei gusti “Storia di un impiegato” è un capolavoro sotto tutti i punti di vista, anche se De Andrè è stato il primo a denigrarlo: avrebbe voluto bruciarlo per il linguaggio oscuro e difficile e perchè spiegava alla gente come comportarsi, cosa che ha sempre cercato di evitare. Insomma voleva dare una lettura poetica al Sessantotto ma alla fine ne ha fatto un disco politico.
E meno male! Quanti dischi come “Storia di un impiegato” ci vorrebbero oggi? Tanti! Per risvegliare coscienze, mettere la gente a pensare e farla riflettere. La vera urgenza di questi anni è far sì che la musica ritorni a veicolare messaggi chiari ed inequivocabili, politici e sociali senza però cadere negli stereotipi testuali ispirati alle magnifiche canzoni di protesta degli anni Settanta e a quelle nate nei Centri Sociali verso la metà degli anni Novanta. Quando si affrontano tematiche politico-sociali, la retorica sembra essere sempre in agguato, cosicchè molti preferiscono rifugiarsi in storie semplici, intimiste, ma spesso anche troppo individualiste e scollate dalla realtà. Anche a me non piace dire alle persone come comportarsi e credo che l’ascoltatore se ne sbatti dei miei stati d’animo, se oggi sono felice o triste. Però mi piace raccontare cosa sta accadendo nella società in cui vivo. Daltronde l’ho già fatto con la tragicommedia musicale “La Sacra Famiglia” e ora con “NoiaNoir”. A mio modo mi considero un  cronista di questi tempi che invece di scrivere articoli da giornale scrive canzoni.
Tornando a De Andrè, la citazione contenuta in Show Case è puro gioco o divertimento e così deve essere interpretata. Nel secondo sogno di Storia di un impiegato, il protagonista viene processato ed il giudice lo informa che col suo gesto scellerato, cioè aver messo la bomba, non ha fatto altro che favorire il potere. Nel brano Show Case, il nostro protagonista, l’assassino, si trova in un aula di tribunale per essere processato, ma subito si rende che lo spazio dell’aula è stato trasformato in un set televisivo.  Ad un certo punto scopre di essere egli stesso vittima di un potere più grande, il sistema mediatico, dove i giudici sono gli stessi telespettatori piantati tra un divano e un televisore che lo condannano attraverso il televoto.

Io. L’ultima domanda è più tecnica, se vogliamo. I testi di NoiaNoir sono molto asciutti, composti con continue anafore, fatto che mi ha ricordato una certa poesia futurista o, più in generale, avanguardista. È possibile fare questo tipo di parallelo e a che cosa è dovuta questa inversione, anche rispetto ai testi dei progetti precedenti?

Pasquale. Come ho accennato nelle risposte precedenti, i testi di Noia Noir traggono spunto dalla comunicazione di taglio giornalistico e dal linguaggio mediatico in genere. Un tipo di comunicazione che subiamo tutti i giorni a tutte le ore e che influenza il nostro linguaggio parlato. Se i futuristi e le avanguardie usavano le allitterazioni o ripetizioni di parole per pura sperimentazione e per contrastare la lingua ufficiale delle Accademie, i media del nuovo millennio lo fanno solo per convincerci, persuaderci, manipolarci, influenzarci. Pensiamo a quante volte l’ex presidente americano G.W. Bush, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, nei suoi discorsi in Tv, ha ripetuto la parola terrorismo associandola al nome di Saddam Hussein.
In NoiaNoir la sfida è stata quella di comunicare qualcosa utilizzando quanto meno parole possibili. Cosicchè, al liguaggio tipico del cantautorato italiano, io e Giorgio Volpe, abbiamo preferito una sintesi tra forma e contenuto che risultasse immediata, attuale e comprensibile a più generazioni.

***

NoiaNoir

NoiaNoir

Credits NOIANOIR


Testi:
Pasquale Sorrentino

(eccetto testi delle tracks n. 2, 6, 9, 12 di Pasquale Sorrentino & Giorgio Volpe)
Musiche:
Pasquale Sorrentino
Arrangiamenti:
Pennelli di Vermeer

Band:
Pasquale Sorrentino (voce, chitarre, ukulele), Stefania Aprea (voce), Pasquale Palomba (chitarre), Raffaele Polimeno (piano, keyboards, moog), Maurizio D’Antonio (basso elettrico), Marco Sorrentino (batteria & voce)

Musicisti ospiti:
Enrico Vicinanza (controtenore nella track n. 3), Giovanni Vicinanza (chitarra elettrica nella track n. 2), Antonio Ostuni (chitarra elettrica nella track n. 7), Rosario Federico (theremin nella track n. 4 e 11).

Sezione d’archi: Fulvio Di Nocera (contrabbasso), Catello Tucci (violoncello), Ilario Ruopolo (violino),

Contributi attoriali:
Gennaro Maresca, Roberto Pappalardo, Floriana D’Ammora, Pasquale Sorrentino, Stefania Aprea.

Illustrazioni: Antonella Ruggiero
Progetto grafico:
Andrea Iozzino

Produzione esecutiva dei brani: Pasquale Sorrentino, Stefania Aprea e Marco Sorrentino

(eccetto tracks n. 3, 5 e 10 prodotte da Giovanni Vicinanza)

Stampa del cd:
Produzione dal basso / Marotta & Cafiero Editori
Distribuzione e Ufficio Stampa:
Marotta & Cafiero Editori