Delirio presciente su Zero K. di Don DeLillo

Mentre qui si rilegge dell’illogicità, dell’incidente della esistenza autocosciente – ci sono Schopenauer e lo scrittore, dispregiatore della vita senziente e di Nietzsche, Thomas Ligotti -, ecco lì la notizia: Don DeLillo ha scritto un nuovo romanzo.
In uscita nel 2016 – un numero a caso, ma adesso con un senso.
A meno che non si regredisca, in Italia sarà pubblicato da Einaudi.

Un po’ della trama, dal soggetto che già adesso conosciamo:
In un presente che non è per tutti, la giovane Artis Martineau sta morendo. Ecco che l’occasione si realizza al servizio di una pianificazione che richiede anni, attenzioni e capitali. La morte imminente, il motore del plot: il marito di Artis, Ross Lockhart, un miliardario sessantenne, è il principale investitore di una clinica segreta dove la morte è “controllata” e i corpi umani preservati per un futuro in cui la scienza biomedica potrà riportare i morti alla vita. Alla coppia si aggiunge Jeffrey, il figlio di Ross.
Ross discute con il figlio, che forse ha un’età molto vicina a quella della matrigna. In questo luogo remoto e insieme possibile e futuro la morte di Artis è incombente e forse va persino accelerata. Tocca trasfigurare il senso del termine Addio. La promessa di una nuova e ripetuta vita basta. Jeffrey si recherà a salutare – forse un arrivederci per la matrigna, forse un incontro con il padre per assistere alla sua ultima impresa imprenditoriale.
L’evento morte è infatti soggetto all’inganno umano – finalmente! – e trasferibile avanti, in un altro tempo e con altri sistemi di manipolazione della vita chimica nella cellula, lì dove è programmata. Siamo verso il Futuro, quel luogo che non ci renderà tutti alti e felici (Cosmopolis), ma che probabile ci possa far rinnovare la vita e superare la morte che dovrebbe accompagnarla e poi concluderla. Anche il futuro delilliano forse cambierà in questo romanzo, e potrà accadere se una promessa verrà realizzata grazie ad impianti appena futuribili.
Ross Lockhart forse ama quella giovane moglie che non è una trophy wife, forse, ma non importa. La tecnica presente e promessa nel romanzo è sufficiente e necessaria a fondare una nuova e vigorosa volontà di potenza, estesa quanto contemporanea. È la realizzazione di un sogno: non morire. Non c’è per questo motivo da esserne felici, potenti? È un processo per pochi quello che sta per affrontare la morente Artis, eppure riguarda tutta la specie, almeno secondo Ross Lockhart.
Proprio la Gloria umana, un motivo fondante per il protagonista. Non la felicità ma la rottura del Meccanismo, quello che non è la necessità a riprodursi nell’inganno di poter essere felici e unici, ma uno nuovo, forse possibile: la negazione della morte. Curare la malattia mortale togliendo lo stato morte dall’equazione, per la gloria di Ross e la possibile salvezza della moglie.
Vedremo come il Maestro svolgerà il dialogo e l’azione. DeLillo è monstrum che sempre coniuga una trama originale a personaggi potenti e unici.
Ecco, l’azione sembra svolgersi nella clinica, descritta come “compound segreto e remoto”. Interessante che torni ancora il tema dell’isolamento, del luogo alieno. Neutra (quasi) rispetto alla città è la limousine bianca (ancora Cosmopolis), segreta è la casa dello scrittore in Mao II, il campo misterioso e lontano della Stella di Ratner, nuove torri nel deserto per gli anacoreti che ascoltano i messaggi dalla volta celeste. Ci ritroveremo ancora in una struttura isolata dalle genti, costruita dove le calamità naturali sono improbabili, dove i terremoti che scandiscono il tempo geologico sono rari, un tempo della terra che scorre più lentamente, dove l’azione dell’uomo può svolgersi in tranquillità in un tempo più sicuro e soprattutto lungo. Il locus absconditus e il futuro, le ambientazioni di DeLillo per eccellenza. Il protagonista Ross Lockhart è un Larry Paige invecchiato? O il tempo dell’azione è il presente e quindi Ross forse non ha un Nine Figure Pack sul conto come genio della fu New Economy? Indispensabile nella storia è la ricchezza dell’0,00001 %, quel tipo di denaro che, insieme alla tecnica, può permettere simili sfide, e investimenti, eroici. Nell’infinita liquidità finanziaria, se non la pace, il vello d’oro può essere creato. L’argomento, incluso nel sogno del Be (no) One si conclude rispetto all’interazione tra le risorse finanziarie e intellettuali del protagonista.

In questo romanzo non ci sarà un’artista, un regista, una fotografa, qualcuno che immortali l’opera, l’immagine, le parole o le statistiche di morte di un vecchio dominatore del mondo. La figura tipica delilliana del Terzo Osservatore sembra comunque riservata a Jeffrey Lockhart. La presenza del figlio, una figura così vicina e non surrogata da relazioni sociali e di lavoro, è certamente una scelta funzionale alla trama. Era da Babette che il protagonista non si trovava ad avere una figura così prossima e comunque intima con cui dialogare. Non sappiamo la posizione di Jeffrey rispetto al padre e alla matrigna morente, ma ha certamente un senso: un figlio è l’immortalità con altri geni. Che caratterizzazione avrà Jeffrey, giovane ripeto, tanto da non avere ancora la prospettiva della morte? Una che scateni una dialettica che va oltre quella padre-figlio. Il ruolo di Artis e la sua interazione, il gioco (Players), sarà limitato dallo stato di morente della prima?
Il pessimismo cosmico-biologico (siamo soli in questo universo, probabilmente) crolla nella possibilità che il viaggio finale non sia di sola andata. Il limite dialettico di scuola sarebbe  già superato con la sola possibilità tecnica che un giorno la morte possa essere sconfitta. Oppure sarà un unicorno, pensabile, aspirazione atavica che è solo illusione, promessa, e Jeffrey farà in modo di annunciare il fatto al padre? Un fatto, lui giovane, che è naturale e potrebbe non essere più: che si muore, comunque.
Sembra che Jeffrey entri in scena per un “uncertain farewell”. Dice Ross Lockhart: “We are born without choosing to be. Should we have to die in the same manner? Isn’t it a human glory to refuse to accept a certain fate?
Non è un altro Underworld. Il romanzo americano perfetto DeLillo lo ha già scritto. È più lungo di 100 pagine rispetto al vangelo Cosmopolis. Non sarà un “mattone”.
Si può trarre qualche altra ipotesi di genere: che le tecnologie utilizzate siano di conservazione, non essendo un romanzo di fantascienza, per quanto il Maestro abbia ben esplorato molti generi; c’è una tecnologia che non è magica ma possibile, minima, una promessa di progresso. Meglio: Artis si affida, consegna se stessa a una speranza. Non sappiamo se la promessa sia quella della criopreservazione. Questa scienza di confine infatti prevede la conservazione del corpo o parti del corpo umano a bassissime temperature. La speranza di Artis sarebbe così che la memoria e la coscienza dell’individuo morto siano comunque presenti nel cervello, salvate come in un hard disk. Futuri progressi della medicina potrebbero riportare alla vita soggetti coscienti già dichiarati morti legalmente. Ecco: si basa sulla possibilità che un giorno saremo in grado di riparare i danni della crioconservazione insieme a tutte le malattie, tutti gli incidenti della vita. Non sappiamo se sia questo il processo segreto di cui ci parlerà il Maestro DeLillo. La crionica è già presente nell’immaginario collettivo e nella produzione narrativa. È già attuale, Zero K. è già anche un business.
Zero K. è forse il suo animale morente senza il tema dell’identità razziale, ma con quello dell’affermazione chiara che uomo ed esistenza sono riconoscibili a sé senza la morte, in un paradigma nuovo: è la morte per l’uomo l’errore? Logico adesso, forse possibile, volerla trascendere. Oppure è il romanzo su una nuova vecchia illusione umana rinnovata da promesse teoriche? L’Uomo crea Lazzaro, in serie e meglio in una totale vittoria della scienza sulla religione per il dominio dell’episteme e dell’uomo?
Se c’era una suggestione di Alice in Wonderland  in la Stella di Ratner, in questo potrebbe esserci quella chiara dell’epos di Gilgamesh: Dio e Re dell’Unica Città, abbandona la civiltà più volte per il mondo ferale e lontano dagli uomini, per trovare il segreto dell’immortalità che, persino nelle sue forme monche e minori, non riesce a cogliere. Forse a Ross Lockhart capiterà questo e la prescienza di DeLillo riserverà ancora di più, di ciò il lettore e tutti potranno gioire o soffrirne il presagio.

In ogni caso, se così dovesse svolgersi il romanzo del Maestro, qualcuno dei personaggi principali potrebbe morire e lo Zero K. del titolo si rivelerebbe un incidente. Uscire dal luogo nascosto è pericoloso e mortale se sei un personaggio del Maestro. Chi è uscito dunque dalla caverna? Non posso non pensare a Jeffrey e al suo viaggio.
Nel poema di Gilgamesh, Ekidu suo compagno muore e le dispendiose quanto eroiche ricerche risultano inutili, così dunque la natura nel compound ristabilisce i suoi termini del tempo sul pianeta con un qualche mortale cataclisma. Non è nella gloria dell’uomo ascoltare messaggi dalle stelle, superare la Lettera Finale o illudersi nella possibilità del non morire. Qui potrebbe stare comunque la gloria di Ross Lockhart, miliardario sessantenne e con lui il genere a cui appartiene.
In quel termine che è (il) finale però, qualcuno muore. E non solo Artis, prima della stasi
Non c’è (sarà) quella quotidianità dello svolgimento che, se non degna di essere letta, certamente non lo è di essere scritta.
Il Maestro da sempre crea grandi narrazioni e c’è altro. Che immagina il Maestro? C’è speranza?
Che tema, l’Ultimo, quello della Morte e oltre quello c’è ancora di più.
Eric Packer è cresciuto e adesso vuole altro. Qualcosa di più.
Gloria, gloria.

Vita.