Diavoli e Angeli lottavano nel buio squarciato da improvvisi lampi, perdendosi nel vuoto di un baratro fiammeggiante. A turno morivano, i diavoli svanendo e gli angeli bruciando, senza prevalere gli uni sugli altri. Improvvisamente, l’incubo ebbe fine, frammentando le tenebre in mille e più schegge luminose.”

Nel sonno turbato di uno dei tantissimi personaggi di Chaturanga il mondo è manicheo, semplice e terribile; di semplice nelle storie, piccole e grandi, degli uomini e donne di questo romanzo però non c’è nulla. La storia è un grande gioco di cause/effetto, è la scacchiera de Il settimo sigillo con la Storia al posto della Morte.

“Ricordo solo che mio padre mi parlò di una partita, nel corso della quale era stato rivelato un segreto.”

Andiamo alla trama. C’è una partita ormai mitica, una che si svolge con un misterioso viandante e che cambia la vita al proprio avversario, le cui mosse vengono tramandate attentamente. C’è un gioco che è il Chaturanga, gli scacchi ma primigeni dove in palio ci sono la vittoria ed esplosioni ‘casualistiche’ della matematica. Da questo gioco gli uomini dovrebbero comprendere il prezzo del sacrificio e della lotta per il potere, la leggenda narra infatti che esso sia foriero di gloria e distruzione. C’è una scacchiera e si narra sia magica, portentosa, capace di moltiplicare esponenzialmente oro e grano; sfortunatamente è questo soltanto che gli uomini cercano. Scorrono i secoli e la scacchiera attraversa i continenti, dalla valle dell’Indo all’Arabia per poi finire nella Palermo del 1700. La caccia alla scacchiera del Chaturanga infuria proprio mentre i Savoia si apprestano a sostituire il governo spagnolo. Siamo in una città strategica al centro del Mediterraneo, in cui l’Inquisizione e i potenti locali combattono per assicurarsi un posto nel nuovo ordine dinastico e insieme per i poteri del Chaturanga che potrebbero rivelarsi decisivi.

“Il tesoro era arrivato in città, alcuni anni prima, custodito da un artista arabo sconosciuto, che era stato assoldato per lavorare alle opere e ai dipinti della nuova Cappella del Palazzo Reale. L’uomo che si chiamava Alì Al-Mustanjid, aveva forse condiviso con Ruggiero II, e con pochi altri, il suo segreto.”

chatu copertina

Giuseppe Pantò, Chaturanga, Historica, 2015

In questo romanzo gli intrecci sono molti e su più livelli. Si tratta di un romanzo storico attento alle fonti e in cui l’elemento fantastico è motore narrativo ulteriore rispetto alle note vicende storiche. L’azione principale si svolge nel nord della Sicilia, tra le strade di una Palermo che è multiculturale e incredibilmente viva, dentro le sale del potere che sono il Palazzo Reale e gli sfarzosi studi delle ville fuori città dei potenti. C’è una lotta tra famiglie che è raccontata, realistica rappresentazione di come ancora oggi i gruppi di potere agiscono e si combattono nella Sicilia contemporanea. Vengono messe in mostra cospirazioni continue, quelle della nobiltà siciliana contro la dinastia sabauda, quella degli emiri tra di loro, dei sabaudi contro i francesi e solo al centro di alcune torna, sempre al momento giusto, il Chaturanga o la sua ricerca disperata e secolare.

“Trascorsero quasi tutta la notte ad ascoltare quel musulmano, arrivato da una terra lontana, che spiegava le regole, le strategie e la filosofia del gioco degli scacchi. Affascinati da quella ludica metafora della vita e della guerra, trascorsero molte delle sere a venire persi nello studio delle mosse di interminabili partite.”

Questo romanzo ha due pregi principali.
Il primo è il repertorio lessicale usato. Chiaro e adeguato a ogni personaggio, non si perde nell’utilizzo di termini desueti salvando insieme solennità e spesso durezza del dialogo tra personalità d’epoca.
Il secondo pregio è il tempo della narrazione. Le reazioni dei personaggi sono conseguenze di cause distanti e così scorrono le pagine in un timing che è realistico e che non ritroviamo in altri autori di romanzi storici, scrittori che applicano all’ambientazione storica una narrazione spesso veloce, inattuale per il tempo che descrivono.
Pantò usa questo “Tempo lungo” per mostrare al lettore una infinita quantità di dettagli, sottotrame, per avere maggiore cura dei paesaggi e delle azioni dei personaggi storici di fondo, al pari di Luigi Natoli e della sua saga dei Beati Paoli o di Gore Vidal.
Pantò, al fine di niente concedere al romanzo storico contemporaneo, rinuncia a un romanzo pop e ne scrive uno con grandi riferimenti letterari.