Chi si muove è perduto. Capita allo sfortunato di muovere, muovendosi, una serie indefinita di soggetti movibili o anche irremovibili – nessuno, in presenza di soggetti in movimento, può restare immobile pur provandoci. Il più grande potere in noi è il potere virtuale, che è la possibilità sempre in essere di spostare gli equilibri circostanti estemporanei. Io posso tutto, in potenza, e questo è tutto quello che al momento non è: la spaventosa ignota possibilità di essere qualsiasi cosa. Se i soggetti ne avessero piena coscienza, il mondo sarebbe perduto, forse. E invece, nell’incoscienza, chi si muove, non sa, ma è perduto.

Così Alessandro, soggetto in genere immobile, solitario, triste, mobilitò se stesso per un’azione che solo un soggetto ignaro di come funziona il mondo può considerare innocua: discese due piani di scale del palazzo dall’appartamento abitato al portone, varcò la soglia del portone del palazzo, una luce accecante lo investì e cancellò la sua ombra – il sole meridiano – e lui ci mise un po’ per abituare gli occhi al mondo oltre il suo micromondo. Ci mise ancora un po’ per abituare i movimenti del suo corpo all’asfalto del mondo. Ci mise ancora un altro po’ per controllare la mente sollecitata da una serie di elementi esterni ignoti. Persone, automobili, animali, oggetti di varia natura, vegetazione, cielo, orizzonti; barcollava Alessandro, e distingueva gli elementi faticando, sudando, boccheggiando. Il cuore batteva il petto per scuoterlo, per risvegliarlo, ma lui, inchiodato dall’impatto, era già pronto a sollevare le braccia e a urlare «mi arrendo! mi arrendo!», che poi chi lo avrebbe ascoltato? Il viso era bagnato e luccicava al sole estivo, i capelli erano bagnati, le ascelle erano bagnate, e questo umido elemento in movimento era gelido.
«Lei è il signor Alessandro Carneri?»
«Chi è? Chi mi vuole?» diceva Alessandro in affanno, e ce ne mise di secondi per distinguere una tuta e dentro una donna che gli chiese ancora se fosse lui Alessandro Carneri, seccata, e Alessandro disse «sì, sono io!» e ancora l’affanno gli faceva tremare la voce e il corpo seguiva movimenti isterici: era tutta la disarmonia possibile, in quel momento.
«Questo è suo.»
La donna in tuta gli consegnò un pacco. Gli fece firmare uno strano oggetto con una penna che non era una penna ma scriveva lo stesso. Alessandro faceva tutto come se attaccato alle sue spalle ci fosse qualcuno che gli aveva appoggiato un coltello alla gola. Deglutiva a fatica. Aveva sete perché la gola era secca. Si ritrovò con una scatola tra le mani mentre la donna in tuta gli aveva già voltato le spalle per andarsene.

«Che ci fai con quella scatola?»
«Non lo so.»
«Sì, ma la fissi da mezz’ora, fermo lì, sotto il sole che sulla testa fa male.»
«Tu chi sei?»
«Il vicino, non mi riconosci? Eppure sono anni che siamo vicini.»
Alessandro sollevò la testa dalla scatola e la volse all’uomo che parlava, un vecchio, era solo un vecchio.
«Ma tu sei vecchio! Perché vivi ancora?»
«Che domanda, maledetto! Porta rispetto, che questo vecchio può pure farti molto male.»
«Non ci credo proprio…»
Il vicino e vecchio digrignava i denti ed era pronto a partire dal punto in cui stanziava per raggiungere Alessandro a metri 2 da lui e fare cose che c’entravano con la rabbia e col dolore, due sentimenti che Alessandro non conosceva.
«Vecchio cosa vuoi fare?» chiese Alessandro, sorpreso.
«Fermati vecchio, che ti viene qualcosa e andare all’ospedale ora sarebbe spiacevole per una serie di motivi che non sto a specificare.» Era stato un altro a parlare, né giovane né vecchio, a tot metri da loro due. Si avvicinava a passo spedito. «Io ti osservo da tempo, ragazzo» aggiunse quest’uomo dalla barba incolta e dall’abbigliamento rozzo di chi fatica di corpo e guadagna poco per vivere ma poi tiene famiglia e tanti problemi diciamo “concreti”.
«E perché? Io mica ti conosco.»
«Che significa? Manco io ti conosco, ma te ne stai piantato qui da mezz’ora con la testa bassa sulla scatola e allora, guarda come te lo dico, tu per me sei un tipo sospetto.»
«Io?»
«Sì, tu!»
Alessandro abbassò di nuovo la testa sulla scatola. Era tranquillo, tutto il vortice che aveva preceduto gli eventi si era dissipato da tempo, doveva ringraziare proprio quella scatola, che lo aveva attratto a sé, isolandolo dal mondo. Ma sembrava che il mondo non fosse d’accordo. Sembrava che il mondo anzi protestasse, ce l’avesse con lui, volesse trarlo a sé e lui, Alessandro, nato fermo e muto, cresciuto poco mobile, giunto al punto di poter vivere da fermo, in clausura ostinata – sopravvivendo grazie a chissà chi che lasciava fuori la sua porta, una volta alla settimana, una scatola aperta un metro per un metro pieno di viveri e necessità altre –, era perplesso. Sì, proprio così, era perplesso per tutto quanto stava accadendo. Non usciva di casa da un tempo che nessuno era capace di quantificare perché nessuno lo conosceva, nemmeno il vecchio vicino che di certo era vecchio ma vicino chissà. Era uscito senza troppo pensarci quel giorno estivo nell’orario in cui il sole è più alto, e si ritrovava con una scatola che questa volta era chiusa. Una scatola piccola però.
«Apri quella scatola, su! Inutile stare a fissarla!»
«Vero, aprila!» aggiunse il vecchio.
«Perché dovrei aprirla?»
«Che razza di domande! Sei da ceffoni!» inveì il vecchio.
«Calma vecchio,» intervenne l’altro «il ragazzo è evidentemente sbilenco.»
«Sbilenco? Io? Che vuoi dire?»
«Che ti muovi in mezzo al mondo tutto storto, e la testa ne soffre, perché le nostre teste vanno bene se stiamo ben dritti, come me, vedi?» e intanto l’altro si impettiva, e continuava «mentre come fai tu, al meglio ripiegato verso terra, è chiaro che poi la testa non funziona come dovrebbe.»
«Vero» aggiunse il vecchio, ripreso possesso di sé.
«Mah…»
Alessandro guardava i due come si potrebbero guardare elefanti che camminano su due zampe o giraffe che saltellano sul collo lungo e molle. Il vecchio intanto continuava a digrignare.
«Insomma giovane, apri ‘sta scatola!»
«Ma perché?»
«Perché è chiusa, no? Che domande! Ti spaccherei la testa!»
«Aprila, tranquillo, ci siamo noi qui a vegliare su di te» lo rassicurò l’altro, che sembrava, nonostante la sozzura dei problemi che si portava sulla pelle e sui vestiti, un tipo di un certo preciso raziocinio.
«Voi non capite, se la apro per me è finita!» disse Alessandro, e i suoi occhi erano lucidi, si era d’un tratto allarmato.
«Sei proprio sbilenco» ribadì l’altro «dalla a me, la apro io, tu intanto tappati le orecchie e chiudi gli occhi.»
«E chiudi anche quella boccaccia da sbilenco che c’hai!» urlò il vecchio.
Alessandro fece due passi indietro e strinse la scatola a sé. Un po’ tremava, ma poco poco: la scatola sul petto lo teneva anche tranquillo, sicuro di sé, in pieno controllo degli eventi.
«Oooooohhhh! E lasciatelo stareeee!»
L’urlo muliebre giungeva dall’alto, dal primo piano del palazzo, dalla finestra.
Tutti tacquero, e dopo qualche minuto di silenzio, d’imbarazzato silenzio, si ritrovarono davanti questa donna giovane e forte, petto dritto e a punta, corpo carnoso e cosce che spuntavano dalla gonna corta che il vecchio e l’altro stavano a fissare.
«Ooooohhhh, e la finite di guardare! Porci maschi!» urlò la donna.
«Tu, invece!» e la donna sfoderò un dito dritto e fermo verso Alessandro «stai male o cosa?»
«Io?»
«Sì, lo guardi il dito o cosa? È verso di te, non vedi?»
Alessandro non sapeva che dire. Il vecchio e l’altro intanto erano spariti, sembravano proprio scappati. Evidentemente quella donna era da temere.
«Allora, stai bene tu?»
«Io?»
«Sì tuuuu, tuuuu, tuuuuuuuu!»
«Sto bene, se tu stai bene.»
«Bene, mi fa piacere. Allora la apri ‘sta scatola o vuoi fissarla ancora per molto? Guarda che il sole prima o poi cala tutto, e resti senza luce, e non avrai più occhi per la scatola.»
«Ah, vero…»
La donna si avvicinò, era a solo metro 1 da Alessandro. Alessandro fece un passo indietro. Ma la donna, di nuovo, si avvicinò.
«Aprila!»
«Ma poi…»
«Aprilaaaaa subitooooo!»
Alessandro no, evidentemente non era d’accordo. Si sedette a terra, sul cemento caldo, e si ripiegò sulla scatola. La scatola, ora, era come il suo cuore, in mezzo a lui, che sembrava contenerla.
«Dai, dai, aprila!» La donna aveva perso la pazienza. Poi tornò in sé.
«Se la apri ti faccio vedere una cosa.»
«Che cosa?»
La donna posò una mano sulla gonna e la mosse. Alessandro, da terra, vide l’oscurità lì dove finivano le cosce. Deglutì, sudò, ebbe un fremito. Guardò la scatola. Era cartone, c’era un adesivo col suo nome cognome indirizzo, poi basta.
«Dai, apri, così ti faccio vedere e anche toccare… fino in fondo…»
Alessandro ora sentiva più caldo, molto più caldo. Di nuovo l’umido colò da ogni piega del suo corpo. Se ne stava a terra, ma la scatola non era più come prima. Tornavano i vortici, tornava tutto quello che lo aveva travolto prima della scatola. E la donna, dall’alto, in piedi con posa rigida e sguardo arrabbiato, era impaziente.
«Apri subito quella scatola, sennò me ne vado e addio, non vedi nulla e non tocchi nulla, e tutto tornerà come prima, prima di tutto, te ne tornì in te, nel tuo mondo, con nient’altro che una scatola chiusa, e la testa prenderà a girarti, e i pensieri a agitarti, e rimarrai a chiederti cosa c’era qui» la donna puntò il dito tra le gambe «e questa domanda, la domanda che tutti voi vi fate finché vogliamo noi, a un certo punto ti scoppierà in testa come un petardo e il tuo cervello sfonderà il cranio e pezzetti grigi e molli come vermiciattoli voleranno poi toccheranno terra e infine strisceranno altrove, non li troverai più.»
Alessandro, ora, si accorse di avere paura. Se ne accorse perché gli sovvenne quel giorno in cui, da bambino come gli altri bambini, entrò in una stanza e qualcuno spense la luce e chiuse la porta e lui rimase dentro, solo, poi un odore forte lo pervase e qualcosa di bagnato gli sfiorò la faccia, come una grande lumaca, e qualcuno accese la luce e lui si ritrovò di fronte il corpo del suo coniglio senza testa e lui urlò e chiese perché e qualcuno rise e rise e alla fine disse che era solo un coniglio, e che prima o poi lo avrebbero ucciso lo stesso, per mangiarlo. A distanza di tanto tempo, si trovò sullo stesso punto, sotto le gambe della donna, proprio sotto, con la sensazione che qualcosa di bagnato avrebbe toccato la sua faccia, ne sentiva l’odore fortissimo, era lo stesso odore del suo coniglio decollato.
Aprì la scatola.
La donna spostò il lembo della gonna, veloce e decisa, e lui a stento vide una palla di peli neri che in un punto sembravano più neri – unti –, e poi la donna gli afferrò la mano destra e la strattonò portandosela tra le gambe e gli districò le dita e un dito entrò dentro e Alessandro urlò e la donna rise e il dito era stretto dentro di lei e Alessandro sentiva come un antro bagnato e non riusciva a uscirne. Tutto lì. Finché la donna allargò le gambe e gli liberò la mano. La mano cadde sulla scatola aperta. C’era un’altra scatola nella scatola.
«Fanculo stronzo, non ho più niente per te!»