Il coltello, uno di quelli a scatto della collezione che teneva giù in cantina, non doveva mai usarlo all’inizio. Quando cominciava la danza, a Evans bastavano i suoi polsi d’acciaio e gli occhi fissi in quelli della donna. Per lei gli occhi di Evans non erano uno sguardo, ma una promessa che sarebbe stata mantenuta. Il coltello lo teneva per il sigillo, e la controfirma. Alla fine di tutto le avrebbe scolpito su un braccio un piccolo cristallo di sangue, che poi avrebbe duplicato su di sé, nello stesso punto, usando come scalpello l’ago ipodermico che aveva in tasca ancora confezionato. La distesa di granturco avrebbe nascosto la scena al mondo, il sole a loro, il rosso del sangue al verde e all’oro della piantagione.
Leggere la paura negli occhi di lei che cresceva mentre avanzavano, piano, tra i filari, e si allontanavano dalla strada, lo sorprese, e subito dopo lo infastidì. Il fatto che non avesse dovuto inventarsi niente di trascendentale per convincerla a seguire con la Toyota il suo pick-up azzurro, le chiacchiere ordinarie che avevano fatto prima di muoversi (il sole inclemente dell’estate anticipata che si era rivelata quella strana primavera, il lavoro, la riforma sanitaria nell’Indiana) e l’assenza di domande quando lui aveva frenato ai margini del campo di mais e le aveva chiesto perentoriamente di scendere dalla sua auto e di venirgli dietro, gli facevano sembrare quel terrore sgomento che si affacciava adesso, del tutto inopportuno e stupido. Dovette capirlo anche lei quanto fosse inutile e senza senso quella passeggiata al riparo delle canne, nel momento in cui lui le prese un braccio e glielo torse dietro la schiena costringendola a piegarsi sulle ginocchia e poi a stendersi supina sulla terra calda e morbida. Non proferì parola, a parte un urlo soffocato dalle foglie e dall’ombra che li pressavano da ogni parte. E tacque anche quando Evans tirò fuori dal tascone sulla pettorina della tuta da lavoro una corda sottile di canapa, lunga e resistente quanto bastava a farla passare intorno a due o tre piante di granturco e a tenere stretti insieme i suoi polsi stanchi. Legarla non serviva a impedirle scappare: la rassegnazione aveva già fatto il suo ingresso definitivo sulla scena; legarla serviva a tenere alta l’attenzione su di lui, a costringerla a guardarlo mentre si slacciava piano gli scarponi, lasciava cadere con una sorta di crudele dolcezza la tuta per terra e si sfilava con due gesti netti la canottiera bianca e gli slip dozzinali dello stesso colore.
A quel punto, come gli accadeva sempre e sempre, restò in piedi davanti alla donna e la guardò senza parlare, quasi trattenendo il respiro. Aspettava con ansia l’espressione di disgusto sincero sul volto e gli piaceva immaginare, sino a convincersene, che la riservasse per i suoi quarantacinque portati senza dignità e che adesso erano nudi di fronte a lei, per il ventre prominente, per la sua erezione miserabile. Era proprio il disprezzo che le leggeva sul viso a chiamare la foia, a gonfiargli il cazzo.
Con un sorriso, non le andò subito sopra, ma le si distese accanto. Si limitò allora a sollevarle il vestito leggero, a sganciarle il reggiseno e a strapparle le mutandine, senza farsi condizionare nei movimenti dai calci che lei tirava a vuoto nell’aria immobile e umida che asciugava la bocca e la gola. Le strinse forte i polsi legati con la sinistra mentre con la destra impugnava il cazzo e glielo ficcava dentro con un colpo solo. Unì le due mani su quelle di lei e cominciò a spingere prima pianissimo, poi sempre più forte. Un attimo prima di finire lo tirò fuori, si mise in piedi e le venne addosso. Non aveva ancora detto una parola. E non aveva detto niente anche lei. Ansimante e sorridente si rivestì, dandole le spalle. Si girò, si inginocchiò e le diede un bacio sul viso umido dove il sudore e il suo seme si mischiavano. Poi prese l’ago, e le incise piano il piccolo disegno sull’omero. Leccò il sangue che iniziava a scorrere copioso e le premette sulla ferita un kleenex. Ripeté il gesto sul suo di braccio. Prima di andarsene, lasciandola lì per terra, prese il coltello e lo piantò nella terra molle, a due pollici esatti dalla sua faccia.
Mentre avanzava tra i filari, la vista gli si annebbiò per un attimo. Aveva la sensazione che il sole gli cuocesse la testa insieme alle pannocchie. Il sangue gli inumidiva la tuta. Scoprì il braccio e lo avvolse in un fazzoletto bianco e unto di grasso che gli pendeva da una tasca. Per ritrovare la strada, come al solito usò il fienile rosso mattone di Caleb come bussola. Salì sul pick-up, si rimise gli occhiali da sole che aveva lasciato sul cruscotto, prese la strada per Fort Wayne e tornò in officina.

Parcheggiato nel garage, quel pomeriggio, sentì alle sue spalle il clacson del bus della scuola. Non entrò in casa allora, ma si diresse al piccolo cancello e lo tenne aperto per lasciar passare i due ragazzini, facendo un inchino. Rosie assunse un’espressione austera, drizzò le spalle ed entrò nel cortile che sembrava una piccola principessa o una fottuta ereditiera come si divertiva a chiamarla Frank, che la precedeva e che scoppiò a ridere. Evans li raggiunse sulla soglia, cinse loro le spalle e aprì la porta. Siamo a casa, gridò appena dentro, e udite udite, siamo in tre, aggiunse. Rachel uscì dalla cucina. Abbracciò Frank e Rosie. Baciò su una guancia Evans. Ho una sorpresa per te, gli sussurrò in un orecchio, prima di rientrare in cucina. A tavola, il sole basso che prendeva commiato dalla finestra lo accecò un istante. Quando riuscì a riaprire gli occhi, davanti si trovò un piatto e dentro uova e salsicce. Anche se non era giovedì. Il tuo piatto preferito amore, disse con una punta divertita di orgoglio Rachel, sedendosi a tavola, accanto a lui. Evans guardò Frank e Rosie sbarrando platealmente gli occhi per la sorpresa e prese per un braccio sua moglie, tirandola affettuosamente a sé. A Rachel sfuggì un grido di dolore. Che c’è, chiese Evans lasciando la presa. Succede che mamma ormai è una specie di veterano dei marines papà, disse Frank ridendo. Evans le alzò la manica del vestito e le scoprì il braccio. Non dirmelo: di nuovo le cesoie e le rose, disse Evans. Sì. Proprio così, rispose allegra Rachel sistemandosi la piccola fasciatura sul braccio punteggiato di cento piccole cicatrici. Ti sta un incanto, disse Evans prima di baciarla.