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«Quel che sono in verità io è la defecazione del mio spirito utilitaristico, pronta per essere incanalata nelle fogne delle anime»

Per via lisergica – o percorrendo un’altra via: che importa? fatti suoi – Pedretta attinge agli antipodi della mente (che poi forse son solo gli antipodi della coscienza nella mente: «la mente è selva sovraffollata d’orripilanti creature» c’insegna del resto Incretolli in Mescolo tutto), li subisce (presumibilmente ne viene fracassato e dissolto, ma questo lo sa lui: qui ci occupiamo del suo libro e non dei suoi postumi di reduce) e poi torna indietro a raccontarci cosa ha visto in È solo controllo.

Scrivo vedere non a caso: il libro è strutturato – per quanto paia paradossale – ordinatamente in una fitta sequenza lineare di visioni e apparizioni (che siano improbabili donne-lucertola lascive, uomini-polpo pedofili, caverne vagina, scimmie giganti o architetture sinistre) che si manifestano durante l’assurdo e terrificante cammino del protagonista a Luxor, città abominevole, distorta e psichedelica, le cui fondamenta son poste nei più sperduti e oscuri recessi dell’immaginario; Luxor la sorella adulta, tossica e corrotta dell’innocuo Labyrinth, dove non domina il dedalo ma il loop. La descrizione del visto primeggia, ma anche gli altri sensi sono sovrastimolati e sovraraccontati e non di rado il testo m’ha ricordato Cuore di cane di Bulgakov.

Proviamo a capire qualcosa della realtà della catabasi allucinata e fantasmagorica di quest’io dissociato. A Luxor un unico principio domina soverchio: il controllo: «deboli e consunti organismi pronti per essere avviluppati e ballonzolati da una dipendenza all’altra, o soggiogati a più d’una contemporaneamente, una concatenazione di bisogni, schiavitù, controlli che si intersecano e si mischiano in una delirante e atroce ansia costante. Un coacervo di bisogni, un puzzle i cui pezzi sono le tante e distinte forme di sottomissione: chimiche, carnali, affettive, del possesso. La sequela frastornante degli attacchi delle droghe non ha fine…» L’io dissociato vuole due cose: uscire da Luxor e trovare il suo amico Carlo, questo il motore dell’azione per le vie e i dungeon della città. L’ostacolo più grande è appunto la fitta rete del controllo predatorio, controllo onnivoro, dilagante: tutto è sotto controllo. Il controllo è la sottomissione a qualcuno o qualcosa, principalmente droghe, ma non necessariamente; anzi l’ampiezza del campo semantico del controllo – come viene spiegato nella parte finale pseudo-pamphlettistica – è enorme: va da dio, al sesso, alle immagini, al denaro, al potere. «Nell’alienazione quotidiana e assillante la fuga non esiste, c’è solo il controllo». «Il Controllo è la calda mamma che ti porge la sua grassa e unta tetta. Non preoccuparti, d’ora in poi i tuoi assilli saranno d’altra natura. Non piangere, d’ora in poi non ne avrai più il tempo, correre dietro alle tue innumerevoli e insubordinate voglie colmerà ogni tuo vuoto».

La scrittura è fortemente ritmata, talvolta incalzante, talvolta ipnotica – leggendo vai tranquillo al galoppo, ma di tanto in tanto emerge un’improvvisa figura archetipico-onirica perturbante che ti disarciona («la scimmia antropofaga. Quella che si mangia e si partorisce ad infinitum»). La prosa è buona e piuttosto lineare anche se tendente al sovraccarico, in particolare l’uso sfrenato di aggettivi la rende non di rado più acerba di quanto non dovrebbe e potrebbe essere, ingolfandola, infantilizzandola, depotenziandola. Maestosi invece gli slanci lirici («rapinatrice di pensieri, matrona di vizi, saltimbanco di erezioni, manipolatrice di piaceri»), che ti fulminano squarciando l’orizzontalità del testo: genuini, acidi, giovepluvieschi.

È solo controllo
Alessandro Pedretta
(illustrazioni di JAB)
AUGH! Edizioni, Viterbo, 2017
pp. 78