1. Napoli

A casa di Ciro Di Nunzio, elettricista e mago, durante il pranzo della domenica si gioca una sfida che consiste nel cercare di indovinare il risultato esatto della partita del Napoli.
Il padre di Ciro dice: “Oggi è due a zero. Gol di Hamsik e Insigne”.
Il fratello di Ciro dice: “Con la Juve? Perdiamo su calcio di rigore dell’infame bianconero”.
La madre di Ciro dice: “Io non ci capisco nulla di calcio, però penso che un pareggio è sempre il risultato più giusto. È come fare pace dopo avere litigato”.
A questo punto, succede che Ciro guarda tutti in silenzio con aria di commiserazione. Ciro è mago e potrebbe dire il risultato della partita, il nome di chi segnerà, il minuto della prima sostituzione, il numero di falli e di cartellini rossi e gialli, chi colpirà il primo palo.
Potrebbe.
“Perché stai zitto?”, dice suo padre.
“Perché vi voglio bene”, risponde Ciro.
Il Napoli va in vantaggio con un gol di Callejòn ma poi ne prende due da Dybala e uno da Higuain.
“Ciro lo sapeva. Non ha parlato per non rovinarci il pranzo”, dice sua madre.
E suo fratello: “Ciro è troppo bravo, ha la scienza”.
E suo padre: “Sarebbe milionario, se solo lo volesse”.
E sua madre: “È davvero incredibile!”
E suo fratello: “Ma come fa?”
A partita finita, Ciro è più loquace e racconta una storia che tutti conoscono a memoria, ma il rispetto impone di ascoltare. È la storia di quando aveva sei anni e un suonatore di pianino gli chiese: “Quale calciatore vorresti nel Napoli?”
E lui rispose: “O cchiù fort do munno”.
E il giorno dopo, sul Mattino, c’era la notizia che il Napoli aveva speso 14 miliardi per acquistare Maradona.
Da allora, Ciro Di Nunzio è mago.

2. Roma

Corrado Davoli aveva scarpe coi bulloni, simili a quelle dei calciatori, e lo chiamavano Kawasaki, come Francesco Rocca, il terzino della Roma che giocava all’olandese, dicevano i giornalisti, perché la grande Olanda che aveva stupito il mondo ai mondiali del 1974 aveva ai lati Suurbier e Krol, due terzini che all’occorrenza diventavano ali pronte ad avanzare, a scambiarsi le corsie o accentrarsi, creando un turbinio che stordiva gli avversari.
Tutte le domeniche pomeriggio, durante le partite della Roma, Corrado Kawasaki correva con la radiolina all’orecchio avanti e indietro lungo via del Corso, sul marciapiede destro, da piazza Venezia a piazza del Popolo, 1500 metri. Poi faceva una pausa, rimaneva immobile come un blocco di marmo, per meglio dire come un busto del Gianicolo sotto un acquazzone, tutto bagnato di sudore, e dopo quindici minuti ricominciava a correre sull’altro marciapiede, da piazza del Popolo a piazza Venezia.
Quando lo vedevi arrivare da lontano, sapevi che quel lontano si sarebbe trasformato in vicinissimo, ma presto, prestissimo, e se non facevi in tempo a scansarti ci avresti perso qualche osso, perché Kawasaki travolgeva qualunque cosa si mettesse fra lui e la sua estasi di corsa.
Un giorno, disgraziatamente, si scontrò con un bus, e chi c’era racconta di averlo visto rimbalzare sull’asfalto e picchiare forte con la testa e col ginocchio. Salvo per miracolo ma costretto a utilizzare un bastone per camminare, Corrado fu colpito da una forma di depressione così profonda che nessun farmaco era in grado di lenire.
Il 29 agosto 1981, mentre era ricoverato a causa di una serie di attacchi di panico, chiese di andare alla partita Roma-Internacional Porto Alegre per assistere all’addio al calcio del suo idolo Francesco Rocca, martoriato dagli infortuni a soli 26 anni.
Quando il permesso gli fu negato, per disposizioni di legge che vietavano ai pazienti di uscire dall’area ospedaliera, Corrado salì su un tetto e si buttò di sotto, da venti metri d’altezza.
Fu l’ultima sua corsa: triste, solitaria e verticale.

3. Pescara

Mariano Posa ha ottantacinque anni, vive alla stazione di Pescara Porta Nuova e sa tutto di calcio, anche il nome del giocatore che ha effettuato più rimesse laterali nello scorso campionato. E se gli chiedi chi ha segnato più calci di rigore nelle giornate di pioggia, Mariano te lo dice. E se gli chiedi chi ha battuto più calci d’angolo, Mariano te lo dice.
Nel 1973, a quarant’anni, aveva superato le selezioni per partecipare a Rischiatutto, il quiz televisivo presentato da Mike Bongiorno. Alle 21,15 di un giovedì sera, sul secondo canale della Rai, avrebbe dovuto rispondere a domande sulla vita di Giuseppe Tontodonati, centravanti del Pescara dal 1940 al 1943, dal 1945 al 1946 e dal 1953 al 1959.
Quando i suoi concittadini seppero che partiva per gli studi RAI della Fiera di Milano, si offrirono di aiutarlo in tutti i modi. Peppino Orazio, il suo medico, si offrì di ospitare a casa la mamma paraplegica e il gatto Bruscolotto. Teresa Spanno, la fioraia, assemblò un mazzo di cinquanta rose bianche, rosse e gialle da regalare a Sabrina Ciuffini, la valletta di Mike. Onofrio D’Ovidio, il salumiere, gli preparò cinque panini per il viaggio.
Mariano salì sul treno accompagnato da un lungo applauso, perché era chiaro a tutti che avrebbe vinto e dato lustro alla città.
Purtroppo, alla stazione di Bologna non si ricordò che doveva cambiare treno e proseguì verso Venezia. Senza accorgersi di nulla, continuò a ripassare i suoi almanacchi di statistiche sportive.
Arrivato, scese urlando: “Milano, sarai mia!”
Ma la risata di un ferroviere gli fece intuire che qualcosa non andava.
Nei bar di Pescara, centinaia di persone lo aspettavano in tv, ma al suo posto si presentò un ragioniere di Rho che rispondeva a domande sulla storia dell’allevamento dei bovini nella bassa padana.
Mariano fece la fine di quei calciatori di talento che, per un imprevisto, uno scherzo del destino, o per il vizio di prendere la vita con troppa leggerezza, hanno visto il loro sogno interrompersi di botto.
Sono passati quarantacinque anni, e Mariano è un vecchio barbone che trascorre le giornate al binario 6, quello dove passa il diretto per Milano. Sta seduto su una panchina a biascicare nomi di calciatori e leggere quotidiani sportivi che trova nei cassonetti dell’immondizia, e appena vede un passeggero solitario, si avvicina e lo supplica: “Fammi una domanda, una domanda sul calcio! Dài che le so tutte, dài!”

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In copertina: Francisco Goya, Disparate de bestia, 1815-1824, etching and aquatint on Japanese paper, Museum Berggruen, Berlin, Germany.