Pare che per approcciarsi all’opera di Roberto Arlt non ci sia scritto migliore di Un viaggio terribile “racconto d’avventura, cronaca di viaggio, parodia […] un perfetto compendio di tutte le ossessioni ricorrenti nell’opera di Arlt, trattate però in modo inedito, mediante un uso sapiente e pienamente maturo dei mezzi narrativi”, così Raul Schenardi curatore e traduttore del racconto per  la collana Gli eccentrici (Edizioni Arcoiris, 2014), nella postfazione apparsa anche sul blog di SUR.
Come già detto, questo però vuole essere un approccio, un accostamento alla letteratura di Arlt (almeno per me, che ho già ordinato anche I sette pazzi, tanto per sprofondare in un altro baratro letterario). Quindi per il momento mi dedicherò a un esercizio metodologico, che si compone di tre punti: teoria sull’umorismo; applicazione della teoria; l’inganno e l’amore come sentimenti del contrario.

1.       Teoria sull’umorismo.

A differenza dell’ironia e del sarcasmo, che agiscono in funzione di una vis comica, l’umorismo si può dire che funzioni invece come deterrente del fatto comico, ossia della risata schietta o addirittura del ghigno di disprezzo, a favore di una vis indagatrice, che però non ha nulla di psicologico, ma si attiene profondamente all’aspetto inquisitorio di quella cosa chiamata realtà o umanità (termini che in un ambito strettamente psicologico sono stati spesso usati come sinonimi).
Nel suo saggio sull’umorismo[1] Pirandello definisce l’umorismo come il sentimento del contrario:

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, […] ecco che io non posso più ridere come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.

Per far nascere questo sentimento del contrario, in pratica per scrivere qualcosa di umoristico è necessario che ci siano almeno due aspetti contrastanti, divergenti, dall’incrocio dei quali far scaturire appunto questo riso amaro (e se non proprio amaro, almeno agrodolce).
Continuando a leggere in Pirandello, si trova un altro chiarissimo esempio in proposito:

“- «Signore, signore! oh! Signore, forse, come gli altri voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi annoio raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò…» – Così grida Marmeladoff nell’osteria, in Delitto e Castigo del Dostojevski, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa e disperata d’un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vedere altro che la comicità”.

2.      Applicazione della teoria.

Domanda: dove avviene il passaggio tra avvertimento e sentimento in Un viaggio terribile?

Il passaggio da un approccio propriamente ironico e comico, avviene tra la fede scientifica e la superstizione (o fede religiosa tout court) e più precisamente tra i personaggi che agiscono e parlano schierandosi dall’una e dall’altra parte.
Scienza e fede fungono entrambi da innesco della trama, sono i fatti che spingono il narratore, e protagonista, a imbarcarsi sulla nave Blue Star in rotta per Panama, luogo da cui si sarebbe di nuovo imbarcato alla volta di Honolulu nelle vesti di agregado honorario della Commissione Simpson, la quale, come si legge, avrebbe studiato l’efficacia di un nuovo brevetto acustico per sondare le grandi profondità del Pacifico.
L’attenzione ai fatti propriamente scientifici (gli studi geologici della Commissione) non è, alla luce di quanto detto prima, da considerarsi la sola chiave di lettura del racconto, poiché Arlt la intreccia al suo contrario (una crociera, viaggio di piacere che si muta in sventura), e anzi fa risaltare l’aspetto superstizioso, giocando a nascondere nel corso della narrazione il vero motivo della catastrofe, il megasisma in cui si imbatteranno i viaggiatori della Blue Star, per farlo, poi, riemergere nel momento in cui tutto sembra perduto, mettendo sulle labbra di uno dei più ambigui personaggi del racconto, il medico di bordo, ginecologo di professione, la prova ineccepibile che il disastro non è dovuto alle iatture di Luciano (cugino del protagonista e suo doppio), ma effettivamente a un crollo strutturale nella crosta suboceanica, che ha provocato il vortice nel quale la nave sta lentamente per essere risucchiata.
Da subito, cioè dalle prime righe del racconto, il gioco dei contrasti è evidente. Il racconto si apre con queste parole: Una volta un astrologo mi disse che il segno zodiacale che presiedeva la mia casa natale segnalava, fra altre disgrazie, gravissimi pericoli durante viaggi per mare, e io sorrisi con dolcezza perché non credevo nell’influenza degli astri.
Ma se il narratore-protagonista “incarna” la scienza, le da voce insomma, la superstizione è incarnata da Luciano, sua controparte. La sua prima apparizione, come le sue successive sentenze di inevitabili catastrofi o di altrettanto irreparabili soluzioni ai vari incidenti di percorso durante il viaggio, mostrano il carattere del personaggio. Luciano appare, mentre il cugino se ne sta disteso sull’amaca, e gli annuncia che «Alla Sirena di Sale, il più importante locale notturno di Antofagasta, mi hanno informato che la nave non ha cambiato soltanto il padrone, ma anche il nome. In origine si chiamava Don Pedro II e non Blue Star. E come sai, la nave che cambia nome è condannata alla sciagura».
Poco più avanti, però, dopo aver passato in rassegna gli altri passeggeri della crociera, uomini e donne al limite del ridicolo, malfattori, pazzi, ubriaconi e puntualmente religiosi, neanche il narratore si tira indietro nell’indovinare chi “veramente” fu lo iettatore e sentenzia: Mio cugino Luciano credeva che a richiamare la sventura sulla nave fosse stato il cambio di nome, ma si sbagliava. Ad attirare la sventura fu il sinistro Ab-el-Korda, che ogni sera, al calar del sole, si inginocchiava rivolto a la Mecca e faceva le sue preghiere, con gli occhi a mandorla luccicanti.
Constatazione ineccepibile! E come è risolutivo, dimostrativo e insieme assurdo quel “ma si sbagliava” sulle labbra del protagonista, che ha fatto professione di una evidente (e ora traballante) fede scientifica. In fondo si potrebbe dire che Arlt costruisca la storia su un lungo, costante “ma si sbagliava” e che in questa circostanza, come altre nel racconto, si diverta a imbastire proposizioni assurde, che nelle loro soluzioni lasciano l’amaro in bocca e ai personaggi e al lettore.

3.      L’inganno e l’amore come sentimenti del contrario.

L’imbarco e la partenza del narratore-protagonista sono segretamente motivati da alcune truffe che questi – per sua stessa confessione! – ha messo a segno ai danni dello stato cileno, fatto che, se fosse venuto alla luce, avrebbe potuto inficiare il buon nome della sua famiglia, che quindi preme perché si imbarchi per unirsi alla Commissione, la quale a sua volta fungerebbe da copertura per la fuga. In fondo, però, la famiglia non vuole altro che liberarsi del figlio, come lui stesso ammette di aver sospettato: e mi viene da pensare, chissà perché, che i miei parenti avessero la segreta speranza di liberarsi di me con l’aiuto degli antropofagi che si suppone esistano ancora nelle isole dei mari del Sud. Personalmente, ritengo responsabile di questo suggerimento un mio cugino di secondo grado, Gustavo Leoni, assiduo lettore di Emilio Salgari.
La citazione en passant alla letteratura fantastica, alla feconda invenzione di avventure in luoghi lontani e pericolosi, fornisce un altro tassello nel mosaico umoristico del racconto: l’inganno.
L’inganno è forte in molte scene del racconto. Si presenta spesso a caratterizzare un evento, in particolare in due punti: l’incendio della stanza del reverendo e la scomparsa dei bagagli di Miss Herder.
Nel primo caso, sono esplicite le parole del narratore: La traversata ebbe un prologo quasi esilarante, due ore dopo che la Blue Star aveva levato l’àncora. Ancora una volta, è un dettaglio minimo che dà la chiave di lettura umoristica, che definisce il sentimento del contrario, quel “quasi esilarante”, formula che diminuisce il senso del ridicolo e lascia aperto uno spiraglio alla riflessione. E poco dopo si legge: Questo fu l’incidente che rese “amena” la prima serata di viaggio, una volta usciti dal porto di Antofagasta. Ma chi è stato a appiccare l’incendio e chi farà sparire i bagagli? La risposta più ovvia è quella di Luciano, che ripete ironicamente le parole che il Capitano della nave gli aveva rivolto al momento dell’incendio: «Signore… signori… è proibito essere indovini su questa nave!». Anche qui è l’inverso, il contrario, a creare suspense e infittire la trama dell’inganno, tenendo sempre presente che Luciano parla in nome di una superstizione che è a sua volta l’inverso della logica, della ricerca e che lo farà inorgoglire quando il Capitano, dopo aver perlustrato tutta la nave, tornerà sconsolatamente a riferire che i bagagli non sono stati trovati. Un punto per Luciano, che gli farà guadagnare soltanto il timore dei membri dell’equipaggio e alimenterà la paura dei passeggeri, oramai consapevoli che a bordo c’è un uomo capace di essere indovino e profeta di sciagure. L’inganno vero e proprio verrà smascherato più avanti, salterà fuori la colpevole e i rapporti tra il Capitano e Luciano diverranno così tesi, che il Capitano sarà costretto a mantenere la sua promessa e rinchiuderlo in una prigione improvvisata, per non sentire più le sue deliranti previsioni. D’altronde, di lì a poco la “vera” sciagura, il megasisma, non tarderà a palesarsi e il delirio a quel punto toccherà vette di parodia e di pazzia tali che il fatto comico, di cui il lettore avrà goduto per i primi sei, sette capitoli del racconto si tramuterà inevitabilmente in quel sentire di cui parla Pirandello. Quel riso sarcastico si muterà in preoccupazione, poi in disperazione e tutti, ad esclusione del solo narratore, sentiranno che l’ora della fine è giunta e si daranno alla più estreme dimostrazioni di presa di coscienza di una morte imminente e atroce.
Ancora una volta, Arlt sfrutta il personaggio di Luciano per arricchire il senso di sciagura. La sua morte è, probabilmente, il momento in cui l’umorismo del racconto tocca uno dei suoi vertici: Arrivò la notte, e il terrore dell’equipaggio aumentò. Diversi miserabili ritenevano mio cugino Luciano responsabile di qualsiasi disgrazia succedesse a bordo. Quando meno ce lo aspettavamo, il calzolaio redento dal tirasuole, il ruffiano riciclato, il guardascambi e qualche altro spione, si diressero verso la cabine di quell’infelice, lo afferrarono per le gambe e, quasi trascinandolo, lo gettarono nell’oceano. In quella circostanza accadde un fatto che si può ben dire straordinario. Invece di sprofondare sott’acqua o di galleggiare orizzontalmente, mio cugino rimase conficcato verticalmente nell’oceano, come uno di quei pupazzi di celluloide che alla base hanno una sfera di piombo. Agli occhi di quegli spioni, una così strana capacità di restare a galla era la prova lampante che Luciano era uno stregone, e di conseguenza l’unico responsabile di tutte le sventure che ci capitavano. Le cose non stavano così. Luciano non era uno stregone, ma un disgraziato che aveva commesso l’imprudenza di indossare un giubbotto salvagente sotto l’ampia vestaglia.
La riflessione, verso la quale sembra voler condurre Arlt, è che la superstizione è di per sé ridicola, ingannevole tanto quanto la verità, e proprio per questo ciò che genera è un insieme di contraddizioni e produce quel riso amaro, misto di ironia e consapevolezza (o coscienza) che produce un sentimento contrario a quello che l’ha provocata. Non si riderà più di fronte alla sciagura di Luciano, ma semplicemente lo si guarderà sprofondare nel vortice oceanico senza poter fare più nulla, consapevoli che riderne o averne timore o pietà sono soltanto “sentimenti” iniziali, soverchiati alla fine da un angoscia e da una pazzia senza controllo, cui neanche la salvezza finale potrà porre rimedio.

E in questo marasma di situazioni assurde, non meno sorprendente è l’amore. Non meno ingannevole o motore d’umorismo.
Il viaggio sulla nave Blue Star è segnato dai fidanzamenti, oltre che dalla sciagura. C’è, ad esempio, quello tra il telegrafista e la signorina Mariana, che fino a poco prima dell’annuncio del megasisma sono addirittura pronti a convolare a nozze; e ovviamente quello tra il narratore e Annie. Così dice di lei il protagonista: Annie! Non ho mai conosciuto una creatura più voluttuosa di quella ragazza, malgrado la chimica industriale. Annie era ingegnere chimico. Se mi affacciavo sul pozzo delle sue conoscenze ero travolto da un turbine di sapienza. Quando, malgrado la chimica, mi passava il suo braccio fresco intorno alla nuca entravo nello stato estatico di cui deve godere il rospo in presenza della rosa.
L’amore è il più dolce e pericoloso degli inganni. Il più resistente al dubbio. Da subito, infatti, il viaggio del protagonista assume un altro scopo, è diretto verso un’altra meta. Non gli importa più della Commissione Simpson per i Sondaggi, ma soltanto di andare con Annie a Shangai. E anche qui immancabilmente Arlt con due parole dà la cifra di questo amore e della portata dell’inganno, ripetendo quel “malgrado la chimica”, allo stesso modo in cui aveva avvertito riguardo alle previsioni della sciagura e agli incidenti occorsi in navigazione.
E questi avvertimenti, ossia questi smussamenti comici, sono utili proprio in visione di un ribaltamento di senso. L’amore tra Annie e il protagonista li distoglie, li allontana in qualche modo, dal peso delle vicende di viaggio. L’amore li alleggerisce, o meglio a sentirsi leggero è proprio il narratore, che sembra aver trovato nuova linfa vitale grazie alla passione per la ragazza. Passione che è rafforzata dalla “scienza”, Annie era una sapiente, o quasi dice il protagonista e nessuno, almeno tra i passeggeri, saprebbe capire l’importanza della conoscenza scientifica. È quindi una sorta di affinità che li lega, oltre alla voluttà della carne. Eppure quanto riesce a offuscare la vista l’amore appena sbocciato, quanto è sordo di fronte agli ammonimenti di chi non è sopraffatto dal trasporto dei sensi. Così accade che il narratore resti stordito alle parole del medico di bordo (lo stesso che, come detto, sarà abbastanza lucido da decifrare la catastrofe), quando questi gli dice senza mezzi termini che Annie è pazza. La sua reazione è in linea con quanto detto sopra, l’amore ha avuto il sopravvento, accecandolo, assordandolo e facendogli sembrare ogni altra cosa sotto una luce sgradevole. Uscito di scena il medico (descritto quasi come un fantasma shakespeariano), le parole del protagonista sono più che emblematiche: Mi strinsi disperatamente le tempie e d’un tratto, come qualcuno, un altro fantasma, volesse guarirmi dalla terribile rivelazione, una voce sottile mormorò al mio orecchio interno: «Tutto quello che ti ha raccontato il medico ubriacone è falso». Tirai un sospiro di sollievo. Annie non era pazza. Io non volevo che fosse pazza. E poco dopo, a confortare la voce che parla all’orecchio interno: Tirai un sospiro di sollievo. Nessuno dei giudizi, dei discorsi o degli atteggiamenti di miss Annie rivelava che soffrisse di disturbi mentali.
Il loro amore si rinforzerà ora dopo ora, a dispetto degli altri rapporti umani che tenderanno al contrario a sfaldarsi, infittendo sempre più il sospetto e incrementando le distanze tra i passeggeri e l’equipaggio della nave. Le cose cambieranno anche in amore di fronte alla fine, alla morte inevitabile che sembra recare il megasisma. E il protagonista prende atto del cambiamento in maniera del tutto contraria al modo in cui aveva affrontato il dubbio instillatogli dal medico: Sono curiosi i fenomeni psichici che si verificano nei momenti di terrore! Io, che fino a un giorno prima pensavo di legare il mio destino a quello della voluttuosa Annie, in quei momenti neanche mi ricordavo di lei. Qui, come prima, non è il riso comico, il sarcasmo o l’ironia, ma una riflessione più profonda a generare un “sentire contrario”, una percezione opposta di ciò che finora Arlt ha descritto come amore, cioè la cecità, la sordità di fronte all’inganno più dolce, e che ora si mostra come distacco, quasi una inflessibile atarassia, che porterà da qui alla fine del racconto a una visione diametralmente inversa e in concordanza con le parole del medico. E quando, in procinto di essere salvati, il protagonista prova a richiamare l’attenzione di Annie, non può fare altro che constatare la veridicità di quell’ammonimento: Allora capii. Era impazzita. […] In quel momento seppi che il medico di bordo non mi aveva mentito.

Pare, dunque in ultima e generale analisi, che come in molti altri casi, partire da un’opera più matura di uno scrittore offra la possibilità di ricavarne i suoi “parametri creativi”, le sue ossessioni e concede la possibilità di arrischiarsi in esercizi che hanno in fondo la capacità di attrarre un lettore verso quell’opera, e di tenercelo avvinto in saecula saeculorum.


[1] L. Pirandello, L’umorismo, Roma, Tascabili Economici Newton 1993.