Autogrill. Gente che mangia cornetti. Gente che beve caffè. Gente che beve cappuccini. Gente che sfoglia riviste. Poi, tante altre cose. Giulio, quarantatré anni, celibe, libero professionista, maschio, segni particolari nessuno.  Se ne sta di mattina seduto all’angolo bar sorseggiando succo d’arancia. Va in bagno, dove l’odore è quello di tutta la  gente che c’è passata. Giulio non tocca nulla, urina ed esce alla svelta.
Fuori fa caldo, Giulio prende fiato, dentro è stato quasi in apnea. Si dirige in macchina. Utilitaria in ottime condizioni. Giulio entra, prende lo smartphone dalla borsa di cuoio, smanetta un po’, infine ripone e parte.

Case bianche e azzurre e vasi esposti sui balconi, gente con costumi e carnagioni scure, sole cocente, venticello fresco e salato, mare a pochi passi. Giulio, appena parcheggiato, si inoltra nei vicoli stretti. Le mura dei palazzi portano crepe come graffi teneri del tempo, la bellezza resta, la bellezza del ricordo, le villeggiature, i bambini che corrono, i gelati, la felicità vera, è questa la bellezza dei luoghi di vacanza: fanno più caldo dentro, riportano indietro, ai limiti della commozione. Cosa è stato di quei tempi chiari e soleggiati e insieme? Restano nella fessura, in testa, lì dove tutto non vuole morire, tutto non vuole abbandonare, ma riposare: la letargia del passato. Giulio sta fissando la crepa, immobile, all’ombra, e vorrebbe toccarla,  sentire lo sfrigolio della materia che cede, del solco che cresce, della fine che si approssima, vorrebbe penetrare la volatilità della vita dalle mura; l’istinto a farlo, a dirigere il braccio lì dove tutto sta già crollando, resta un vago desiderio di agire.
Giulio si ridesta dal torpore, raccoglie la borsa da terra e riprende il suo cammino in direzione contraria al mare.

Davanti alla porta  prende tempo. Porta il fazzoletto di stoffa alla fronte, è bagnata.  Caldo  e  sudore, porta il fazzoletto al collo, lo ripone in tasca; porta le mani ai capelli, radi, corti, neri e bianchi, ci vuole poco per dare un ordine; porta le mani al viso, sente la pelle, la peluria dalle gote al collo, in crescita, da pochi giorni, ma la barba piace; immagina le rughe, la decadenza in atto, la gioventù perduta da tempo; sente che il corpo non ha più nulla da dire; Giulio ha paura, le nocche al legno, bussa.

Sotto il lenzuolo bianco ci sono gli umori e i corpi restii. Lei fuma come una diva, schiena al muro e lenzuolo stretto al seno. Lui è lontano, silenzioso, turbato. Non è andata bene, pensa, e vorrebbe sentire lei, ascoltare parole anche dure, ma lei tace, se ne sta lì a fumare, con gli occhi azzurri che sembrano persi, e il viso ha una piega dura. La donna ha trentuno anni, un divorzio sulle spalle come una soma, disoccupata, femmina, segni particolari un tatuaggio sulla schiena che ricorda l’adolescenza. Ha un corpo ancora tanto liscio, la pelle scura, le forme sode. Lei è una bella donna, ma vive per vivere. Lo ha accolto alla porta salutandolo a stento. Poi diritti in camera da letto. Pochi minuti, fine.
«È andata male», dice Giulio.
Lei non risponde. Fuma, e pensa, e guarda davanti a sé – è sola.

In macchina, Giulio è preoccupato. Ha le mani strette al volante, la fronte sempre più madida, la bocca si apre in un singhiozzo, piange.
Lo smartphone trilla, lui lo guarda, ha un tremito.
Attiva la schermata, entra nella app.
Nel suo profilo una foto di quattro anni fa. Si guarda allo specchietto: la carne reggeva meglio, allora. A un certo punto tutto decade più velocemente, lui lo sa, a un certo punto quattro anni sono tanti.
Quattordici pollici verdi su, e sorride. Ma in cima, ultimo feedback, un pollice rosso giù. Clicca, appare un commento: “Troppo veloce”.
Due parole. Avrebbe dovuto pagarla, avrebbe dovuto comprare il feedback positivo, è stato stupido, non ci ha pensato, troppo preso dal fallimento.
Adesso deve ricominciare, ripartire dalle donne vecchie, brutte, con quell’odore forte di creme e sfaldamento, che vestono male, che si curano male, che parlano tanto e della loro vita e del loro passato e di troppo altro che non può interessare a nessuno, sebbene loro su quei ricordi ci vivano. Oppure ricominciare dalle donne giovani e brutte, che in camera da letto chiudono tutto, cercano l’oscurità assoluta, sperando di essere toccate per quello che non sono, e che fanno sesso e ci mettono tutto e credono di fare l’amore, si impegnano fino all’artificio, e sono disposte a fare qualsiasi cosa. Ripartire da un livello inferiore, proprio ora che si stava divertendo: dall’undicesima in poi tante soddisfazioni, sesso e bellezza in ascesa, la quinta gli è stata fatale. Ogni dieci un passaggio di livello. Sempre più belle, sempre più giovani, fino a sedici anni.
Giulio è arrabbiato, deluso, disperato. Giulio ha sognato di rivivere il tempo finito.
Chiude la app Sex male maps. Ripone lo smartphone in borsa e se ne va.