Il problema dell’estetica nicciana (o fisiologia dell’estetica), che Alfharidi ha già trattato qui, trova già in Umano, troppo umano una sua prima versione, dove si sente la leggerezza che ancora non si era trasformata in disperazione. Non dirò nient’altro a riguardo, ma – com’è proprio di Filologicon Crapula – vi lascio alla lettura.

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160. Uomini creati. Quando si dice che il drammaturgo (e l’artista in genere) crea veramente caratteri, ci si abbandona a una bella illusione e esagerazione, nella cui esistenza e diffusione l’arte celebra uno dei suoi trionfi involontari e, per così dire, eccessivi. In realtà noi non comprendiamo molto di un vero uomo vivo e generalizziamo molto superficialmente, quando gli attribuiamo questo o quel carattere. Ora il poeta corrisponde a questa nostra assai imperfetta posizione rispetto all’uomo, facendo diventare uomini (in questo caso «creando») abbozzi tanto superficiali, quanto è superficiale la nostra conoscenza degli uomini. C’è molto abbaglio per questi caratteri creati dagli artisti; essi non sono affatto corposi prodotti della natura, bensì, a somiglianza degli uomini dipinti, sono un po’ troppo sottili, non sopportando di essere guardati da vicino. Quando poi si dice che il carattere dell’uomo vino ordinario si contraddice frequentemente e che quello creato dal drammaturgo è il modello che la natura ha tenuto presente, si afferma una cosa completamente falsa. Un uomo reale è in tutto e per tutto qualcosa di necessario (anche in quelle cosiddette contraddizioni), ma noi non sempre conosciamo questa necessità. L’uomo inventato, il fantasma, vuole significare qualcosa di necessario, ma solo agli occhi di quelli che intendono anche un uomo reale secondo una rozza e innaturale semplificazione: sicché un paio di tratti forti, spesso ripetuti, con molta luce sopra e molta ombra e penombra intorno, soddisfano completamente le loro esigenze. Essi sono, cioè, subito pronti a trattare il fantasma come uomo reale e necessario, perché sono avvezzi a prendere, nell’uomo reale, un fantasma, un’ombra, un’arbitraria abbreviazione per il tutto. Che poi il pittore e lo scultore esprimano l’«idea» dell’uomo, è vana fantasticheria e inganno dei sensi: si è tiranneggiati dall’occhio, se si dice una cosa simile, perché quest’ultimo, anche del corpo umano, vede solo la superficie, la pelle, mentre il corpo interno fa altrettanto parte dell’idea. L’arte figurativa vuol rendere visibili i caratteri epidermici; l’arte poetica adopera la parola allo stesso scopo, essa disegna il carattere nel suono. L’arte muove dalla naturale ignoranza dell’uomo circa la sua intima essenza (come corpo e carattere): essa non è fatta per i fisici e per i filosofi.

Da Umano, troppo umano, Ed. Adelphi 2013 – Versione di Sossio Giammetta