“Le idee dei grandi uomini sono il patrimonio comune
dell’umanità; ognuno di loro non possedette realmente
che le proprie bizzarrie.”

Marcel Schwob

Davanti a nomignoli quali L’oscuro e Il piangente, c’è ben poco da fantasticare: la vita di Eraclito (celebre filosofo del VI secolo a.c.) fu avara di soddisfazioni. Nato nella ricca e potente città di Efeso da una ricca e potente famiglia aristocratica – i rapporti col padre (ovviamente ricchissimo e potentissimo) non dovettero essere dei più felici. Di Eraclito sappiamo infatti che tutto ebbe inizio all’età di vent’anni (a detta di alcuni diciassette), quando, infervorato dall’ennesima lite col padre, il nostro risolse di tagliare i ponti con la famiglia e le opprimenti aspettative che questa nutriva nei suoi confronti (i genitori volevano che il figlio diventasse cardinale[1] o giù di lì) per dedicarsi a una vita solitaria e di solo pensiero, malinconica ed errabonda, sulle brulle e inospitali collinette che sorgevano d’intorno la città di Efeso, poco fuori le mura.

Sembrerà strano, vista la fama del personaggio, ma, arrivati a questo punto della storia, non c’è altro da raccontare. L’inizio, nel caso della biografia di Eraclito, coincide con la fine. Una volta rifugiatosi in collina, non gli sarebbe successo più niente che valga la pena d’essere ricordato. L’inclinazione alla filosofia e una dieta a base di bacche, erbette di campo e lucertole nel giro di appena qualche mese finirono col guastargli irrimediabilmente il sangue. A furia d’ascesi, L’oscuro si mise in testa d’essere chissà chi, d’aver capito chissà cosa, che il mondo va alla rovescia, che noialtri siamo tutti scemi e così via, i soliti capricci di un carattere evidentemente isterico. Capricci che (e in ciò concordano tutti i dossografi) il filosofo confuse volentieri per eterne verità.

Di fatto, non c’era niente che gli andasse a genio a quello lì. Eraclito odiava tutto e tutti. Ma soprattutto odiava i poeti, eccome se li odiava! da perderci il sonno. Omero ed Esiodo per lui rappresentavano nientemeno che una confutazione dell’esistenza. A dispetto di questi suoi invincibili sentimenti di disprezzo nei confronti dei fratelli in Apollo (o forse proprio in virtù di questi), Eraclito dedicò parte delle sue inconcludenti giornate all’arte, scrivendo un libro[2] in cui raccolse un florilegio di pregevoli intuizioni poetiche intorno alla vita e alla morte. Ammaliati dal piglio sentenzioso e teatrale della sua prosa, autori del calibro di Nietzsche, Heidegger, Fink e Gadamer videro bene d’incensare la sua grama esistenza. Meritano una particolare attenzione i versi che il poeta latino Lucrezio dedicò a lui e ai suoi seguaci:

Errano quelli lontano dal vero che il fuoco
pensarono primo e solo elemento
e fatta di fuoco la mole del mondo.
Eraclito guida costoro alla lotta,
da oscuro linguaggio reso famoso
più tra gli sciocchi e i vanesi
che non tra quei greci pensosi del vero.
Infatti gli sciocchi ammirano ed amano
quanto vedono nascosto in parole distorte
e affermano vero quanto seduce leggiadro
le orecchie, soffuso di suoni graziosi[3].

Pedante, spocchioso, schifiltoso fino al parossismo – l’eterna Giustizia non fece sconti: Eraclito spirò intorno ai sessant’anni, ricoperto (così racconta Diogene Laerzio[4]) da una montagna di merda.


[1]    . Βασιλεύς

[2]    . Περί φύσεως

[3]    . De rerum natura I, 635-644

[4]     . Βίοι καὶ γνῶμαι τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ εὐδοκιμησάντων, IX