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È noto che la narrazione di genere riesca, nei suoi momenti migliori, ad affrontare questioni cruciali con più chiarezza ed efficacia di tanta narrativa mainstream o dedicata all’introspezione.
Questo accade perché il genere immerge i suoi protagonisti in situazioni davvero estreme (basti pensare ai romanzi di Philip Dick, o ai racconti di William Gibson, o a Stephen King, ma anche alle varie tradizioni mitologiche), costringendoli ad affrontare di petto quelle difficoltà che condividiamo tutti: il confronto problematico con l’ignoto, la fatica di vivere e di condividere la vita con i nostri simili, l’incerta relazione con il divino/Altro, la fallacia delle nostre percezioni e delle nostre credenze.
Più l’autore si interroga con sincerità su tali questioni, più profonda e personale (e riuscita) sarà la narrazione; e nel caso de Il Mondo sul Filo, romanzo fantascientifico di Daniel F. Galouye, il gioco è condotto talmente bene da uscire dalla pagina per insinuarsi nel lettore in maniera sottile e duratura.

La storia di Doug Hall, esperto di programmi di simulazione che si ritrova coinvolto in complotti e sparizioni di cui nessuno sembra accorgersi, si evolve in fretta dal thriller di ambientazione fantascientifica alla ricerca esistenziale; tale percorso non si conclude nel momento in cui il nostro si rende conto di far parte egli stesso di un programma di simulazione, e quindi di non essere reale, ma anzi, è proprio da qui che le cose cominciano a farsi interessanti.

Per fare un esempio, durante un dialogo di quelli cruciali, il protagonista, costretto a prendere atto della non-esistenza sua e del mondo che lo circonda, afferma, esasperato, che “si tratta di una cosa seria”; e la sua interlocutrice gli risponde che non è così. Ciò che rende il passaggio particolarmente interessante è che la suddetta interlocutrice è, per il protagonista, un punto di contatto tra il suo mondo e un mondo altro, tra lui e il suo creatore; e ci si chiede se la dichiarazione di non serietà della situazione voglia affermare qualcosa che va oltre la finzione, associabile al contesto del lettore oltre che a quello della narrazione.

In un altro momento del romanzo, Doug, ormai rassegnato alla sua condizione di irrealtà, affronta il problema della propria esistenza rispolverando il motto cartesiano del cogito ergo sum; conclude che, in quanto capace di autocoscienza, egli è una creatura reale, e il fatto che anche il mondo attorno a lui sia frutto di finzione non gli impedisce di provare di fronte a esso reazioni fisiche ed emotive. Esistere, afferma Doug, consiste nel sentire e riflettere su quanto si sente: l’oggetto esterno diventa quasi secondario rispetto al vissuto che abbiamo con esso (a tal proposito è emblematica la relazione tra Jinx e Doug), la vita non prescinde da ciò che noi percepiamo.

Potrei andare avanti all’infinito. Galouye è uno scrittore che non rinuncia alla divagazione filosofica, purché ancorata all’azione ricca e serrata, rafforzandone così l’efficacia e lo spessore: il protagonista stesso cresce assieme alle vicende che attraversa e, rielaborandole, dà vita (e senso) al suo personale percorso; nel riesaminarsi, nel relazionarsi con l’altro da sé, si riconosce come elemento attivo, arrivando addirittura a comunicare direttamente con il suo creatore, cercando di influenzarne le azioni.
Un po’ come facciamo tutti.

Daniel F. Galouye
Il Mondo sul Filo (1964)
trad. it. di Federico Lai
Atlantide Edizioni, 2016
pp. 256