Ho finito l’ultimo libro di Massimiliano Parente in un lampo – l’ho comprato in ebook qualche giorno fa dopo aver letto una serie di articoli sulla rivista Satisfiction contro Parente, contro in un modo talmente ossessivo da convincermi a prendere il libro.

Il fatto è che, una volta aperto Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hiter, ho dovuto finirlo il prima possibile. C’è una chimica, un elemento di traino fortissimo e innegabile – una chimica (un’invenzione o appropriazione dell’autore a partire dalle scoperte fondamentali del Dadaismo, del Surrealismo, e dal filtro fondamentale di Marcel Duchamp) che si dice in modo netto in due luoghi del romanzo, tra cui l’epigrafe: “Io sono l’inconscio collettivo”; e “io sono la forma della coscienza della superficialità dell’umanità”. Questo elemento di traino è così forte perché lega l’espressione letteraria alla pulsione nervosa nel modo più libero e diretto  possibile (nota a tutti quelli che tacciano Parente di essere “meno che letteratura”: quello appena descritto è un metodo letterario così come il metodo mitico, un metodo che chi oggi si mette a scrivere dovrebbe studiare invece di denigrare per il solo fatto di sentirsene punto, colpito o offeso, per invidia o per qualunque altra ragione del cazzo).

C’è una riflessione sull’osceno e sul senso, sull’illusione e l’ossessione, che forse in questo romanzo, proprio per la sua maggiore leggerezza, viene fuori ancora più potente. Non parla qui uno scrittore (come invece in Contronatura ) ma un artista, ed è attraverso le figure e le opere dell’arte contemporanea che le cose più forti, più scompiscianti e più terribili di questo libro vengono dette. (Questo libro infatti, a un certo punto, in vari punti, ti fa scoppiare dal ridere.) Senza togliere ovviamente i luoghi del sesso e della rappresentazione spettacolare (la televisione, i social media, i famosi), dove Parente è semplicemente un maestro, forse il migliore in circolazione nel parlare di queste figure e attraverso queste far venire fuori improvvise mises en abyme, esplosioni epifaniche.

Ci sono anche, in questo libro, momenti in cui la scrittura si fa estremamente semplicistica, brutali cali di tensione  – rari ma sparsi qua e là – di insignificanza pop, come fac-simili depotenziati dello stile Parente (cosa che non accade mai, ad esempio, in Contronatura). E c’è un’altra cosa, che invece accade e come in Contronatura: una specie di distrazione, una caduta della trama, una dimenticanza o gaffe che, paradossalmente, non impedisce al lettore di essere trainato. Mi sono chiesto se questa distrazione (in Contronatura compare a un certo punto la sorella del narratore con un fatto importante e poi scompare, coi fili spezzati, nessuno se ne ricorda più; mentre l’identità di Madame Medusa si fa chiara ben prima “del dovuto”) non fosse anch’essa parte di una strategia o metodo (quella scrittura “biologicamente contro le illusioni” di cui Parente ha parlato spesso negli ultimi anni).
In questo libro, c’è un momento in cui il lettore si chiede se l’autore non sia stato troppo indifferente a Big Data  quando manda in fuga il narratore con l’iphone (non solo: il narratore, ricercato dalla polizia di tutto il mondo, twitta dal suo account, e nessuno riesce a localizzarlo). Si può rispondere che in fondo non conta, che proprio questo elemento di rottura dell’illusione sfonda il telone – ed è vero. Ma riesce a sfondare il telone nonostante questo (o grazie a questo) solo perché l’ha fatto Parente, solo per “l’aura benjaminiana”  dell’opera che è una delle idee principali del libro – lo stesso motivo per cui la Fontana di Duchamp è la Fontana di Duchamp e non un pisciaturo.  A un altro autore si direbbe semplicemente “che cazzo, work the fucking case! Fagli un fatto criptato, una maschera di Snowden”. Di fatto nel libro si dice in vari momenti (è il narratore stesso, Max Fontana, più grande artista del mondo dopo Hitler, a dirlo di sé) che Max Fontana è il più grande artista del mondo, o forse il più grande coglione del mondo, o forse tutte e due le cose insieme (dopo Hitler, sia chiaro).