Quando sentì l’attrito del carrello sopra l’asfalto e la voce del pilota annunciare una temperatura di ventisei gradi, Anne si slacciò la cintura. Fuori dal finestrino il giorno era appena iniziato e della notte restava una luce bluastra macchiata di rosa.
In aeroporto Anne si chiuse nella prima toilette. Sfilò cappotto e maglione, indossò una maglietta sopra un paio di jeans, dei sandali bassi al posto delle scarpe stringate. Ficcò i vestiti invernali nel borsone di cuoio, non aveva con sé altri bagagli. Davanti allo specchio sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tra le labbra e il lobo sinistro una macchia color caffellatte copriva una noce di pelle. Anne la sfiorò con lo sguardo, poi uscì dal bagno e cercò il banco delle informazioni.
«Devo raggiungere Quilmes» disse alla donna dietro il bancone.
«Bus 51C delle sette e cinquanta» rispose la donna in un inglese stentato.
Alla partenza mancava ancora mezz’ora, Anne si sedette al tavolino di un bar dentro l’aeroporto e ordinò un caffè espresso. Era ancora intontita dal Tavor. Mentre aspettava prese dalla borsa l’agenda e controllò l’indirizzo – Santa Maria Magdalena, Cuenca 1699 – poi scrisse un messaggio sul cellulare e lo mandò a due nominativi diversi. Atterrata, tutto bene.
Finì il suo caffè e mise gli occhiali da sole. Uscita dall’aeroporto, il vento secco di Buenos Aires la investì col suo profumo di jacaranda. Non lo sentiva da moltissimo tempo.
La fermata dei pullman era poco distante, Anne trovò il 51C e mostrò una banconota all’autista. L’uomo era sprofondato dentro un sedile coperto da uno schienale di palline di legno, una mano tuffata in un sacchetto di pipas.
«Moneda» disse infilandosi tra gli incisivi un seme di girasole. Anne scosse la testa e gli mostrò ancora la banconota, aveva cambiato i franchi ma non aveva monete.
«Moneda» ripeté l’uomo. Poi sputò a terra la buccia del seme che aveva appena succhiato. Ai suoi piedi, due mocassini sformati, si era formato un tappeto di scorze marroni.
Sul primo sedile una donna canticchiava una ninnananna a una bambina che teneva in braccio. Anne la guardò, la banconota ancora stretta in mano. La donna frugò nella borsa di panno e tirò fuori qualche spicciolo che diede ad Anne. Lei la ringraziò in due lingue diverse, diede alla donna la banconota e le monetine all’autista, imboccò il corridoio di linoleum azzurro e si sedette nel primo posto libero in fondo. L’autista accese il motore e il pullman lasciò l’aeroporto con un lieve sobbalzo, sullo specchietto lo scudetto del Boca Juniors e un rosario dondolarono insieme.
Anne prese la borsa e sfilò una fotografia dall’agenda. Bernardino Zanella, la tonaca sopra un paio di jeans, se ne stava seduto su una balla di fieno davanti a una chiesetta in collina, la zazzera di capelli arruffati e la barba non fatta. Al collo, un rosario di legno. Anne girò la fotografia, c’era scritto Quilmes 1986. Sentì suonare il telefono e per qualche secondo fissò la scritta sul display senza rispondere, poi premette il tasto verde ma non disse niente.
«Anne» disse Thomas «dove sei?»
Il pullman aveva imboccato un cavalcavia e il praticello all’inglese dell’aeroporto aveva lasciato il posto a chiazze di erba bruciata dal sole.
«Sono appena atterrata» rispose Anne.
Sul ciglio della strada sacchetti di pattumiera lacerati si alternavano a lattine di birra e bottiglie di plastica.
«Anne» sospirò Thomas «ti prego, torna indietro».
Anne rigirò la fotografia tra le mani, Bernardino Zanella guardava davanti a sé e sorrideva. Sopra le ginocchia teneva una bambina, un vestitino a fiori, i capelli castani strozzati da un nastro di raso.
«Anne?» continuò Thomas «cosa hai intenzione di fare?»
La bambina soffiava la palla lanosa di un dente di leone che stringeva in mano, sulla guancia sinistra aveva una voglia color caffellatte.
«Quello che è giusto» rispose Anne.
«Anne» sospirò Thomas «nelle tue condizioni…»
Anne rimase in silenzio, dal finestrino vide passare un cartello marrone con su scritto Bienvenido a Quilmes.
«Facciamo così» continuò Thomas «tu sali sul primo volo per Ginevra e io vengo a prenderti in aeroporto».
All’angolo della strada una ragazza strizzata in una minigonna sfogliava una rivista seduta su una piccola sdraio da spiaggia. Davanti a lei c’erano delle cassette di cocomeri verdi, alcuni erano stati appoggiati sopra una stuoia di paglia, altri erano spaccati a metà, la polpa rossa lasciata a sciogliersi al sole. Una lavagna appoggiata a un palo diceva Sandia dulce melon.
«Non credo che lo farò».
«Anne, quell’uomo ormai sarà morto» disse Thomas «hai fatto un lungo viaggio per niente».
«Non lo sappiamo».
«Sono passati quasi trent’anni».
Anne rimase in silenzio, la luce calda del sole filtrava dal finestrino e disegnava sui vetri un alone rotondo. Alzò lo sguardo e vide danzare nel cono di luce un pulviscolo iridescente.
«Anne, ascoltami» continuò Thomas cercando di addolcire la voce «quello che è successo non è colpa tua. Le vittime non hanno mai colpa».
Le tendine erano fisarmoniche azzurre di velluto imbottite, Anne le accostò fino a coprire metà finestrino.
«Devo andare» rispose Anne.
«Anne» disse Thomas «se è il perdono che ti spinge a cercare quell’uomo, sappi che non se lo merita. Non sei stata l’unica, lo sai».
Lei non disse niente, l’autista rallentò e il pullman si fermò davanti a un bar tabacchi con le tendine di plastica verdi.
«Anne» implorò Thomas «torna a casa, ti prego».
«Thomas» disse Anne «lasciami andare», poi spense il telefono e lo tuffò nella borsa.
Scesa dal 51C attraversò la strada e raggiunse il bar davanti alla stazione dei pullman. Si sedette a uno dei tavolini di plastica e ordinò un bicchier d’acqua, aprì la cartina di Quilmes e cercò la Cuenca. Ci segnò sopra una X con la penna e la collegò con un tratto di inchiostro alla fermata dei pullman. Finì il suo bicchiere e mandò giù anche un cubetto di ghiaccio, lo fece sciogliere piano dentro la bocca. Pagò con una banconota lasciando anche il resto e si alzò.
La Cuenca era una strada larga con ai lati due filari di felci i cui tronchi erano stati dipinti di bianco. Le case, costruzioni quadrate a un piano, si succedevano uguali: davanti all’ingresso un francobollo di verde, accanto alla porta la saracinesca del garage colorata. Alcune case non erano state dipinte e si vedevano ancora i mattoni in cemento, le altre erano coperte da intonaco bianco. Dopo venti minuti Anne vide il viola di una jacaranda spiccare tra le chiome degli alberi, le radici avevano crepato l’asfalto e sollevato quel tratto di strada. Anne inspirò l’odore dolce e pungente, simile a quello dei gelsomini, dei piccoli fiori a campana. Poi vide il cartello Parroquia di Santa Maria Magdalena sopra un piccolo cancello di ferro.
Restò immobile sulla strada. Sopra la spalla la borsa aveva segnato la pelle sudata, la sistemò. Si tolse gli occhiali da sole e li infilò nello scollo della maglietta, poi spinse la maniglia ed entrò nel cortile.
La chiesa era un rettangolo di intonaco bianco con quattro gradini che portavano a un portone in ciliegio. Anne li percorse ed entrò. La chiesa era vuota, fresca, profumava di incenso. La navata, divisa in due file di panche, era illuminata dalla luce che filtrava dal rosone e proiettava un cerchio azzurrino per terra. Sopra l’altare, oltre il tavolo coperto da una tovaglia di pizzo, non c’era la croce ma la statua di una Madonna, sul viso un’espressione malinconica e dolce. Anne si avvicinò e quando allungò una mano per toccare la statua, sentì un rumore di passi alle spalle. Due occhi verdi galleggiavano a pochi metri da lei. La donna era piccola e magra dentro l’abito scuro, il volto un labirinto di rughe.
«Sto cercando don Bernardino Zanella» disse Anne.
La donna si avvicinò e quando le fu a pochi passi vide la macchia sulla sua pelle e sorrise.
«Tu devi essere Anne» disse.
Anne annuì, non riuscì a proferire parola. La donna allungò un braccio e le accarezzò il viso. Erano mani ruvide e calde. Mani di madre.
«Lui ti aspettava» disse piano la donna.
Anne la seguì lungo un corridoio che portava a una piccola porta a soffietto, la donna la aprì ed entrò nella stanza. Un letto, un armadio e una scrivania sotto alla finestra aperta da cui si intravedeva il viola dei fiori. Il volto di una Madonna in una cornice di legno era l’unico ornamento di tutta la stanza. Anne si avvicinò al letto e passò una mano sopra il cuscino, sul copriletto non c’era nemmeno una piega.
Raggiunse la scrivania, era seppellita di fogli e di libri, la sedia di paglia sommersa di vecchi giornali. Sulla scrivania in mezzo ai libri spiccava l’azzurro di una vecchia Olivetti, i tasti neri e quadrati su cui a stento si leggevano ancora le lettere in caratteri bianchi. Nel rullo della macchina da scrivere era incastrata una busta con sopra il suo nome.
Anne si voltò verso la donna ferma sull’uscio. Lei annuì con la testa, poi socchiuse la porta e la lasciò sola. La busta aveva gli angoli nuovi e non c’era nessun francobollo. Anne la rigirò tra le mani. Passò una mano sulle screziature della carta e con un dito ripercorse le quattro lettere che componevano il suo nome. Poi si sedette sul letto e la aprì. Non lesse subito, fissò la calligrafia. Era elegante e sicura, senza esitazioni o tremori.

Anne,
qui è primavera, un pomeriggio dolcissimo. Troverai la lettera quando io non ci sarò più. Sono ormai vecchio e non mi resta più molto tempo per vivere. In tutti questi anni ho imparato una cosa: i colpevoli hanno un verme che li rode da dentro e non li fa vivere. Il perdono non è un sentimento, ma una nostra scelta. Io ti ho perdonata, fallo anche tu.
Bernardino Zanella

Quando finì di leggere, la prima lacrima tagliò la macchia in due metà esatte. Anne si rannicchiò sopra il letto e cominciò a dondolare, una mano sul ventre. Dalla finestra aperta arrivava dolce il profumo della jacaranda.

***

In copertina: Banksy, “Balloon girl“.