O morte io son quel cervo | che divorano i cani | La morte eiacula sangue. [1]

senza la paura non so chi sono
gioco in punta di piedi sul bordo
padre madre, tu che sei
una punizione severa
– lo dice anche Bataille –
la bambina cade dalle tue mani
sente male, è il gioco[2]

Immagina. Sei al centro del bosco, ferma. Immobile. Immagina, il sole cala e scende la tenda nera. Sei sola, la terra è secca, i fiori sono appassiti e hai sete. Non in quella posizione, no! Devi tremare appena. Guardati, stai a testa alta e quel collo che cerchi di allungare! Chi ha paura non sta a testa alta e il collo, ecco il collo scivola nel torace, scende giù, lento, un boccone mal digerito. Un serpente. Lo sai, ognuno di noi dentro ha un serpente: qual è il tuo? Qual è il suo colore e il suo nome, Paura? Sì, la voglio vedere nei tuoi occhi; è quella cosa che ingoia tutto, mangia la forza e tu resti immobile. Non c’è nulla che ti scuota, sei nel bosco, un serpente nel petto e la notte sul collo e non hai paura. Immagina, ecco immagina di essere un piccolo cervo. Sai, è un avversario implacabile del serpente. La lotta. Puoi stanarlo con il tuo soffio e ucciderlo. – Non c’è niente di umano di cui uno sbocciare compiuto non sia la morte[3] – Il supplizio, il corpo morto: lo vedi? Noi ci guardiamo e possiamo disporre dei nostri corpi e tu, hai un gran potere: l’angoscia che nasce dal guardare il corpo (morto). La senti dentro di te? Provaci! Mi chiedi cosa fa un cervo, solo, nel bosco? Sei ingenua, la solita bambina di latte, bianca e ingenua. Il candore. Ti capisco, tenti in tutti i modi di non lasciare andare la tua luce e allora – mi sembra di vederti – curvi un po’ il capo verso la spalla e gli occhi, sì, loro diventano dei piccoli fiordalisi ma ti ripeto: la terra è secca e i fiori appassiti, arrotolati su se stessi, accartocciati, lo senti il rumore della parola?! Ripetila! Tu dirai: c’è una lettera «c» dura sì, ma ce n’è una dolce, perché negare una speranza? E io ti rispondo lettera «C», carbonio, elemento chimico, numero atomico 6. Uccide il bianco e lo zucchero. Amorfo, opaco, nero. La paura. I tuoi occhi sono grandi ora, al limite, si potrebbe dire che occupano ‘un rango estremamente elevato nell’orrore’[4]. Sono belli perché sono la seduzione e la paura. Di cosa, mi dirai. Dell’abbandono. Vedi? Ora sì, hai paura.

***

In copertina: Detail of a miniature of a stag, drawing a snake out of its burrow with the breath from his nostrils; from a bestiary, England, c. 1200-1210, Royal MS 12 C. xix, f. 23r.


[1] Georges Bataille, Il marciapiede di Danaide, in Poesie erotiche, Torino, Nautilus, 1990.

[2] Sonia Lambertini, Danzeranno gli insetti, Milano, Marco Saya Edizioni, 2016.

[3] Georges Bataille, [L’ultimo pensiero], in Le lacrime di Eros (1961), a cura di Alfredo Salsano, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.

[4] Id., Documents (scelta), trad. it. di Sergio Finzi, Bari, Dedalo, 2009.