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La parola amico deriva dal latino amicus, che ha la stessa radice di amare, e significa “colui che si ama”. Per contro, il nemico (in-amicus) è il non-amico, un qualcuno che non necessariamente desideriamo danneggiare ma verso il quale proviamo un’indifferenza ostile, malevola.

Gregorio non sapeva più per cosa usare l’aggettivo insopportabile.
Ogni cosa, in quei secondi, gli fu palese.
Fine dell’infanzia.
A questo si condannò, per salvarsi.

Uno dei motivi d’interesse de Il tuo nemico è che l’autore Michele Vaccari costruisce un inquietante e trasversale atlante delle ostilità: si va dal bullismo al quotidiano sopruso coniugale, dall’odio tra madri e figlie e tra padri e figli, fino al livore istituzionale, con il potere che disprezza le persone e le persone che s’infuriano con il potere.
La storia di Gregorio, ragazzo geniale che, all’ennesimo svilimento delle proprie qualità (del proprio essere?), si rinchiude in camera a tempo indefinito, e quella di Gaia, aspirante anonymous ricattata dalla madre ex dirigente del ministero dell’Istruzione, sono passaggi attraverso le forche caudine dell’inimicizia.

Nel mondo disegnato da Vaccari non ci si può fidare di nessuno, neanche di se stessi. E se la vicenda è articolata e a tratti caricata, la malevolenza resta un sostrato riconoscibile e gravoso, un qualcosa che necessita un’azione radicale, un cambio di prospettiva e, soprattutto, una sincera apertura verso l’altro.

Gaia, come qualsiasi figlia, ci teneva a vedere cosa nascondesse la madre aldilà del ruolo formale di irreprensibile genitore che era costretta a interpretare, se, sotto quella parvenza meccanica, al confine col robotico, ci fosse un po’ di se stessa, un pezzetto della sua cronica tendenza alla sconclusione.

Vaccari mette al centro di tutto le persone; quando queste vengono sostituite da etichette (politico, madre, padre, marito, moglie, dottore, genio, figlio, ribelle) che limitano l’espressione di sé (e la percezione di sé, e quindi anche quella dell’altro da sé) allora si fomenta l’inimicizia. Perché il ruolo e l’etichetta che lo definiscono divorano l’anima e annichiliscono qualsiasi slancio personale, onesto, amicale.
Il tuo nemico racconta con acutezza una cultura che fa dell’indirizzare l’astio la sua questione essenziale; e la brusca virata che l’autore compie a metà del romanzo, quando la riflessione si placa e l’azione esplode, si carica di un’aura di libertà spaventosa e refrigerante: l’odio si è manifestato in tutta la sua brutalità, e allora si può reagire, riconquistando (provvisoriamente?) se stessi.

Deve trovare il coraggio di vivere il suo tempo, senza pensieri sul prima o il dopo. Si guarda riflessa in una pozza di pioggia e si trova inadeguata. Che novità, pensa. Nota che le sue scarpe stanno incominciando a subire il logorio dell’usura. È stanca di non avere soldi propri. È stanca di essere depressa e di considerarsi la serva sfigata della madre.

Il fascino de Il tuo nemico nasce dalla sua coerenza, dal suo eclettismo stilistico e contenutistico, dal suo orgoglioso rivendicare il diritto alla complessità, dalla sua profonda e vigorosa individualità; dal suo darsi al lettore in abbondanza, fino all’eccesso, senza pudore; dal suo riuscire a trasmettere un’energia che trascende la pagina scritta e arriva a toccare il sentire del lettore, ravvivandogli lo sguardo e mostrandogli territori narrativi ancora vergini, ed entusiasmanti.

Michele Vaccari
Il tuo nemico
Milano, Frassinelli, 2017
pp. 290