Del male sul letto di morte

Soffrire diventa la sorte

Testa o croce

Trova pace

Quel male ha smembrato ogni arte

Nel preciso istante in cui caddi al tappeto ebbi la netta sensazione che questa mia vita non fosse stata altro che una banale storia di boxe. Be’, diciamo non proprio appena colpii violentemente il mio brutto muso sulla gomma del ring. A dire il vero, in quel momento sentii solo un gran dolore, ma fu un attimo, diciamo pure pochi secondi. Subito dopo mi accorsi che tutto lo svolgersi del mio esistere non solo se ne stava andando a farsi benedire, ma che da sempre si era trattato di una serie di eventi messi insieme a caso chissà da chi e per quale motivo. In realtà, il motivo non c’era affatto. La mia storia è presto detta: sono stato un pugile professionista, un peso medio dal colpo potente ma poco preciso. Lento e tutt’altro che armonioso nei movimenti, impacciato e grossolano nel gioco di gambe ed estremamente legnoso negli spostamenti del tronco. Ho disputato 51 incontri, 18 vinti di cui ben 14 prima del limite, 32 sconfitte ed un solo pareggio.

Bravo, i dettagli sono importanti, stai calmo… c’è tutto il tempo ora che non hai più tempo.

Gli incontri che ho perso non mi fanno certo onore, ma non me ne lamento, sono stato sconfitto per ko 15 volte, mentre per 17 sfide ho perso nettamente ai punti. La mia più grande soddisfazione però è proprio quell’unico pareggio che ho poco fa elencato. Lo ottenni contro Julius Moreno detto Sandokan, campione del mondo di categoria che nel lontano ‘99 mi sfidò per difesa volontaria mettendo sul piatto la sua cintura. Sandokan pensava di sbrigare la pratica in un paio di round, invece quella sera si trovò davanti un avversario in un momento di grazia; rispondevo azione su azione a tutte le sue combinazioni, riuscii a tenere testa a tutti i suoi colpi d’incontro e incassai di tutto facendo piegare clamorosamente un paio di volte le ginocchia al mio avversario, che alla fine concluse il match molto più stanco di me. Fu il mio exploit, una prestazione che mai più riuscii a ripetere, nella vita come sul ring.Finì in parità e purtroppo la rivincita che a furor di popolo venne organizzata mi tolse quella soddisfazione che avevo ottenuto nella prima sfida. Nel rematch infatti il campione mi spazzò via nelle pronosticate due riprese. Sono un pugile materasso, o meglio lo sono stato, almeno fino a che questo maledetto gancio destro non mi ha trafitto la tempia.

Respira… Respira… non affannarti, lasciati contare, goditelo questo momento di morte… abbraccia il nuovo universo nero che ci sostanzia tutti.

Quando morì mia figlia non ero pronto, ma non è stato quello che mi ha segnato. La morte della bambina è stata solo un passaggio, un piccolo insignificante progetto nato già sbiadito e poi definitivamente seppellito dal tempo che tutto accoglie nella sua formidabile potenza distruttiva. Seppi della gravidanza di mia moglie durante un giorno di pioggia. Fu la luce del sole che mancava. Niente poteva distrarmi dal desiderio di abbracciare da lì a pochi mesi quella meravigliosa creatura che la mia donna portava in grembo. Le passeggiate nel parco, le notti insonni, la spesa e il latte in polvere, i pannolini puzzolenti, tutto spazzato via in un attimo, tutto segnato dal tempo, racchiuso e rinchiuso in un’unica parola innominabile.

Buonaidea. Continua così, ma puoi fare di più. Hai saputo vivere, lo riconosco, e questo non facilita il compito, ora però lasciati guidare da me per morire come merita un picchiatore tignoso come te.

L’alcool distrusse la mia carriera, anzi no, diciamo semplicemente che la bottiglia ha accelerato la fine. Forse avrei dovuto smettere qualche anno fa quando mi accorsi che quel caro, maledetto, sempre sia lodato bruciabudella era diventato il mio unico vero amico. Del resto, mia moglie se n’era già andata, e non aveva tutti i torti. Quella scenata che le feci sul balcone minacciandola di buttarla di sotto fu davvero imperdonabile. In ogni caso, fu solo una delle tante che le avevo fatto e che mi avevano reso un verme al suo cospetto. Le mie scappatelle erano state pesanti, e tutto sommato me le sarei anche potute risparmiare, non hanno aggiunto nulla alla mia futile vita. Ora però sono quasi certo che non erano il vero problema. Forse la realtà delle cose è che quella vita insieme era diventata insostenibile, i ricordi che ci accomunavano l’uno all’altra erano strazianti, e come se non bastasse abbinare il pranzo con la cena stava diventando sempre più difficile. La nostra proverbiale povertà era seconda soltanto alla nostra ignoranza, e probabilmente proprio questo non riconoscere l’inevitabile trasparenza dei segni del destino ci dava la forza di andare avanti, io nella bottiglia e lei altrove. La paura mi divorò, divenni più paranoico di Rousseau, intenso nel dolore e nella malattia del guarire.

Abbandona la tua cultura, lascia spazio soltanto a quel sapere che hai conquistato e che ti ha insegnato l’insensatezza della vita. Sfogati, continua a ricordare, stai per diventare un pranzetto per i vermi, cancella ogni volontà e umilia la tua persona fino alla nullità assoluta.

Mio padre, quel sant’uomo, ha fatto di tutto per me. Mi fece studiare nella migliore facoltà che la città offrisse, ma le mie limitate capacità intellettive hanno dato un freno netto al mio percorso universitario. Sono stato un pugile rozzo e scadente sul ring, ma soprattutto un uomo banale e totalmente incapace di affrontare il mondo con il quale ho interagito. Per avere un esempio della mia bassezza basti pensare che quando morì mia figlia ebbi per un attimo un impeto di gioia, una sensazione di piacere nell’addome che cresceva fino a salire al cuore. Per la prima volta avevo vissuto qualcosa di importante che faceva di me un essere speciale. Pensai che il dolore di un padre per la morte di una figlia fosse un evento eccezionale che solo chi lo ha vissuto poteva capire. Mi sentii per un attimo importante, ma quella stessa gratificante emozione sprofondò tutto il mio essere in pochi secondi sottoterra, ed ebbi una sensazione tangibile e forte che tutto il mondo fosse venuto a conoscenza di questo mio vergognoso stato d’animo e stesse aspettando impaziente la giusta punizione.

Conquista il grande segreto della nolontà, l’ineguagliabile privilegio dei morti, lasciati cullare dai sogni del dolore, preparati ad assaporare il trigger più potente ed eterno, l’unico che può vincere la resistenza del tempo che tutto raccoglie e tutto distrugge.

Conobbi mia moglie al cinema. Non ricordo più che film fosse, una commedia natalizia mi pare, una modesta pellicola da quattro soldi caratterizzata quasi certamente da un umorismo spicciolo, volgare e scontato, il solo tipo di ironia che un mediocre come me può permettersi di apprezzare. Cristina era bellissima, ma non sapevo dirglielo. In vita però il coraggio non mi è mai mancato, andavo a testa bassa contro i colpi di sbarramento e sapevo incassare bene, anche i due di picche. Le chiesi una sigaretta, poi la invitai a ballare nella discoteca del paese. A ogni sguardo cresceva in me il desiderio di baciarla, poi di toccarla, di penetrarla, farle male. Amarla, insomma. Quando facemmo l’amore per la prima volta i miei desideri già erano in viaggio, la conoscevo da poche settimane, ma in cuor mio era già la futura madre dei miei figli. La mia bellissima bambina, piccola e tenera bambina mia. È stato solo un passaggio, un colpo sotto la cintura, ma ci sta… non voglio tornarci sopra. Una vita terribile, dolorosa e maledetta sin dalla nascita, la mia e di tutti coloro che mi sono stati accanto. Cristina, chissà dov’è… La mia bambina non c’è più. Sono un mediocre e schifoso buono a nulla. E sono pronto. Basta, mi fermo qui. Non c’è neanche più tempo. Non sento più le gambe. Le braccia non riesco a muoverle. Il mio corpo si annulla così, inchiodato al tappeto.

La testa è con la testa nel pensiero.

Sei con me, eccoti nel Silenzio. Il tuo corpo è già nel Tempo, tocca a te raccontare al nuovo Nulla che ti riempie la realtà di come le cose andarono davvero. Sei stato bravo. Ciao Nicola, benvenuto.

Alle 10 antimeridiane del 30 ottobre 2015 si spegne Nicola Lisma. Apprezzato accademico nel campo della fisica delle particelle (encomiabili e ancora tutti da decifrare i suoi studi equazionali sulle onde di pressione nelle variazioni di Goldberg) e impareggiabile divulgatore scientifico, era affetto da tempo da un male incurabile. I suoi saggi sono stati dei veri e propri best seller e lo hanno reso uno degli uomini di scienza più ricchi del suo tempo. I suoi meriti professionali sono secondi solo a quelli di marito e padre. Lascia la moglie Cristina e la figlia Margherita. A loro va il nostro sentito cordoglio.