La fine del mondo è un pantano marcescente che risucchia e si espande allo stesso tempo, il cui trionfo non ha alcun sapore catartico: non c’è distruzione, né rinascita, ma solo un ulteriore perpetuare dello stato delle cose.
Il male è un semplice e inaccettabile dato di fatto, che non distrugge e che non può essere distrutto, una creatura tentacolare che magari, qualche volta, si esaurisce in qualche sua derivazione, ma che esaurendosi si rafforza, diventa più sofisticato, più nascosto, più intimo, più forte.

Ma per i codardi, gl’increduli, gl’immondi, gli omicidi, i fornicatori, i maghi, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno che arde con fuoco e zolfo, che è la morte seconda.
(Apocalisse di Giovanni, 21, 8)

 In nessun altro vi è salvezza.
(Red Riding Quartet, p. 1033)

Ciò che rende i quattro romanzi che compongono il Red Riding Quartet altrettanti capolavori d’epica nichilista è che l’autore, David Peace, innesta questo devastato e devastante impero del maligno nella storia cupissima dello Squartatore dello Yorkshire, creando così un thriller di una purezza nera e accecante, in cui molto presto si abbandona la ricerca del colpevole per approdare a un’isterica e ipnotica ricerca della verità. È proprio nella verità che finiamo per sprofondare, ed è una verità sfaccettata e senza speranza, che viene raccontata attraverso uno stile martellante e ossessivo, invasato, impregnato dello sconforto più cupo.

Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.
(Apocalisse di Giovanni, 6, 3 – 4)

Le vittime sono dappertutto.
(Red Riding Quartet, p. 392)

I delitti dello Squartatore dello Yorkshire si rivelano quasi da subito un sintomo superficiale ma efferato di una malattia congenita molto più diffusa, di un istinto autodistruttivo ferocissimo che anima ogni personaggio, ogni ansimo, ogni movimento, che si mostra per quello che è e che in se stesso si conclude; non sarebbe azzardato dire che il Red Riding Quartet racconta il crescere della cognizione dello stato malvagio delle cose e la dissoluzione di ogni ambizione di libertà da tale stato.
Questo perché Peace sembra sposare l’aforisma di William Golding secondo il quale gli uomini producono il male come le api producono il miele; poi si allarga, mostrando come gli uomini producano il male anche quando hanno tutta l’intenzione di produrre il bene, perché il bene in sé non esiste, al massimo si tratta di una scarsa consapevolezza del male.

Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.
(Apocalisse di Giovanni 12, 9)

Chi mi libererà da questo corpo di morte?
(Red Riding Quartet, p. 1477)

I quattro romanzi che compongono il Red Riding Quartet si concludono sempre sulla soglia dell’intollerabile, davanti alla presa di coscienza del marciume delle cose e del proprio ruolo all’interno di esse. Il disvelamento esistenziale, la nudità e l’inevitabilità del dolore pongono i personaggi e il lettore davanti all’eterno dilemma di Edipo: accettare la verità e la crudeltà del mondo o chiudere occhi e cuore?
Peace racconta il nucleo del dramma umano in storie prive di morale ma ricche di compassione, chiuse a ogni via di fuga che non sia la fuga definitiva, perché affrontare la verità, affrontare la vita, è affare troppo gravoso per creature tanto connesse con il male.

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David Peace
Red Riding Quartet (1974, 1977, 1980, 1983) (1999 – 2002)
Trad. it. di Giuliana Zeuli e Marco Pensante
Milano, Il Saggiatore, 2017
pp. 1481