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 ZONE INTERESSATE DAI REPERTI IN QUESTIONE

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IX – LAUREN

Da Breviario del Ecclesia monobasileica, del Logofante Eufemiostomo da Aghisoro

Nel novero degli uomini di Dio Basileo che hanno contribuito maggiormente a plasmare il volto della nostra civiltà e la sensibilità dell’Ecclesia Monobasileica della Carne e dello Spirito, Lauren occupa una posizione assai particolare e in un certo qual modo eccentrica.

Più peccatore che santo, più padre premuroso che fine esegeta della Parola del Padre Basileo, più contadino che sacerdote, più innamorato dell’esistenza terrena e delle creature che anelante l’eterna beatitudine della Reincarnazione Incorrotta nel Regno del Creatore; dedicò la sua lunga vita all’edificazione di una casa che accogliesse i pargoli che la società aveva abbandonato.

«Mille volte mille anni nel Paradiso della Reincarnazione Incorrotta non volgono la lacrima di un bambino abbandonato», era solito dire ai monaci suoi confratelli quando, ormai anziano, si alzava all’alba per andare a lavorare i campi e i novizi, assetati della sua dottrina gioiosa, lo interrogavano sui misteri della Carne e dello Spirito, durante la vangatura o la potatura. Insegnava infatti esclusivamente di mattina e dedicandosi alle fatiche agricole: «I concetti nati o trasmessi nell’ozio, a riposo, sono concetti nati o assimilati male: monchi, gli mancano le mani. A che può servire un concetto senza mani? Non può toccare né afferrare nulla. No, non va bene, è come lo Spirito orbato della Carne, inutile e perverso. Ogni cosa inutile è pericolosa e dannosa.»  […]

Si racconta che la vigna del suo monastero producesse il miglior vino dell’epoca e i suoi arelli ospitassero i suini più pingui di sempre.

Fu uomo semplice, dai semplici sentimenti, che aborriva ogni sofisticazione […]. Diceva che mai avrebbe permesso che qualcuno irretisse i suoi fanciulli con le bestemmie contro la vita, l’uomo e il creato che stanno scritte nei libri di Poldo e una sera scacciò con il forcone un pellegrino poldiano di passaggio che, alla sua mensa, s’era messo a discettare della Teoria della quadruplice scaturigine ontologica dello spiritus cogitans, tanto cara al Sommo Cattedreo di Castro Derardi.

Diceva anche: «Non credete mai, fratelli e figliuoli miei adorati, alla parola di chi predica e non si sporca mai le mani di nostra madre terra, non credete mai alla parola di chi predica senza calli sulle mani, non credete mai alla parola di chi predica dicendo d’amare l’umanità o perfino il Padre Basileo, ma non ama il prossimo suo e non gli tende la mano per aiutarlo a rialzarsi quando è caduto». Spiegava che le mani sono la sede della virtù e dell’anima, il punto di congiunzione tra la Carne e lo Spirito, e che solo con queste e con le loro opere si può rendere lode all’Unico.

Pregava cantando, soprattutto mentre curava la campagna, e rifiutò il Sacramento del Sarcopontificato, che, si dice, il Sarcopontefice Basileo Anastasio Fortunata gli offrì per due volte, anche se nessuna fonte ufficiale ne fa menzione. […]

Morì ultracentenario raccogliendo cavoli ed è tramandato che accudì più di trecento bambini derelicti, salvandoli dall’infanticidio, dall’inedia e dall’esposizione alle fiere e alle intemperie.

X – IL MONACHESIMO LAURINO

CLODEN: In realtà Cloden non è nemmeno il mio vero nome. Me lo sono inculcato tanto in profondità per paura di confondermi che ormai mi viene naturale usarlo anche parlando con me stesso –  in questo sono stato bravo.

I monaci mi battezzarono Baden. «Questo suffisso -en che contrassegna, per tradizione, chi non ha padre nella regione delle Città Gemelle, come sai, per molti è un marchio d’infamia, – mi disse fratello Mauren, il Bibliotecario. – Tanti bambini del monastero ne soffrono e ne hanno sofferto. Io stesso ne provavo vergogna da  fanciullo. Ma non c’è nulla di cui vergognarsi; al contrario per noi laurini è un simbolo positivo, il Simbolo fondamentale del nostro ordine, insieme alle mani. E non solo perché ci ricorda il valore dell’umiltà, quello è il meno, anche se è importante. Per un altro motivo: perché tanti secoli fa, prima di Lauren, il nome con -en era poco diffuso; solo i bastardi di Molone e Carione lo portavano. Ma non i trovatelli. E sai perché? Perché i trovatelli non c’erano! Chi non voleva il piccino che aveva messo al mondo lo lasciava morire o lo ammazzava. E ora? Non pensare solo a qui, al monastero, pensa alla Vulonia; hai visto quanto è grande la Vulonia? E pensa a Pamona, all’Impero. Sulla mappa geografica delle Lingue del Mare che c’è nel refettorio hai visto quante manine verdi ci sono disegnate? Ogni manina è un monastero laurino, lo sapevi, vero? Sai quante sono? Sono ottantasei. Quando io avevo la tua età ce n’erano settantanove. Allora, oggi, quanti bambini e bambine portano questo nome con -en? Quanti giovani e quante ragazze, quanti apicultori, mondine, studiosi, maestri, monache, verdurai e pescatori? E quanti vecchi come me? Tanti figliolo mio! Più delle foglie dell’acero fuori dalla finestra che guardi sempre quando vi spiego la grammatica. Ognuno di noi è un simbolo di Fede e di Speranza. Ma non la fede nelle dottrine dei Sarcopontefici, non la speranza nella Salvezza finale. No! Una Fede e una Speranza che vengono prima e senza le quali tutto il resto, ogni preghiera, ogni libro e ogni sacramento, non conta nulla. Nulla di nulla, figliolo mio. La Fede nel fatto che quest’esistenza terrena e fugace – che precede la Reincarnazione Incorrotta – non sia insensata; nel fatto che le azioni non siano indifferenti. La Speranza che il nostro agire non sia vano, non sia impotente, non si esaurisca nell’istante stesso in cui esiste, ma che sia efficace e si proietti sulla realtà, cambiandone l’andamento e dandole forma. Se Lauren non avesse fatto quello che ha fatto, cosa ne sarebbe stato di Baden? Forse sarebbe stato soppresso prima della nascita, forse soffocato come fanno i contadini con i gattini in eccesso o forse sarebbe morto di freddo, piangendo sotto la pioggia. Invece vive, mi sta qui davanti! Perché l’opera di Lauren ha avuto la forza di non permettere al nulla di divorarla e così ha migliorato il mondo. È per questo che Baden e che tutti gli altri bambini che hanno il nome che finisce in -en rappresentano il valore e l’importanza dei comportamenti umani e quindi della vita; di una vita operosa e tesa a fare il bene. Un bene che non è idea – di idee è cosparso il selciato dell’Antro Largo! tanto più fitte quanto più ci si avvicina alla Casa di Jacu; dove la morte è senza reincarnazione –, è azione efficace. Voi tutti piccoli monelli siete come le Mani di Lauren, appunto un simbolo. Il Simbolo che precede tutti gli altri. Il Simbolo che nega la vanità del mondo e la vanità del vivere in questo mondo».

Molte cose non le capii, altre le ascoltai a malapena. La lezioncina continuò ancora a lungo e smisi di starlo a sentire. Volevo andare a giocare a nasconderello e pigliatonda con gli altri; mentre parlava avevo finito il mio turno di pulizia dell’aula. Quel discorso non mi riguardava: mi pareva stolto vergognarsi delle proprie origini e non capivo come fosse possibile. Se il Bibliotecario s’era vergognato – e forse si vergognava ancora, altrimenti a che era dovuta tanta partecipata magniloquenza? – di non avere un padre, era uno stolto. Cavoli suoi. Come ci si può vergognare di qualcosa che non abbiamo fatto noi?

Cosa intendesse per «vanità del vivere nel mondo» l’ho intuito anni dopo, ma spesso mi sfugge; lo perdo, perché non mi appartiene, è estraneo. Lo stesso vale per «la forza di non permettere al nulla di divorare le nostre azioni»

XI – NINNA NANNA EPICA DI UN PUBERE MISTICO DISLESSICO

A) SAILAS: «Ello l’infinito non è peggio o meglio. È o non è. Il tuo non è. È altro. Io lo spiego ora rapido ma bene perché è mio dentro così forte che buca le parole bugiarde e bare. Io Sailas ora ti dico veloce del cerchio nella pensazione vera di Sailas senza i numeri. Te lo parlo facile, ma poi basta, ché mi sono annoiante e dopo voglio mangiare un po’ di divertimento. Il Verbo solare dice: “Basta soltanto considerare qualsiasi cerchio. I Soli sono cerchi, ogni universo è un cerchio. I cerchi sono recinti, qualunque cosa racchiudano e delimitino devono esporsi all’infinito”. Veloce: che significa? È significante che l’universo essendo un cerchio non è infinito, né l’infinito: è un cerchio esposto all’infinito. L’universo è l’essere, non l’infinito. Con l’infinito si hanno solo rapporti di esposizione. L’infinito non è essere. Io è un cerchio, Io non è l’infinito, Io è l’essere: Io è un cerchio esposto all’infinito. L’esposizione all’infinito sempre sussiste: non esiste altro modo di essere per l’universo e per Io che essere esposti all’infinito. Essere è esistere, essere è essere esposti, esistere è essere esposti. Che è l’esistenza se non esposizione? Essere esposti è entrare in contatto. Si entra in contatto solo con ciò che è esterno. Nel contratto tra Io e l’esterno si dipana il fenomeno. Il contatto con l’infinito è inesauribile – eccola l’inesauribilità! altro che la tua clodenesca – difatti il fenomeno è inesauribile. L’esterno è l’infinito-fuori-da-Io. Il contatto di Io con l’infinito-come-non-esterno-da-io è la cosa mistica. Cosa mistica è: Ciò-che-è-limitato-e-racchiuso-nel-e-dal-cerchio – ovvero Io – che viene esposto all’infinito-come-non-esterno. Altro che le tue vertigini fantasioseggianti. Ora basta. Se tu Cloden non hai capito bastauguale.»

B) SAILAS: «No, ma io Sailas non parlo così per presaperilculaggine. La mamma mia è aghisorese, parla l’Ecumenico fanoano meglio di tu Cloden molto, lo parla e lo dice come Lucio. Mica mi diverto a fare l’istrione. Io mi divertivo se Lucio mangiava l’amore con me. Quello è divertente. Parlo sempre malemoltopeggio e sempre inventato. Ogni volta che verbalizzo, verbalizzo spostando, figurando, stritolando e errorando diversamente e incoerentemente in base all’umore e alle maree della vasca mia del pensiero sopra al collo. Parlo sempre diverso perché ogni volta che parlo io Sailas devo ricostruire la lingua da capo a piedi tutta. Ella la lingua io la capisco ottimamente tutta nonpocobeneperniente ma non la dico mica come voi. Però, se sono più cheto, verbalizzo meglio, ora sono meno limpideggiante perché Lucio ha suonato la sveglia dentro io Sailas al turbamento dell’amore. In io Sailas la lingua è falsa. Non è vera come in voi. La lingua mia è infida e bugiarda e pigra e artefatta magna. Io nacqui così. Tu Cloden quando nascesti imparasti la lingua udita e poi ella la lingua fu come un dito tuo, lo muovi spontaneo: comandi e si stringe. Ma dentro di io Sailas non è micacosì. Io devo comandare alle parole di uscire dalle tonsille e dalla bocca ogni volta una per una, tirando le orecchie dei lessici. Le parole dentro io Sailas non sono mica un dito! Sono un carro. Ello il carro se vuoi che si muova mica basta che lo vuoi: devi attaccarci i cavalli e poi li devi convincere guidante. In io Sailas le parole e le grammatiche dei costruttifrasi si nascondono, io devo cercale sempre scrutatore. Come chi balbuzisce gli sfugge via la parola, ma lui ce l’ha già nella mano pronteggiante, così le parole mie quando provo a prenderle sguillano scappanti come capitoni appena pescati nella nassa se non ci butti crudele il sale e la cenere. Elle le parole e io Sailas giochiamo ogni giorno a nasconderello, ma elle  paroleanguilla barano continuamente. Io venni al modo così.»

C) «Sei la mia scimmietta», gli disse Cloden abbracciandolo, alla fine «E tu Cloden sei il tigrotto di Sailas. Ora dormi però. Dormi bene. Io Sailas ti parlo ninnatore la storia addormentate del tigrotto quello mio vero, peloso artigliante e striato, che è molto ludico e dispettoso. È amico mio fedele ello molto. È il cucciolo della tigre Filippa dell’Amore mio Eliarca, che lui me l’ha donato alle nozze nostre, perché io Sailas voglio bene tanto agli animali ognuno e ciascuno e menochemai gli faccio male o danno doloroso o li mangio inghiottitore. Ello il tigrotto mio vero si chiama Alessandro, come il condottiero di prima del Diluvio, il più magno di tutti in ogni tempo, più magno del Primo Eliarca e di Giulio Cesare Gallico e Pinco Quinto Zoppo e di Fann Pastori di popoli e di Jacurectabas antenato mio. A ello Macedone, Unificatore di tutti i greci luminosi, imparò il sapere Aristotele Peripatetico, che era più saggio ancora di Pitagora Odiatore di fave e fagioli e anche di Gerasa e di Jacurectabas antenato mio. Ello Magnissimo, che sconfisse Dario Achemenide di Persepoli, era figlio del Sole, che allora era appellato Ammone e stava nel deserto appresso alle piramidi faraoniche non tolemaiche, dove i gattini erano sacri, e fecondò in forma di serpente la moglie di Filippo, Olimpiade Epirota discendente di Neottolemo Tracotante ammazzatore di Priamo Signore di Ilio e Padrone equo dei domatori di cavalli. Il tigrotto mio Alessandro ha due anni e è furbo e svegliato nel pensiero come l’omonimo di ello amatore di Efestione valoroso. Ma il mio è bravo e non s’inebria di vino indiano come ello sgozzatore vergognoso piritoico di Clito commilitone e amico fraterno suo. La mamma mia bella narratrice notturna raccontava sempre a io Sailas piccino piccino queste storie più antiche di tutte. E ancora più antiche, come quando Achille fanciullo nolente partire in guerra era nascosto tra le bimbe e faceva la bambina lunghi capelli di grano tra le bimbe e ludava con loro e non era micaperniente il Piè veloce. Allora era prima di tutte le cose belliche e Scamandrio Poverino compassionevole – che io Sailas gli voglio bene tanto e lo lacrimo – ancora non era procreato, ché Andromaca doveva ancora conoscere la carne del marito suo ello glorioso, ello che mortostecchito fu dato in pasto alle cagne e agli uccelli dal Mirmidone irato luttuoso, ello Ettore Campione delle genti di Ilio dardanica che era fratello di Paride afroditico codardo Arciere, ladro di Elena eletta Regina pulcherrima dopo la Mela della discordia recante scritto alla più bella, lanciata cattivamente da Eris Dispensatrice di guai procellossi al banchetto divino delle nozze di Teti Nereide, ella scordatrice di intingere il tallone vulnerabile dell’Eroe degli eroi infante, che ello poi fu volente trapassare nell’Ade giovanegiovane per la fama imperitura, pentendosi poi solo seguitamente da già cadavere succhiatore di sangue nelle terre autunnali e invernali di Persefone Misterica eleusina, figlia di Flora. E allora però ogni cosa troiana doveva ancora succedere e il Fiume Xanto ancora era dolce e abbeveratore gentile degli animaletti selvaggi e casalinghi e il fratello suo fluviale Simoenta torrenziale scorreva non arrabbiato e Calipso la Ninfa nussunoperniente vedeva da tanti secoli lenti nonmai passanti e stava sola e triste ai confini del mondo e Polifemo Ciclope era ancora vedente e mungeva le pecore sue pacato e si sfamava di ricotte e latti cagliati e Nausiaca stava nella culla dondolante e ancora non era svezzata. Ma Ulisse lo disnascose, a ello bambino Achille Ettoricida, mettendo una spadagladio tra i giochi delle bimbe e ello Pelide, allevato da Chirone Centauro, afferratala subito la spada, ché già agognava le armi, si scoperse e dovette salpare per la pugna decennale assediante. Ello Re di Itaca e Re più di tutti nella furberia ingannatrice, più astuto di Rutran Proteiforme e più artefattore di Dedalo Costruttore di false vacche amatrici, ello portatore della cicatrice riconoscente sulla coscia – giapprima di ello l’altro l’amatore di Patroclo –  tentò di truffare, voleva frodare gli achei a sua volta, volente rimanere con Penelope Scucitrice Perenne sua, e così arante il campo della maggese, seminava il sale marino, volendo apparire folle, ma preso per un braccio Telemaco…»

*Illustrazione in copertina di Carl Gustav Jung (LIBRO ROSSO)