Prima di cominciare questa lettera provavo nei tuoi confronti una forma di tranquillità che si è ormai disintegrata. Sempre più, nello scriverti, mi sembra di incedere nel pantano di una landa spopolata come nei sogni, dove tra una parola e l’altra devo percorrere uno spazio riempito di una materia incerta. Ho l’impressione di non avere una lingua per te, di non saper parlare di te se non attraverso la negazione, in un perpetuo non-essere. Sei fuori dal linguaggio dei sentimenti e delle emozioni. Sei l’anti-linguaggio.
(L’altra figlia, p. 55)

L’altra figlia non è il lavoro più riuscito di Annie Ernaux, ma questo estratto è il punto di partenza ideale per parlare di lei e della sua opera: le parole, per la scrittrice, sono un ponte tra l’indicibile del mondo interiore e il raccontabile dei fatti esteriori. Nel rapporto tra questi due estremi si gioca la costruzione della propria identità: nel continuo collegare, cercare risonanze, echi e causalità tra dentro e fuori riscontriamo il limite della voce dell’autrice, che traghetta il lettore tra un mondo di sensazioni che non le appartiene mai del tutto e circostanze esteriori che sfuggono al suo controllo.

Quest’estate, ho visto per la prima volta un film classificato X alla televisione […]. Si distingueva un profilo di donna in guêpière, con delle calze, un uomo. La storia era incomprensibile, e non si poteva prevedere alcunché, né dai gesti né dalle azioni. L’uomo si è avvicinato alla donna. Il sesso di lei è apparso in primissimo piano, ben visibile nel baluginìo dello schermo; quindi il sesso dell’uomo, in erezione, che è scivolato in quello della donna. Per un tempo assai lungo, l’andirivieni dei due sessi viene mostrato sotto diverse angolature. Il membro è riapparso, in mano all’uomo, e lo sperma si è riversato sul ventre della donna. Sicuramente ci si abitua a una tal visione, ma la prima volta è sconvolgente. Secoli e secoli, centinaia di generazioni, e soltanto ora è possibile vedere una cosa simile, un sesso di donna e un sesso di uomo che si uniscono, lo sperma – ciò che non si poteva guardare senza quasi morirne è divenuto facile a vedersi quanto una stretta di mano.

M’è parso che la scrittura dovesse tendere a questo, l’impressione che provoca l’atto sessuale, l’angoscia e lo stupore, una sospensione di giudizio morale.
(Passione Semplice, pp. 7-8)

Più che il giudizio morale, nelle parole della Ernaux quasi svanisce l’intero punto di vista individuale e fa capolino soltanto quando si riflette sulla riflessione-scrittura; ci si chiede se l’attaccarsi a particolari esterni, che siano una canzone, delle parole, degli edifici, non sia il tentativo di costruirsi un’epidermide, un confine tra circostanze esterne e quel maelstrom interiore che è l’identità.
Rielaboro dunque sono, soprattutto se lo faccio a distanza di tempo, sembra dirci la Ernaux: noi esistiamo solo nel tentativo (sempre illusorio, e destinato a uno scavo perpetuo dalle mille ramificazioni) di riesaminare l’evento esteriore facendolo combaciare con il movimento interiore; raggiungiamo così la più completa realizzazione del motto socratico che vede solo una vita riesaminata come degna di essere vissuta.

Nello scrivere, una via stretta tra la riabilitazione di un modo di vivere considerato come inferiore e la denuncia dell’alienazione che l’accompagna. Perché quella maniera di vivere era la nostra, persino felice, ma anche umiliata dalle barriere della nostra condizione (consapevolezza che «da noi non è abbastanza come si deve»), vorrei dirne allo stesso tempo la felicità e l’alienazione. E invece, impressione di volteggiare da una sponda all’altra di questa contraddizione.
(Il posto, p. 50)

La voce della Ernaux è letteraria in senso intimo, ovvero portatrice di una visione del mondo, dominata da un’elaborazione che diventa autocoscienza e che talvolta scivola nei meandri di se stessa (Gli anni e L’altra figlia, nei quali il processo, molto ingentilito, diventa espediente letterario, e pertanto meno efficace) ma che, quando lasciata fluire spontaneamente, approda a una narrazione capace di vivificare nel senso più letterale del termine l’avvenimento che narra e rimpolpare ogni moto emotivo.

Mi aveva detto «non scriverai un libro su di me». Ma io non ho mai scritto un libro su di lui, e nemmeno su di me. Ho soltanto trasformato in parole – che certo non leggerà mai, che non gli sono destinate – quel che il suo semplice esistere mi ha arrecato. Una sorta di dono a mia volta elargito.
(Passione Semplice, p. 72)

Annie Ernaux

Il posto (1983)
Trad. it. Lorenzo Flabbi
Roma, L’orma, 2014
pp. 114

Passione semplice (1991)
Trad. it. Idolina Landolfi
Milano, BUR, 2013
pp. 74

Gli anni (2008)
Trad. it. Lorenzo Flabbi
Roma, L’orma, 2015
pp. 276

L’altra figlia (2011)
Trad. it Lorenzo Flabbi
Roma, L’orma, 2016
pp. 81