Primo uomo (in piedi): Com’è passare attraverso le cose?
Secondo uomo (seduto): È già tanto se riusciamo a raggiungerle.
Primo uomo: E in che modo vuoi raggiungerle, se stai seduto?
Secondo uomo: Io non sto seduto, ti inganni. La tua percezione della realtà è sfasata. Sei tu che sei in piedi, quando potresti sederti e (ride beffardo) muoverti.
Primo uomo: (Ride a denti stretti)
Secondo uomo: Dubiti di quanto dico? Da qui a un istante sarò da un’altra parte. E starò seduto. (Ride ancora beffardo, mostrando i denti gialli di fumo, denti cariati e cacati)
Primo uomo: Ma dovrai pure alzarti, per andare da un’altra parte?
Secondo uomo: E chi vuole andare da un’altra parte. La mia era un ipotesi. Io voglio stare seduto. Mi sono educato fin troppo bene, per molti anni. Ho piaghe da decubito che farebbero impallidire un macaco. (Si passa la mano sinistra sotto la gamba sinistra e gratta, le unghie si incrostano di pezzetti di sangue e peli e ciò che resta della pelle) Non schiodo il culo piagato da questa sedia!
Primo uomo: Ma… (Prova ancora a obiettare)
Secondo uomo: (continua a parlare, coprendo la voce dell’altro) Le cose cambiano. Un giorno la posizione eretta ti va bene, un altro giorno scopri il comfort di stare seduti. Capisci che non c’è bisogno di girare intorno a sé stessi per trecentosessanta gradi, quando può bastare un mezzo giro.
Primo uomo: Non è vanità accontentarsi di così poco?
Secondo uomo: Continui a fraintendere e a parlare come un uomo che sa parlare o che vorrebbe saper parlare e mette in mezzo… ma un mezzo è come possedere un ponte, e non attraversarlo mai. Non c’è vanità in questo, perché la vanità richiede desiderio e possesso.
Primo uomo: Non ti ascolti quando parli?
Secondo uomo: Ascoltarmi? Se mi ascoltassi, prenderei le cose sul serio, le parole dico. Non vuoi certo che mi metta a seguire il filo dei miei discorsi? (Silenzio. L’uomo seduto sfila una sigaretta da un pacchetto, e la batte dal lato del filtro sull’unghia del pollice. Riprende a parlare) Perché cerchi speranze ovunque? Questo è stancante!
Primo uomo: Stanchezza e mal di schiena sono problemi di umidità. E se ne prende molta stando seduti qui fuori. (Silenzio. L’uomo in piedi sfila una sigaretta da un pacchetto, e la batte dal lato del filtro sull’unghia del pollice. Riprende a parlare) Perché mi accusi di ciò che ti affligge?
Secondo uomo: Ecco. (Si mette la sigaretta su un orecchio) Hai detto la parola che scagiona ogni reato. (Ride, battendosi la mano destra sulla gamba) Fuori. Sì, fuori. Io ci sto già, lo vedi, e me lo guardo questo fuori! Non va bene? (Ride sempre più forte. Ora batte anche la mano sinistra sull’altra gamba.) E tu come vai fuori? Anzi come vieni? Dentro è entrare fuori! Tutto si sovverte e cambia. L’acqua, però, cade sempre e ristagna. Quanta stanchezza, e chi è stanco si piscia sotto! E chi resiste ha come sola speranza la resistenza ad oltranza. (La risata diventa incontenibile. Ora batte anche i piedi, a tempo con le mani)
Primo uomo: Tu vaneggi! (Si mette la sigaretta su un orecchio. Si batte la mano destra sulla gamba destra e il piede sinistro colpisce ritmicamente) Così hai deciso di non venire, di finire i tuoi giorni anchilosato su quella sedia. Prima di ogni altra cosa, devi sapere che smetterai di ridere, per questa ragione io non accetto la tua scelta. Ma a te, immagino, poco importa quanto ti sto dicendo. Ritengo che non potremmo dirci altro. (Smettono contemporaneamente di battere mani e piedi) E ora, mi pare, è l’amarezza a suggerirmelo che non ci siamo mai neanche parlati, prima d’oggi. Lascia che ti accenda la sigaretta.
(L’uomo in piedi si abbassa con l’accendino verso l’uomo seduto, accendono entrambi dalla stessa fiamma. Si scambiano un gesto di saluto. L’uomo in piedi se ne va, l’uomo seduto resta)