Il cassettino segreto di casa Bolaño è uno dei primi pezzi seri di CrapulaClub. Ora che i diritti dell’opera di Bolaño sono passati da Anagrama a Alfaguara, e quest’ultima è entrata a far parte del gruppo Random House, è bene tornare sull’argomento. Si tratta, è bene dirlo subito, della storia di un ambiguo riferimento metaletterario.
El gaucho insufrible, di recente ripubblicato da Alfaguara in Spagna, è il primo libro di Bolaño pubblicato dopo la sua morte. La quarta dell’edizione Alfaguara dice: «El gaucho insufrible è l’ultimo libro che l’autore abbia lasciato pronto per la pubblicazione». Siamo già nel dominio della fede, ma il peggio deve ancora venire.
L’edizione Alfaguara aggiunge, ai cinque racconti e ai testi delle due conferenze che formano il libro, una sezione interessante: Documenti dell’Archivio Bolaño riguardo El gaucho insufrible. Si tratta di foto di note e appunti dell’autore, come questa:

archivio

(L’Archivio Bolaño – non so se vi rendete conto: una caverna il cui accesso è precluso ai mortali. Io e Luca Mignola, quattro anni fa, provammo a forzare la porta d’ingresso, a spallate: niente. Provammo ad aprirla magicamente, con le seguenti formule:
«Apriti, Arturo!»
«Apriti, Amalfitano!»
«Apriti, Cesárea!»
«Apriti, Lalo!»
«Apriti, Arcimboldi!»
Niente. La verità è che solo Andrew Wylie, lo sciacallo, vi ha accesso.)

Il personaggio principale del racconto che dà il titolo all’opera, Manuel Pereda, avvocato, decide di abbandonare Buenos Aires e rifugiarsi nella pampa. Le circostanze sono simili a quelle di Juan Dahlmann nel racconto di Borges “El Sur”. L’intero testo di Bolaño, di fatto, può essere letto come una riscrittura o un omaggio a quello di Borges: i temi tradizionali della letteratura gauchesca vi sono presenti.
Manuel Pereda si spinge oltre: cita direttamente “El Sur”. Il rimando, nelle parole di Bolaño, è inevitabile:

«Ricordò, com’era inevitabile, il racconto “El Sur”, di Borges, e dopo aver immaginato la pulpería dei paragrafi finali, gli occhi gli si inumidirono».  (El gaucho insufrible, Alfaguara, 2017, p. 24)

La pulpería è un negozio tradizionale nel mondo latinoamericano, fino almeno al XX secolo. Qualcosa di simile alla nostra salumeria, con in più un bancone per consumare cibo e bevande. Ora: negli ultimi paragrafi del racconto «El Sur» non compare nessuna pulpería. C’è un bancone, questo è vero. Più avanti, nel racconto di Bolaño, si dice:

«[Pereda] vide in un angolo una pulpería aperta. Udì voci, qualcuno pizzicava una chitarra, la toccava senza decidersi a suonare una canzone precisa, proprio come aveva letto in Borges. Per un istante pensò che il suo destino, il suo destino americano di merda, fosse simile a quello di Dahlmann, e non gli parve giusto […]» (p. 28)

Veniamo dunque al punto. La pulpería e la chitarra pizzicata non vengono dal racconto “El Sur”, ma da un altro racconto di Finzioni, “El fin”, anch’esso di tema gauchesco. Per dirla diversamente: così come, nel Corano, secondo Borges, non c’è nemmeno un cammello (è implicito), in “El Sur” non c’è nemmeno una chitarra.

Si tratta di una distrazione di Bolaño? O forse di un gioco metatestuale estremamente complesso? Entrambe le opzioni, teoricamente, sono valide.

«[…] y finalmente le improvisó un apósito con otro pañuelo que sujetó con un vendaje improvisado […]» (p. 36, corsivi miei)

L’aver notato, nel testo, alcuni passaggi deboli, alcune ripetizioni a brevissima distanza, come quella riportata qui sopra, mi fanno tristemente propendere per la prima opzione. La mia opinione è che il testo in questione non fosse pronto, all’epoca, per la pubblicazione, che gli mancasse l’ultimo ritocco o revisione. Ma la mia opinione, qui, non conta niente.

Conta invece che quasi nessuno abbia notato e discusso pubblicamente questa attribuzione ambigua a Borges, e che invece influenti operatori culturali – il primo e il secondo editore, gli editori stranieri, i critici: tutti colti in flagranza – non abbiano esitato a scrivere che la raccolta El gaucho insufrible fosse un libro pronto per la pubblicazione, che fosse “il testamento estetico di Bolaño” (citazione dal critico e scrittore J. A. Masoliver Rodenas, in La Vanguardia, riportata in quarta dell’edizione Alfaguara).

Si può – si deve – controbattere che il riferimento ambiguo a Borges sia, in fondo, un dettaglio minimo all’interno di un vasto insieme di false attribuzioni operate da Bolaño; che dunque fosse difficile accorgersene. È vero. È comprensibile che il primo editore e i suoi lettori professionali e i suoi editor non se ne siano accorti; che i critici non se ne siano accorti; che il secondo editore e i suoi lettori e editor non se ne siano accorti. Da questa ipotesi possiamo desumerne un’altra – attenzione, entriamo in ambito altamente speculativo: che editori e editor non leggano attentamente i libri che pubblicano; che critici e recensori non leggano attentamente i libri di cui scrivono.

Circola però un articolo in rete, accessibile sulla piattaforma Scribd: l’autrice, Carolina Ramírez dell’Universidad Nacional de Colombia, analizza i procedimenti attraverso cui Borges e Bolaño costruiscono la figura del gaucho. I testi di riferimento sono: “El gaucho insufrible” e “El fin” – non “El Sur”. Qualcuno, allora, mentre Alfaguara componeva la nuova edizione del libro corredandola di foto dell’Archivio Bolaño, mentre continua a mancare un’edizione critica di uno dei più grandi scrittori degli ultimi vent’anni e invece non mancano i libri postumi del medesimo autore, pubblicati e ripubblicati con la certificazione “pronto per l’uso” – qualcuno, visibilmente, deve aver notato l’ambiguità di quel gioco metaletterario.
Mi chiedo allora: e se invece se ne fossero accorti anche loro – critici, editori e compagnia cantante – e avessero deciso, in una riunione improvvisata davanti alla caverna dell’Archivio Bolaño, di tenere la notizia segreta per lasciare a noi semplici lettori il brivido della scoperta?