Cos’era a fare di lui un freddo guerriero,
armato d’acciaio bianco e splendente
per uccidere le creature?

yasushi

Il fucile da caccia racconta la storia di un uomo, Misugi Jōsuke, che, dopo aver letto una poesia ed essersi riconosciuto in essa, contatta l’autore e prova a mettersi a nudo e a raccontarsi attraverso quattro lettere, di cui una scritta da lui, le altre da tre donne coinvolte, talvolta loro malgrado, in un rapporto amoroso totalizzante ed effimero, diluito negli anni e nello scorrere degli eventi quotidiani.
Quanto emerge è un senso di solitudine vertiginoso, rafforzato da una progressiva consapevolezza dell’inconoscibilità dell’altro, dell’impossibilità di costruire un legame che sia davvero intimo, condiviso nel profondo, inscalfibile.
Il fatto è, ci dice l’autore Inoue Yasushi, che noi siamo segreti anche a noi stessi, e infinite parti di noi possono emergere se evocate nel giusto modo, dalla giusta persona, nelle giuste circostanze. Il nostro nucleo non è solido, ma acquatico, mobile, opposto non tanto a ciò che pensiamo di essere ma addirittura a quello che siamo, e capace di permeare ogni nostra cellula.

I cinque personaggi (perché anche il narratore si trova trascinato nella vicenda, seppur solo come spettatore) coinvolti nel gioco sentimental-esistenziale imbastito dall’autore si illudono di rivelarsi all’altro ma anche a sé, tuttavia l’impressione che se ne ricava è che abbiano appena cominciato a scalfire la superficie; ci si chiede se sia sano continuare a scavare, se sia giusto indagare su una nuova consapevolezza, se sia possibile cominciare a conoscere la verità senza lasciarsi toccare oppure se occorra immergersi in essa, lasciandosi trascinare nell’ignoto cangiante e immobile che è dentro di noi.

Ho vissuto sempre a faccia a faccia con il fantasma della morte, ma questo non ha fatto che rendere la mia felicità ancora più unica.

Il fucile da caccia è un romanzo che si regge e si sviluppa sugli opposti: ogni movimento genera una risposta uguale e contraria che lo annulla e si annulla, e quello che resta di un travaglio, di un dolore, di un amore, viene riassorbito nello scorrere placido della Vita. Come il singolo resta incomprensibile per la sua natura serpentina, così anche il disegno generale degli eventi è inavvicinabile, perché sfuggente e incontenibile; ma una poesia scritta da uno sconosciuto può rivelare l’intimità di un’anima che si è costruita attraverso i contatti con altre anime, e riportare a galla ciò che era stato sommerso dai flutti.

Tu che eri abituato a sparare col tuo fucile a fagiani e tortore, perché non hai colpito al cuore anche me? Visto che mi tradivi, perché non l’hai fatto in modo più crudele, spingendoti fino al limite estremo? Una donna può raggiungere la santità anche grazie alle menzogne di un uomo.

Il fucile da caccia è un’opera perfetta come lo può essere una pozza che è stata intorbidata, e che ha recuperato la sua trasparenza inglobando ciò che, per un momento, ne ha turbato l’equilibrio. Yasushi rifugge ogni eccesso; il risultato è un’opera capace di toccare con brutalità ed eleganza corde intime e talvolta inconsapevoli, di scuotere nel profondo attraverso la sua forma impeccabile, di parlare una lingua sotterranea ed eterna, perturbante.

Inoue Yasushi
Il fucile da caccia (1949)
trad. it. Giorgio Amitrano
Milano, Adelphi, 2004
pp. 101