Presentiamo un estratto esclusivo dal primo romanzo di Andrea Zandomeneghi – nelle fila di CrapulaClub dal 2016 al 2018 –  “Il giorno della nutria” (Tunué, 2019)

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La sega non andò a buon fine per sopravvenuta svogliatezza e per l’inconcludenza delle mie fantasie masturbatorie: non riuscivo a direzionarle in modo accettabile verso le situazioni prescelte, continuavano a essere distratte e scarnificate da un opprimente senso d’angoscia e di colpa che saliva, sempre meno latente. Ormai quasi sfacciato. Odio la locuzione “senso di colpa strisciante”: col cazzo che il mio senso di colpa si mette a strisciare, lui morde cattivo, inocula il veleno e una volta che t’ha addentato non molla la presa e anche quando ti sembra che si sia sganciato ti rimangono comunque le sue tossine in circolo e quelle non è che le smaltisci con una pisciata, quelle ti mangiano il fegato e l’anima peggio di due bottiglie di gin al giorno. Quando iniziai a sentire il ronzio di una delle ultimissime (o delle primissime dell’anno nuovo?) zanzare sopravvissute al freddo che mi svolazzava intorno alla testa, mi alzai dal letto, rassegnato. Prostrato. Tolsi il bite notturno, presi cinquanta gocce di Xanax – per calmarmi, ma anche per attenuare i postumi della sbronza, visto che l’alprazolam ha anche questo lodevole talento meno conosciuto – e due compresse di Limbitryl 25+10 mg, che certamente, essendo costituito in gran parte da amitriptilina, viene usato come antidepressivo triciclico (agisce come inibitore non selettivo della ricaptazione della serotonina e della norepinefrina) e certamente contiene una piccola dose di una vecchia e gloriosa (fu la prima a essere sintetizzata) benzodiazepina, il clordiazepossido – per altro del tutto inefficace come ansiolitico. Ma io prendo il Limbitryl per altri motivi, per altre proprietà delle sue molecole. Prendo il Limbitryl non a cazzo come faccio con lo Xanax (o il Rivotril: di tanto in tanto mi vien voglia di variare), cioè senza ricetta, senza monitoraggio medico, talvolta abusandone, essendomelo autoprescritto, comprandolo con la connivenza del mio farmacista, mischiandolo con l’alcol, offrendolo a scopo ludico ai miei amici. Prendo quotidianamente il Limbitryl attenendomi scrupolosamente alla posologia decisa dalla mia neurologa per curare la mia cefalea tensiva cronica quotidiana. In teoria, secondo la terapia che mi ha prescritto, dovrei anche fare ginnastica posturale e andare in piscina: io non ne ho la minima voglia e per comodità e cordialità le mento e ogni volta le parlo di quanto queste due attività mi stiano giovando, “se non altro per il mal di schiena, dottoressa”, ammiccando ossequioso. In teoria secondo lei io non dovrei nemmeno toccare l’alcol. Mai. A dire il vero prendo Limbitryl sì scrupolosamente ma con un dosaggio diverso – 50+20 mg al dì, invece di 25+10 – da quello stabilito da lei, un dosaggio che mi pare più adeguato. Che è più adeguato. Soffro di cefalea tensiva cronica quotidiana da undici anni. Mi sono documentato. Ho studiato. Io la vivo e la conosco. A dire il vero la scelta del farmaco è sì stata sua, ci mancherebbe, ma io l’ho un po’ guidata verso quella scelta. Non intendo dire che l’ho manipolata, ci mancherebbe, però prima di andare da lei sapevo quale medicinale volevo che mi desse e quel medicinale era appunto il Limbitryl. A dire il vero soffro di cefalea tensiva cronica quotidiana da undici anni – il mal di testa non passa mai, ma proprio mai, nemmeno per una sola settimana, per un giorno, per un’ora, per un minuto, mai e poi mai, a meno di non essere ubriachi, condizione nella quale non si è lucidi, non si può leggere Klossowski o Deleuze, certo, ma il dolore magicamente scompare: “è terribile cadere nelle mani del Dio vivente” insegna Paolo e nel vino opera un dio potente e spaventoso e magnifico e pericoloso, un demone antico opera nel vino, dico sul serio, io lo so – e ho provato sostanzialmente di tutto. Oltre a infiniti fallimentari e svilenti farmaci per lo più neurologici (antiepilettici, Depakin; miorilassanti, Sirdalud; antineuropatici, Lyrica; antiposterpeticopatici, Gabapentin) e psichiatrici (antidepressivi di ogni generazione, Prozac, Efexor, Zoloft, Daparox, Maveral, Entact, Cymbalta, Elopram; antipsicotici, Zyprexa; stabilizzatori dell’umore, Litio; a-minchia-di-cane-tanto-per-provare, Trittico). Oltre a queste molecole, dicevo, ho provato anche omeopatia, elettrostimolazione, meditazione Zen, meditazione sul respiro, nam-myoho-renge-kyo, attualizzazione somatica del carisma del discernimento degli spiriti, fitoterapia, chiropratica, osteopatia, dieta macrobiotica, agopuntura, riallineamento dell’atlante, ipnosi, naturopatia, yoga e psicanalisi e chi più ne ha più ne metta (ma non pranoterapia, reiki, cromoterapia, cristalloterapia et similia – perché c’è un limite all’erosione della mia dignità che sarebbe rischioso, per me e per la mia sanità mentale, oltrepassare; penso di averlo superato solo una volta, quando mi feci fare da Esteban – che oltre che nostro inquilino e figlio della nostra collaboratrice domestica, a dispetto del visetto angelico è anche una sorta di giovane “sciamano” Orisha praticante, consacrato a Yemaja, anche se non di livello troppo alto, tipo non ha ancora Pinaldo e quindi ai “morti” può sacrificare solo volatili – “la messa” ovvero una seduta spiritica in cui si mise in contatto con Airtun, il principale dei miei “morti”, un ragazzetto arabo vissuto intorno al tredicesimo secolo). Ho provato una settimana di ketamina – sì, ketamina: l’anestetico per cavalli tanto apprezzato come dissociativo dai raver free-tekno – endovena ricoverato in una struttura sanitaria privata sotto strettissimo controllo medico, in me ebbe effetto enteogeno. Nella fase stagnante e stordita che seguì un delirio pseudomistico psichedelico acuto coniai addirittura il termine – che tanta fortuna ha avuto tra i miei amici, lo usano per sfottermi – “diopolare”, pensai e dissi: «Non sono bipolare, sono diopolare». Ho provato sostanzialmente di tutto (ribadisco: sono arrivato al punto di assumere, su indicazione di un centro cefalee, pasticche di Zyprexa – olanzapina, madonna troia! – senza essere minimamente psicotico, come tentativo, stocasticamente – e quella fu veramente l’apoteosi assoluta dell’idiozia medica) e ora faccio anche un po’ come cazzo mi pare e piace, anche perché la cefalea è mia e mia soltanto. La mia cefalea non è di nessun altro. Semplicemente io sono anche la cefalea.

 

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Andrea Zandomeneghi
Il giorno della nutria
Tunué, 2019
p. 152