racconti-ispanoamericani-del-terroreLeopoldo Lugones, Il rospo (El escuerzo), in Las fuerzas extrañas, 1906 (ultima edizione italiana: Le forze misteriose, traduzione di Francesco Verde, Torino, Lindau, 2017).

[Il racconto è riportato qui nella traduzione di Marcella Solinas, dall’antologia Racconti ispanoamericani del terrore del XIX secolo, a cura di Lola López Martín, Salerno, Edizioni Arcoiris, Collana Gli eccentrici, 2015, pp. 7-12. Anche la biografia è tratta dall’antologia: pp. 128-29.]

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Un giorno come tanti, mentre giocavo in campagna nella casa di famiglia, incappai in un piccolo rospo che, invece di fuggire come i suoi consimili più corpulenti, si gonfiò in modo straordinario sotto le mie sassate. Provavo orrore per i rospi e quando potevo mi divertivo a schiacciarli. E fu così che il piccolo e ostinato rettile non tardò a soccombere colpito dalle mie pietre. Alla stregua di tutti i ragazzini educati alla vita semicampestre delle nostre città di provincia, ero un esperto di lucertole e rospi. Inoltre, la casa si trovava vicino a un ruscello che attraversa la città, e questo rendeva molto frequenti le occasioni d’incontro con simili bestiole. Entro in tali dettagli per farvi capire bene la mia sorpresa quando mi resi conto di non conoscere affatto quello stravagante rospetto. Circostanza da approfondire, quindi. E afferrando la mia vittima con tutte le precauzioni del caso, andai a chiedere lumi alla vecchia domestica, confidente delle mie prime imprese da cacciatore. Io avevo otto anni e lei sessanta: la faccenda doveva interessare entrambi. Come d’abitudine, la brava donna era seduta all’ingresso della cucina; io mi aspettavo di vedere accolto il mio racconto con la consueta benevolenza, ma non appena esordii, la vidi alzarsi di scatto e strapparmi di mano l’animale sventrato.
«Grazie a Dio non l’hai lasciato lì!» esclamò manifestando una grande contentezza. «Ora andiamo subito a bruciarlo».
«Bruciarlo?» dissi io. «Ma perché, se è già morto?».
«Questa è una rana cornuta, non sai cos’è?» replicò in tono misterioso la mia interlocutrice. «Non sai che questo animale resuscita se non lo bruci? Chi ti ha detto di ucciderlo? Ecco cosa hai ottenuto con le tue sassate! Ora ti racconto quanto è successo al figlio di Antonia, la mia amica defunta, pace all’anima sua».
Mentre parlava, aveva raccolto e acceso alcune sterpaglie poggiandovi sopra il cadavere della rana cornuta.
«Una rana cornuta!». Ripetevo, atterrito nei panni del ragazzino sveglio, «una rana cornuta!». E scuotevo le dita come se il freddo del rospo vi si fosse appiccicato su. Un rospo risorto! Era una cosa da far gelare il sangue persino a un uomo fatto.
«Ma lei ha intenzione di raccontare una nuova batracomiomachia?» c’interruppe a questo punto Julia con l’adorabile e disinvolta sfacciataggine dei suoi trent’anni.
«Niente affatto, signorina. È una storia realmente accaduta».
Julia sorrise.
«Non può immaginare quanto desideri conoscerla…».
«Sarà accontentata, tanto più che ambisco a vendicarmi del suo sorrisetto». Dunque – mentre la mia fatidica preda si arrostiva –, la vecchia domestica impostò così la narrazione…

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La sua amica Antonia, vedova di un soldato, viveva con l’unico figlio in una casa molto povera, distante dagli altri villaggi. Il ragazzo lavorava per entrambi, tagliando legna nel bosco vicino, e i due trascorrevano gli anni così, barcamenandosi nella vita di tutti i giorni. Un pomeriggio, come d’abitudine, ascia in spalla, allegro, sano e vigoroso, ritornò per bere il mate. E mentre lo preparava, raccontò alla madre di aver trovato ai piedi di un albero secolare una rana cornuta, che invano si era gonfiata prima di spappolarsi sotto la sua ascia.
La povera vecchia, ascoltandolo, si rattristò moltissimo e gli chiese il favore di accompagnarla sul posto per bruciare il cadavere dell’animale.
«Devi sapere» gli disse «che la rana cornuta non perdona mai chi la offende. Se non viene bruciata, resuscita, segue le orme del suo assassino e non riposa fin quando non riesce a vendicarsi».
Il buon ragazzo rise di gusto del racconto, cercando di convincere la povera vecchia che con quella stupida storia poteva spaventare ragazzini fastidiosi, ma non intimorire persone con un po’ di cervello. Lei insisté, tuttavia, per farsi accompagnare a bruciare i resti dell’animale.
Fu inutile ogni canzonatura, ogni indicazione circa la distanza del posto e il danno che avrebbe potuto causarle, data la sua vecchiaia, l’aria fresca di quella sera di novembre. Volle andare a tutti i costi, e lui dovette decidersi a farle strada.
Non era poi così lontano: sei isolati al massimo. Trovarono facilmente l’albero appena abbattuto, ma per quanto frugarono tra gli sterpi e i rami sparsi, il cadavere della rana cornuta non venne fuori.
«Te l’avevo detto!» esclamò lei scoppiando a piangere. «Se n’è già andata, ora non c’è più scampo. Che sant’Antonio ti protegga!».
«Ma che stupidaggine preoccuparsi così. L’avranno portata via le formiche o l’avrà mangiata qualche volpe famelica. Ma dove si è mai vista una tale assurdità: piangere per un rospo! Sarà meglio tornare, comincia a fare buio e l’umidità della campagna è dannosa».
Ritornarono, quindi, a casa, lei sempre piagnucolante, lui cercando di distrarla con particolari sui campi di grano, che promettevano un buon raccolto se la pioggia si fosse protratta, o ricominciando a ridere e a scherzare, quando la tristezza di lei ricompariva ostinata. Arrivarono che quasi era notte. Dopo un controllo minuzioso di ogni angolo della casa, che provocò di nuovo l’ilarità del ragazzo, cenarono in cortile, in silenzio, al chiaro di luna, e mentre lui già si preparava a mettersi a letto per addormentarsi, Antonia lo supplicò di coricarsi e rinchiudersi in una cassapanca che avevano lì, almeno per quella notte.
La protesta contro tale richiesta fu decisa. Era pazza, la poveretta, non c’era dubbio. A chi sarebbe mai venuto in mente, con quel caldo, di chiedergli di dormire in una cassapanca che con ogni probabilità era piena di scarafaggi?
Ma le suppliche della vecchia furono tali che il ragazzo decise di cedere a quel capriccio, perché le voleva bene.
La cassapanca era grande, e sebbene un po’ stretto, lui non sarebbe stato poi così male. Con grande sollecitudine dispose il letto sul fondo e s’infilò dentro, mentre la triste vedova prese posto lì di fianco, decisa a trascorrere la notte sveglia per richiudere il mobile al minimo segnale di pericolo.
Lei calcolava fosse mezzanotte, perché la luna molto bassa cominciava a bagnare di luce l’abitazione, quando all’improvviso qualcosa di nero, quasi impercettibile, saltò sul coprifilo della porta che a causa del grande caldo non era chiusa. Antonia tremò di paura.
Eccolo lì, dunque, il vendicativo animale, seduto sulle zampe posteriori, come se stesse escogitando un piano. Quanto aveva sbagliato il giovane a ridere! Quella piccola figura lugubre, immobile sulla porta illuminata dalla luna, cresceva in modo straordinario, raggiungendo proporzioni mostruose. E se fosse stato solo uno dei tanti rospi comuni che entravano in casa di notte in cerca d’insetti? Per un attimo, la donna respirò, alleviata da quest’idea. Ma all’improvviso, con un saltello dopo l’altro, la rana cornuta si diresse verso la cassapanca. Le sue intenzioni erano manifeste. Non si affrettava, come se fosse stata sicura della preda. Con un’indicibile espressione di terrore Antonia guardò suo figlio; dormiva, vinto dal sonno, respirando ritmicamente.
Allora, con mano nervosa, senza far rumore lasciò cadere il coperchio del pesante mobile. L’animale era già ai piedi della cassapanca. Le girò attorno lentamente, si fermò in uno degli angoli e, senza indugiare, con la sua piccola mole, si piantò sul coperchio.
Antonia non osò accennare il minimo movimento. Tutta la sua vita era concentrata in quegli occhi. La luna inondava ora l’intera stanza. Ed ecco cosa successe: il rospo iniziò a gonfiarsi gradualmente, ingrandendosi sempre più, in modo prodigioso, fino a triplicare il suo volume. Rimase così per un minuto, durante il quale la povera donna sentì passare nel cuore tutte le angosce della morte. Poi, poco a poco iniziò a ridursi fino a riacquistare la forma iniziale, saltò a terra, si diresse verso la porta e, dopo aver attraversato il cortile, finì per sparire nell’erba.
A quel punto, Antonia si decise ad alzarsi, tutta tremante. Con un gesto violento spalancò la cassapanca. Quello che provò fu talmente terribile che, pochi mesi più tardi, morì per lo spavento subìto.
Un freddo mortale fuoriusciva dal mobile aperto, e il ragazzo era gelato e rigido sotto la triste luce con cui la luna immortalava quelle spoglie sepolcrali ormai fattesi pietra sotto un inesplicabile bagno di rugiada.

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lugonesLeopoldo Lugones (Córdoba, 1874 – Buenos Aires, 1938) fu un celebre poeta e scrittore argentino, saggista, giornalista e uomo politico. Esponente del movimento modernista, la sua opera risentì dell’influenza del simbolismo, del decadentismo e del parnassianesimo. Come poeta è noto soprattutto per le raccolte Lunario sentimental (1909) e Las horas doradas (1922). Scrisse La guerra gaucha (1905) e il romanzo El Ángel de la Sombra (1926). I suoi racconti del terrore, raggruppati nelle raccolte Las fuerzas extrañas (1906) e Cuentos fatales (1926), rappresentarono una grande innovazione sia del genere racconto che del fantastico. Le storie narrate in queste due opere si contraddistinguono per un misto di magia, esoterismo, scienza, tecnologia e terrore. Lugones introdusse una particolare tendenza del racconto fantastico che è entrata a far parte della scrittura di autori quali Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e Julio Cortázar.
Dal punto di vista biografico, lo scrittore argentino ricevette un’educazione cattolica e conservatrice piuttosto rigida. Le sue posizioni religiose e politiche sperimentarono fasi molto diverse e, nel corso della vita, Lugones cambiò più volte ideologia, toccando il socialismo, l’anticlericalismo, il liberalismo, e infine il fascismo. Il suo protagonismo politico generò tra i contemporanei costanti polemiche.
Nel 1926, Lugones ricevette il Premio Nacional de Literatura e arrivò a presiedere la Sociedad Argentina de Escritores. Entrò a far parte della massoneria e della Sociedad Teosófica Argentina. Fu amico degli scrittori Horacio Quiroga e Rubén Darío.
Leopoldo Lugones si suicidò nel febbraio del 1938, sull’isola del Tigre (Buenos Aires), ingerendo un cocktail di cianuro e whisky.

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In copertina: 1896 lithograph by R. A. Lydekker for The Royal Natural History.