West coast: in Bretagna come a Portland, Oregon. (Sempre a fare i mericani! E poi, dice, si può mai essere tifosi dei Portland Trail Blazers?)

Cortázar: Rileggo Il gioco del mondo/Rayuela, e dal confronto con le lettere che Cortázar scrive nel periodo in cui lavora al romanzo (fine anni ’50) mi accorgo di un transfert: le riflessioni sul romanzo, sulla struttura, sulla necessità impellente di abbandonare la psicologia e dis-scriversi, destrutturarsi e ripartire da zero, che si trovano in alcune lettere (in particolare questa), si ritrovano, quasi alla lettera, nelle note di Morelli, nella terza parte di Rayuela (i “capitoli prescindibili”: penso in particolare ai capitoli 115, 62 e 112, dove compare  il lemma stesso “dis-scriversi”).

In un articolo recente riflettevo sulle relazioni poliangolari Borges-Cortazar-Bolaño – in particolare su come quest’ultimo, attraverso un particolare uso della finzione autobiografica, sia riuscito a superare certi strappi (tessuti strappati per trauma, divaricazioni oltre la soglia della tollerabilità), certe scissioni presenti negli altri due. Ecco, devo correggermi: questo particolare procedimento di finzione autobiografica non solo è già all’opera in Rayuela, ma ne costituisce uno dei nodi fondamentali, il punto di fuga.

El sur: Questa inedita, sorprendente frescura atlantica mi riporta indietro, a casa mia

“Non dia credito a quanti, d’invidia, lo chiamano lago. Se è una colpa, per l’acqua, farsi tavola e piano riflesso, sia pure. Che si tengano gli altri i geloni sui piedi e ogni maremoto…”
“Ha bevuto, mio caro?”
“…il più dolce vento, mia cara, di levante, dalla sera alla mattina. Le acque stesse si fanno lascive, sbattono – guanto di scroto su gluteo rotondo – sbattono sulla chiglia.”

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Quando la composizione arriva al suo limite estremo, si apre il territorio di ciò che è elementare (Rayuela: Morelliana, cap. 94)