Per raccontarvi due storie che stanno al progetto Crapula come un romanzo di formazione.  Cioè una sola storia – la stessa, in fondo – con due personaggi. Ovvero due personaggi che sono lo stesso, ma in scala. Uno grande (molto grande), l’altro piccolo (molto molto piccolo). Non ce ne voglia Aristotele se cominciando dal piccolo siamo aristotelici senza volerlo.

E allora c’è questo piccolo editore (molto molto piccolo) che viene, mi contatta perché interessato a pubblicare dei miei vecchi racconti (tra cui questo quello). Si presenta dicendo di intendere la promozione di scrittori emergenti come una vocazione, un punto d’onore. Dice: “Da noi un autore emergente non deve nemmeno pagare”. Le mie orecchie fischiano, è chiaro, però quella sotterranea volontà (vanità) di vedere il libro pubblicato – nonostante quei racconti abbiano fatto il loro corso e siano ora già ben distanti e superati – in qualche modo prevale, mi fa prendere tempo piuttosto che chiudere fin da subito la porta in faccia alla mazzamma. Così resto in ascolto, ricevo una copia del contratto. Ecco, di seguito, l’offerta: in sostanza una tiratura limitatissima (dieci lustri), una distribuzione archeologica (vendita diretta per posta), una clausola di esclusività (una clausola di ambiguità) in cambio di una minima contribuzione da parte dell’autore emergente (molto molto piccola, della stessa taglia dell’editore molto molto piccolo che dice di sé: “Da noi un autore emergente non deve nemmeno pagare”). Se fumi meno, in tre mesi esci pari con la spesa, senza contare le ampie opportunità commerciali offerte dalla vendita diretta (secondo dati provenienti da studi di mercato più o meno attendibili, l’unico prodotto, in Europa, per cui la vendita per posta non soffre la concorrenza dell’e-commerce è lo champagne. Champagne!)

L’altro personaggio, l’editore molto grande, è Adelphi (ci permettiamo di nominare questo e non quello per due motivi: per infrangere il procedimento aristotelico, e per un fatto di taglia). C’è un passo dai Detective selvaggi di Roberto Bolaño, una digressione sui generi letterari attraverso una lunga, intricata, perfetta metafora degli orientamenti sessuali*; un passo necessario, essenziale per sviluppare il tema del terzo numero di O Metis. Noi volevamo tradurlo – la nostra Francesca Regni voleva tradurlo – e per fare le cose come si deve, invece di piratare in rete, abbiamo deciso di chiedere formalmente il permesso. Così abbiamo scritto ad Adelphi, specificando che la faccenda non aveva scopo di lucro, e che il passo in questione rappresentava una piccolissima parte dell’opera in questione (due pagine su 600 all’incirca).  Adelphi dice: “Siamo spiacenti di non potervi accordare il nostro permesso”. I grandi hanno bisogno di poche parole.

Ricapitoliamo: c’è quello molto molto piccolo che dice una cosa mentre ne fa un’altra (e mentre la dice, fottendoti, si assicura in ogni modo che tu non possa fotterlo in alcun modo). C’è l’altro, quello molto grande, che ti annienta sul nascere senza nemmeno sentire il bisogno di spiegarsi. Mi chiedo cosa vogliamo farci noi, qua in mezzo, coi nostri giochi di prestigio. Ricordo lo sforzo di diventare seri, di fare i seri – di mettere in piedi una cosa in grado di sfuggire alla morte prematura così statisticamente pregnante, di trovare il suo buco e  installarcisi senza chiedere “scusa, permesso, si figuri”. Uno sforzo che ci ha svezzato e amareggiato (dalla Tregua del Sarno, qua a Crapula c’è aria da ascia di guerra disseppellita, perché “il peso della logistica cresce e la logistica non l’ho inventata io”).
Il fatto è che noi proprio per questo dobbiamo restare in gioco. Se i meri mariuoli dell’editoria (i molto molto piccoli) semplicemente “ci fanno il chionzo”, i baroni dell’editoria ci insegnano a reagire, a trovare strade alternative, altri buchi. Mister McMetis, il nostro totem, è passato dalla storia al mito per le sue doti di incassatore prima di tutto. Dovremo rinunciare alla traduzione del passo di Bolaño per O Metis III, troveremo altro (dispiace soprattutto per voi, fratelli lettori. Ci stiamo specializzando nel genere dei tradimenti letterari, ma il legislatore non sembra essere al passo con noi). Stiamo studiando intanto nuove vie per rendere il blog e (soprattutto) la rivista più leggibili, più moltiplicabili. A ogni passo, ci accorgiamo che un’attitudine tanto estrema e aperta nei confronti del gioco letterario ce l’abbiamo solo noi. Non possiamo desistere.

* Posso dirvi, ad esempio, che: “Il romanzo generalmente è etero, la poesia, invece, assolutamente omo. Ne deduco quindi che il racconto è bi.” Inoltre: “Walt Whitman, ad esempio, era ricchione. Pablo Neruda una checca. William Blake, senza dubbio alcuno, ricchione. Borges invece era fileno, sarebbe a dire che a un tratto era ricchione e all’improvviso semplicemente asessuale.” Più di questo non posso dirvi perché Adelphi non può accordarci il suo permesso.