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Il primo romanzo del fantasma di Michel Houellebecq descrive l’elezione nel 2022 del musulmano Mohamed Ben Abbes – ottenuta alleandosi con i socialisti e sconfiggendo al ballottaggio la destra di Marine Le Pen – alla presidenza della Repubblica francese e la concomitante conversione incruenta e dolce di un accademico, cultore di Joris-Karl Huysmans, all’Islam.

Sottomissione è il certificato di morte – da non confondere con il testamento – del più stimolante autore europeo contemporaneo, trattasi quindi solo di una pratica burocratica – godibile e spassosa per altro, paradossalmente – municipale con tutto il provincialismo, il campanilismo e la standardizzazione (formale, tematica e immaginifica) che ne consegue e che la rende una narrazione ad altissima fruibilità. Non per nulla viene dopo La carta e il territorio, testo che ancora tiene, innervato dall’immane potenza creativa del colosso transalpino, seppur giunta a uno stadio spettralmente presago ed esiziale, dove si è immersi in una certa atmosfera liminale-necrofora, che lo fa percepire con terribile chiarezza come l’ultimo snodo di un ciclo vitale e artistico – non è casuale, è anzi simbolicamente cruciale, che Houellebecq faccia di se stesso un personaggio e che si faccia ammazzare.

Sottomissione non solo è evidentemente inferiore rispetto ai romanzi precedenti (Estensione del dominio della lotta, Le particelle elementari, Piattaforma, La possibilità di un’isola, La carta e il territorio), è paccottiglia: tirato via, sfilacciato, a tratti imbarazzante nella faciloneria degli espedienti e dei dispositivi narrativi macchinosi, leggerini e fragilissimi: una fonte casuale – rectius campata in aria – nei servizi segreti, una fonte casuale – idem – tra gli aborigeni europei identitario-nazionalistici et coetera. Ha una sua portata suggestiva sociopolitica attualistica, ma che non incide; zuccherina lascia il tempo che trova, non ha spessore, non ti lievita dentro. Non c’è traccia della demonica malia dell’affabulazione precedente che si sostanziava nella crudeltà dello scavo radicale delle periferie della disperazione, nella decostruzione antropica anaffettiva, nell’indagine chirurgica delle contorsioni della relazionalità e delle pulsioni che le animano.

La distopia autentica dell’opera di Houellebecq – che ti scorre addosso viscida prima e t’ingravida poi – è un’esistenza sincronica rispetto al lettore, la sua scrittura è un appiattimento – meravigliosamente riduzionistico – della dimensione temporale senza un’abolizione della medesima: non si svolge nel mai o nel sempre, si svolge nell’ora; ma a scrivere Sottomissione non è Houellebecq bensì il suo spettro e questo ora che allignava profondo nell’interiorità degrada marcescente e si ricicla in un cadaverico adesso esteriore: nella insignificanza dell’attuale.

Michel Houellebecq
Sottomissione

Trad. it. Vincenzo Vega
Milano, Bompiani, 2015
pp. 252

Crediti immagine: Ingmar Bergman, Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet) (1957)