[…] io non posso,
forse per stanchezza, o pigrizia, o noia,
riferire, quando scrivo,
qualcosa che non mi abbia suscitato un’impressione di incanto poetico,
o nella quale non abbia creduto di cogliere una verità generale.

[Lettera a André Gide, 6 marzo 1914]

 

In qualsiasi modo la si voglia mettere – timore reverenziale, noia, ammirazione, percezione del giusto valore –, parlare di Proust è un po’ come vedere il totem, toccarlo e accorgersi delle spine da cactus: quel termine spigoloso e snob, «Letteratura», è una silhouette cui aderisce perfettamente solo lui, Marcel P., siccome spigolosa e snob appare la sua monumentale Recherche a chi non ha avuto ancora l’incoscienza di immergervisi. Per chi invece lo ha fatto, la sacra unzione proustiana eleva a snob di gusto, eroe dei due e più infiniti mondi della finzione, non lettore forte ma Lettore par excellence e comme il faut – e un giorno andrebbero contate le occorrenze, nella Recherche, di questa formula, comme il faut, per trarne tutte le conseguenze del caso.

marcel_proust_13752Proust, il totem, è la divinità di una particolare forma di religione con la sua Chiesa di fedeli pedanti amatori. Avete presente l’Iglesia Maradoniana nata nel 1998 per onorare il dio del calcio? Bene, togliete a questa la parodia e sostituite P. a M. e avrete il serioso “totemismo proustiano” i cui adepti, i proustiani, si nutrono di ogni cosa riguardi Marcel.
Tra questi, per puro caso, mi ci trovo io.
Affrontata e goduta la Recherche in tempi immaturi, poi una scelta da Les plaisirs et le jours in edizione Garzanti su licenza SugarCo e tradotta da Marise Ferro – siate precisi, adepti, che le impalcature barcollanti di ogni religione sono proprio quelle sfuggenti sfumature sulle quali ballano gli infedeli – e poi Contre Sainte-Beuve (Einaudi 1991 ecc.), e pur non avendo rispettato la circolarità attraverso un dovuto ritorno alla Recherche che qualcuno dice andrebbe più e più volte riletta per poter affermare di averla letta, mi sono scoperto battezzato a cose fatte.

iglesia-maradoniana

È così che nel 2017 appena trascorso, puntuale come La Torre di Guardia e Svegliatevi!, mi fu recapitato il nuovo testo di Proust, Racconti, curato per Edizioni Clichy da due eminenze proustiane quali Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia (autore del romanzo Eclissi, da leggere) e con traduzioni degli stessi in aggiunta a quelle di Mariolina Bertini, Federica Di Lella e Ornella Tajani.
I racconti qui raccolti sono:

La morte di Baldassarre Silvande (1894)
Violante o la Mondanità (1892)
Malinconica villeggiatura di Madame de Breyves
La confessione di una ragazza
La fine della gelosia
L’indifferente

I primi cinque sono tratti da Les plaisirs et le jours, opera corposa di poesie e prose che fu pubblicata nel 1896, venticinquenne l’autore.
Il sesto uscì in rivista nello stesso 1896, poco prima dei Plaisirs.
A questo Proust giovanile mi sento di dedicare le parole che Leavitt in una recente intervista – Il professor David Leavitt e l’infida autobiografia: o la digerisci o ti fa male, in «La Lettura. Corriere della Sera», 29 ottobre 2017 – rivolge a se stesso:

Io ho cominciato con un libro di racconti che sembrava già quello di uno scrittore fatto e finito, ero capace di proiettare il punto di vista su quello delle persone più vecchie, forse usavo una parte diversa del cervello rispetto ai miei coetanei ma ero moccioso, molto più immaturo dei miei libri.

Anatole France, autore dell’introduzione a Les plaisirs et le jours, centrò in poche parole l’immatura maturità del primo Proust che è quella che Leavitt riconosce al primo Leavitt:

[Proust] non è affatto innocente. È sincero e schietto fino all’ingenuità, e piace così. C’è in lui qualche cosa di un Bernardin de Saint-Pierre depravato e di un Petronio ingenuo.

Questo giovane Proust, ancora non divino eppure “Petronio ingenuo” ossia già sacerdote pagano della viziosa umana comunità, sviluppa un tema, in questi racconti, che tornerà nella Recherche: il terrore panico del distacco.
proust-raccontiSono storie che esprimono una volontà di possesso dell’uomo verso la donna e viceversa, l’incapacità di accettare il rifiuto dell’altro, la sopravvivenza esercitata vampirizzando il prossimo. È questa la depravazione cui fa cenno France: reificati corpi e persone – non ravvedo sensualità nella narrazione di Proust giovane, l’eros appare già così senile, debole nelle sue impetuose manifestazioni (ma d’impetuoso vi è solo la volontà di possesso, tanto distante dal piacere e dall’appagamento anche momentaneo) –, si tratta di prendere, a tutti i costi, solo per dire “questo/a è mio”, in direzione dunque contraria rispetto alla mistica e pericolosa fusione amorosa di cui pochi decenni dopo avrebbe discettato Georges Bataille.
Chi ha tanto paura del distacco da perdersi non può che rifugiarsi nel collezionismo, e cos’è la Recherche se non un sontuoso album di famiglia sfogliato ossessivamente con la speranza infantile di oltrepassare la patina della memoria per appropriarsi – ancora di possesso si parla – della propria storia, per sempre, senza il timore che giunga il tempo, falce alla mano, a cancellare di volta in volta i ricordi, prima di prendersi tutto. La Recherche è una sfida alla morte parzialmente vinta – l’arte, quando è arte, immortala – e pare che il giovane Proust si sia preparato alla sfida da sempre; lo constatiamo qui, in questi deliziosi racconti anticipatori, queste gesta giovanili in cui l’atto – la scrittura – è già maturo, ma lo sguardo non ancora è divino. Proust, a differenza di un Maradona, non sapeva ancora, nel 1896, di essere un predestinato.

Marcel Proust
Racconti
A cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia.
Traduzioni di Mariolina Bertini, Federica Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Ezio Sinigaglia, Ornella Tajani.
Firenze, Edizioni Clichy, 2017.
196 pagine.