La sera di quel giorno, un venerdì, ero andato al cinema, un cinema del teatro dove davano un film di cui sapevo appena come s’intitolava e che era stato apprezzato dal «Tagblatt» o dall’«Abendshau». Dovevo essermi confuso perché il film era bislacco, ben più che strano, non il mio genere. Ed ero l’unico in sala.  Forse allora era un lunedì. Mi ero seduto davanti, al solito in primissima fila, perché mi piace annegare nello schermo.

Dopo essere annegato nello schermo, il protagonista esce dal cinema e si ritrova adulto, più vecchio dei suoi stessi genitori, nella Basilea della sua infanzia, e bambino, nel suo studio da scrittore, più giovane di sua figlia, a parlare con lei.

Il sifone blu è una favola surreale e straniante, mai perturbante, che dondola con un ritmo malinconico e gentile tra la consapevolezza di un futuro meno luminoso di quello che si poteva immaginare (la futura morte dei genitori, la fine amara della guerra) e un’infanzia che riverbera sempre luci magiche, piene di fascino. Il sifone blu è un racconto che si nutre soprattutto di atmosfere, del rapporto tra consapevolezza e scoperta, e del gioco tra lettore e autore, che, con perentoria gentilezza, apre lo sguardo del lettore alla soave insensatezza delle cose.

Decenni fa, quando ero così piccolo che mi guardavano tutti, avrò avuto tre anni, ammiravo il mondo in piedi sul davanzale di camera mia, gonfio di felicità. Mia madre lo ammirava insieme a me. «Là! Là!» esclamavamo battendo le mani. Gli uccelli uscivano in volo da un cielo splendente, ci volteggiavano intorno e scomparivano nel blu come se fosse permeabile o avesse dei buchi segreti. Io e mia madre ci guardavamo sbalorditi, sbalorditi ed entusiasti.

Quella di Urs Widmer è una meravigliosa parabola sullo stupore, sulla pulizia dello sguardo, perché il guardare alla vita con una coscienza più matura non è troppo distante dal guardare con freschezza, con occhi puliti e scevri da ogni impeto romantico e nostalgico. Il fatto è che il mondo è meraviglioso, ci dice Widmer, e noi siamo sfaccettati, complessi, ricchi del medesimo incanto; giocare con il tempo e con il nostro percorso di vita è un modo come un altro per ribaltare la prospettiva, allargarla, una maniera di ricordarci che niente è eterno e che non è detto che la verità delle nostre percezioni non possa regalarci nuove sorprese. Anche la sensazione di amarezza che ci può assalire davanti all’immagine di ciò che è ormai perduto potrebbe essere un modo per celebrarne il valore, riportarlo in cuore e in vita attraverso il ricordo affettuoso di ciò che ci ha lasciato.

Widmer scrive una storia che è una pennellata di un colore più brillante su una vita data per scontata, ci offre una finestra che si apre e fa entrare aria fresca, un’occhiata a un ambiente familiare ma rinnovato: un qualcosa che mette profondamente di buon umore, rende bendisposti verso il quotidiano e che stimola mente e sensi, che fa nascere il sospetto che l’eternità, il presente, il passato e il futuro si riassumano tutti in ogni singolo istante.

Urs Widmer
Il sifone blu (1992)
Trad. it. di Roberta Gado
Rovereto, Keller Editore, 2015
pp. 94