Le scale in quel palazzo erano tutte di marmo, scure, piatte, frammentate; scale a chiocciola?
Insieme: Jules et Velya verso la costruzione di città avvenenti: nuclei del futuro.
Jules e Velya: due nomi all’opposto, generi alla rovescia, due facce allo specchio.

Ogni volta, salivano con un nuovo desiderio di avventura. Correvano i tempi della robotica anni Ottanta, di Star Blazers e fogli colorati, i giochi virtuali erano ancora lontani… tutto già progettato, le teste fortunate, piene di informazioni: recupera, inietta, crepa! calcola, ricicla, crepa! produci & consuma… ricicla i segni & crepa!

Anciens les ordinateurs era il sogno dello spazio, un risveglio 0.1, era la fredda affermazione della potenza microscopica, congettura in germe di calcolo e numero, e solo quello: vi era la confettura di limoni: le gelatine sulle tempie, gli elettroni.
Le macchine a introduzione aliena, non si sapeva nulla della prossima rivoluzione?
Nei semi, numeri 0.2, il fascino scovato tra i ghiacci degli emisferi.
Jules e Velya navigavano in triangoli di satelliti, sbucciavano gli ideali, le ginocchia; anche in loro stessi navigano i due bambini in esperimento!
Nelle digitali prese ad vitam, fruivano tutti soli l’astronomica rotazione; così la speranza fu riposta in capelli biondi & luce, in scuri occhi & buio.

Poi Jules cadde in un piccino ricordo, da preghierine: “era necessario”, cadde da piccole vette, in qualcuno che volendole bene rendeva liete le morti, numerose, a modo suo.
Non piangerà più la bimba Jules, rallenterà il battito, si perderà in dedali a prospetto della velocità e vedrà il sole: in una finestra per l’illusione della divina nomenclatura. Dedurrà la paura, sfreccerà il pensiero, correrà la sua parte vera…
e schiantandosi al suolo pensò:
“Voglio l’anima che non c’è, puera: sono un mecca, circuiti e David.. sono un robot unico, sono spazi vuoti, sono chimiche pulsioni. Ogni volo trasforma le fini del mondo in cubi di natura: siamo morti: non scappo ma dovrei andare; ali fredde & blu, volontà e scopo: è la mancanza: non è come sembra… giuro!
Bacio la figlia delle foglie perché mi pacifica, leggo le immagini nutritive, non ho il tempo perché non esiste, alabastrina io, dovrei raggiungere Velya, dov’è Velya, dov’è Velya, dov’è Velya… dovrei lasciare… preoccupato dei buchi e del male, mentre la solitudine del cosmo latteo era già nell’atto.”

Velya era un bimbo buono, Velya pensò il peccato, lo fece vivo, e sognò la terra.

Al centro della sfera, nei funghi sacri come l’ara disposta per il gallo mangiato dal lupo, come il lupo azzannato da quell’orso, e come l’orso steso sotto la zampa del leone arguto, nel sangue interstellare intelligente supernaturale, nel tempo dell’Ulisse pazzo e torto, Jules e Velya lasciarono le mani, l’una dell’altro e ancora una volta, per sapere di quella sindone fantasmatica che si aggirava per il continente e non faceva più paura se non al nemico primigenio:
quel nemico, non un pellegrino, quel gran sorcio incoronato, l’aveva nascosta così bene da non ricordare più quando indossarla… quando si mostrava al popolo come sire, e come storia conviene farsi, infine, cadavere sulla croce. REC. STOP. REPLAY.

From 2007 to 2016 – C. Lightly

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Petites Lumina * sono:
un bianco
non fauno, non oculo
bianchissimo
non bulbo del buono – tutto nero, tutto rosso..
* Uno scattante, perpendicolare all’immoto
fulmineo nel NO della temporalità..
Uno apre un varco.
* Una squarcia la striscia nel grembo del ZERO
Una spegne l’osmosi di atomi in fumo
creano – involontari come muscoli –
buchi dei Lumina:
* Intergalactiques:
(plurale diventa sodomia – INTER – singolo)
– apparir solidi di istanti sotto tessuto –
Una
philae
calca
stridente
nei giri di vita & in terra

In copertina: Marco Bolognesi, Propaganda Sendai proxima sector.