Ancora una specie di coincidenza. Il caso è cosi stranamente efficace che quasi uno è portato a credere alla regolarità di mestruazioni e fasi lunari.

L’antecedente, l’origine di questo post data ormai cinque anni, ed è una mera associazione d’idee – homo intuitivus, ci salverai o ci distruggerai!*

Quando, nell’ultimo quarto di Inland Empire, una donna prende le scale del retro di uno strip-club, sanguinante, indirizzatavi dalla ricottara – e sale, e siede; ed incontra un’uomo sudato, grasso, che la ascolta prendendo nota. Poi squilla un telefono, e l’uomo grasso risponde da uno stanzino adiacente, e parla di lei senza troppo dissimularlo, lasciando che questa ascolti a metà… L’uomo ritorna, l’ascolta – lei si confessa!

Ecco, il caso, l’associazione lampante: questo è il momento, l’opportunità che a K., ne Il castello, non è mai stata concessa. (Non è rilevante, qui, che il Castello sia romanzo non terminato. Questa opportunità a K. non è concessa per definizione: è la natura stessa dell’occulto presso il cecchino boemo.*)

La faccia stessa dell’occulto (del mistero), i suoi tratti, in Kafka restano nascosti, non si delineano se non dall’esterno, per opposizione; non si vedono. Il mistero è inspiegabile, irragiungibile – eppure opera. L’occulto è occulto (tautologia pregnante?). I personaggi che lo subiscono vi oppongono ogni logica ferrea, ogni senso comune. Insistono sbattendo la testa, tentano di ristabilire l’ordine. Infine vi si abbandonano – senza che il perchè ed il come (la faccia) trovino risposta.

In Lynch, invece, accade il contrario: il terrore, l’occulto, ha sempre un volto. È un oggetto o un volto deforme, terrorizzante; tuttavia, la vista, la visibilità del mistero, non lo risolve. Al contrario, lo complica. (Si può obbiettare che tale differenza dipenda dal mezzo, che il cinema è un’arte dell’occhio e dell’udito, mentre la letteratura è l’arte della rappresentazione in senso chimico – ed ancora di più la letteratura che ha dietro di sè la fase orale – ed ancora di più la letteratura che ha appena appena dietro di sè, ed in fondo accanto a sè, il concettismo astratto delle avanguardie e l’elettronica. Qui, tuttavia, si argomenta che non è necessariamente la differenza del mezzo a decidere i giochi.)

Ne La metamorfosi, uno dei testi più noti di Kafka, non ci si chiede mai quale forza abbia potuto causare la mutazione di Gregor Samsa in insetto. Al contrario, ci si interroga continuamente (tanto l’uomo insetto come i membri umani della sua famiglia) sulle conseguenze che questa possa arrecare al benessere (economico e mondano) della famiglia. La mutazione è, prima di ogni altra cosa, reale (così come lo è la colpa per cui Josef K., alla fine de Il processo, accetta la punizione e la morte). Le resistenze di Gregor ad accettare la sua nuova condizione vengono meno, in qualche modo, quando per la prima volta si mette in orizzontale, prono, e sente la sue numerose zampette avere un senso, muoversi con intenzione. E godimento. Tuttavia continua a sperare nel ritorno della logica, nel ritorno dell’umanità. La sua fine si consuma quando l’essere insetto prende per intero il posto dell’essere uomo.

Ne Il castello il mistero è disseminato ovunque, è l’aria stessa che K. respira da quando, a tarda sera, arriva nel villaggio. Più volte K. si avvicina a carpire il perchè  della sua condizione (è stato chiamato per adempiere la funzione di agrimensore; tuttavia la sua pratica è bloccata). Quando, richiamato da un segretario, mette piede nell’anticamera della stanza dei bottoni, è invaso dal sonno. Per ogni passo compiuto in direzione del perchè, le cose si approfondiscono e si complicano. Così si compie il labirinto – e la mano che lo tiene insieme esiste da qualche parte, si intravede in lontananza o nell’eco di conversazioni prossime, ma non ci si può arrivare. Ci si potrebbe sempre arrivare, in realtà.

In Lynch, par contre, c’è un momento o un oggetto (un orecchio reciso in Blue Velvet, una scatola azzurro mentale in Mulholland Drive, la visita di un vicino straniero in Inland Empire) che innesta il mistero, rompendo la continuità del (supposto) ordine logico delle cose. Lynch stesso descrive questi oggetti o momenti come “openings to other worlds”. Questi vettori d’occulto (simboli, in fondo) conducono dritti (dritto, in piedi, nella misura in cui uno appena prima “was sitting on a lot of trouble”) alla faccia stessa del mistero.

Questa faccia è una maschera deforme – talvolta la stessa faccia del personaggio che si alza e prende la strada del “trouble he was sitting on”. È una discesa, non un sogno; e seppure lo fosse sarebbe sogno, o incubo, collettivo. Di fatto, quando si passa da lato all’altro del limite (che il vettore d’occulto disegna) ogni cosa ne è coinvolta. Se in Kafka questo limite è sempre sul punto di scoppiare sovrastando le cose, in Lynch c’è un punto preciso in cui le cose vi scivolano dentro e ne restano irreparabilmente impregnate.

Questa faccia (un nano, un uomo pallido, uno stregone, un barbone scimmiesco) fa il mistero visibile ma in nessun modo lo risolve (in questo senso, sopra, si diceva che non è la differenza di mezzo a legare o far divergere i due in questione. La vista è un senso come un altro, un equivoco come un altro.)

In entrambi i casi, di fatto, il mistero, l’occulto, non si risolve – da un lato si lotta contro quello, ma non lo si vede. Dall’altro ci si abbandona a quello guardandolo in faccia, senza per questo poterlo possedere. (Uno potrebbe anche dire, come s’è detto, che l’occulto è occulto – perchè mai dovrebbe risolversi? Eppure proprio qui sta la grandezza e il legaccio che tiene questi due uniti: l’apertura, la porta spalancata, non riguarda solo un finale aperto. Il finale stesso, la possibilità della chiusura, invece, è il mistero.)  L’occulto è occulto, certo (cos’è una tautologia?). Il fatto è che qui non si tratta di spiegare la forza  misteriosa che opera in un testo o in un film quale finzione – non si tratta semplicemente di sciogliere una trama sospesa.  È possibile che le questioni lasciate aperte, in entrambi i casi, non restino aperte per volontà di suspense narrativa. È possibile che la risposta alle questioni aperte non esista. Ecco, dunque, che il finale stesso, la possibilità della chiusura, diventa il proprio mistero.

 

* Homo intuitivus, occhio di Lynch – su Radio Flanagan

**Prossimamente su Scontro al vertice IV. Cecchino è il tale che, come Gerd Müller o Pablito Rossi (ci spiace citare juventini coinvolti nel calcio scommesse, ma tant’è), davanti alla porta rimane freddo, sacrificando persino sè stesso all’uopo.