Mai avrebbe pensato che il suo corpo potesse sostenere uno sforzo così intenso tanto a lungo. Teneva la donna, il volto bendato, sulle spalle, avanzava a passo spedito; la vertigine verde davanti, incontaminata, come un propulsore. La meraviglia verginale, si disse, poi smise di pensare in astratto. Un bosco fitto gli si apriva davanti, il luogo ideale per la preda. Le immagini “darsi alla macchia”, e “imboscarsi”, lo invasero di nuovo — correva ora, la tensione muscolare inverosimile non aveva conseguenze sulla respirazione e sull’attività cardiaca.
La donna, stipata sulla sua spalla destra, era tranquilla. Nonostante fosse sballottata dal ritmo frenetico della corsa, il suo respiro era sereno, regolare. Si chiese se non dormisse.
Entrarono nel bosco: la densità e l’altezza della vegetazione lo sorpresero — aveva pensato d’istinto, all’inizio, a una foresta boreale. Non aveva mai visto un bosco vergine. I tronchi, al tatto resinoso, gli diedero un improvviso, indifferibile desiderio di fermarsi, di posare le natiche sulle radici nodose. Il contatto dei capelli sudati con le venature della corteccia gli provocò un’erezione che, sul momento, si forzò di dissimulare.
Depose la donna bendata al suo fianco, ai piedi di un albero la cui base tracciava una curva morbida. La schiena della donna — dormiva, si disse di nuovo — aderì alla corteccia con perentoria plasticità: le cosce, ricoperte fino al ginocchio da un sacco di tela, come radici che ebbe improvvisamente urgenza di leccare. Si alzò di scatto per resistere a un desiderio che pareva confondersi con la fame.
Rimase in piedi al suo fianco, a succhiare una stringa di carne secca per un tempo che non riuscì a quantificare, finché il sole calante lo riportò al dovere. Ponderò l’opportunità di accendere un fuoco: sarebbero stati visibili agli altri predatori; la sorprendente mitezza del clima boschivo non sembrava richiederlo; non era sicuro, infine, di essere in grado di  accendere un fuoco in quelle condizioni. Scartò l’ipotesi con sollievo. Coprì la donna con una coperta di lana e si stese al suo fianco. La coscienza della sua inadeguatezza in quelle condizioni si scontrava con un desiderio crescente, amplificato dall’odore acido a urine che stagnava nel sacco della donna. Furiosamente, in silenzio, si masturbò sotto coperta. Ripeté, come un mantra: «il rapitore protegge il rapito da mali peggiori», poi si accasciò senza rimorso.
Il sole sorgeva appena quando scoprì il proprio corpo cinto dalle braccia della donna: esitava con le mani sul petto, gironzolava sull’addome come a indicare che prima o poi — forse col sole alto — si sarebbe infine diretta sul pube. Bendata, intanto, lo leccava. Una nuova pienezza lo invase — forse legata al divieto, al rilascio di una lunga, inspiegabile tensione. Si lasciò assaporare e prese, con lentezza e come gustando ogni istante di quello che non poteva essere altro che un idillio, a muovere anche egli le labbra e la lingua. Le liberò gli occhi — di un verde intenso come l’alba nel bosco: quello sguardo liberò altri simboli. Con una torsione del busto, fu su di lei per abbracciarla: questo è l’amore, si disse. Gli occhi negli occhi, le divaricò le gambe. Fu allora che si accorse delle urla in lontananza, come il pericolo in sé.
La fuga riprese a un ritmo forsennato — il ritmo che avrebbe avuto la penetrazione se fosse stata consumata. Consapevole della sua inadeguatezza in quelle condizioni, la donna in spalla e ora senza bende, prese a fare circoli tra gli alberi come se, perdendo lui stesso l’orientamento, potesse depistare anche gli altri. Il sole impietoso ora a picco sulle loro teste, adocchiò una fessura all’interno di un blocco roccioso. Le grida degli altri erano ormai solo un monito nella sua testa, il silenzio era totale — fin quando, avvicinandosi alla grotta, si distinse lo scrosciare dell’acqua, sempre più impetuoso. Depose la donna; entrarono nella grotta tenendosi la mano, solenni. «L’acqua è la vita», disse lei per la prima volta.
Fu lei a spogliarsi del sacco e immergersi nella pozza d’acqua termale. La sua gioia senza remore lo invase; l’idea del pericolo venne via insieme agli abiti fangosi. Uomo e donna, si unirono a più riprese sotto lo scroscio bollente in fondo alla grotta. La prima volta con sorpresa e irruenza — lei si dispose sopra di lui; la seconda volta indugiarono scoprendo, a turno, le inclinazioni che i loro corpi mostravano di prediligere. La terza volta fu un coito interminabile, lungo e posato come un vagabondaggio o una meditazione. Fu allora, mentre lei si tendeva verso l’alto, aggrappata con le mani agli spunti rocciosi, salda sui quadricipiti di lui come sui pilastri della terra, che le grida degli altri predatori invasero la caverna.
L’acqua sulfurea scrosciava con violenza effusiva sul suo cranio mentre metteva a fuoco un’orda di dieci individui, uomini e donne, armati di lance e di asce, che si dirigevano dentro la caverna. La donna si lasciò cadere in acqua all’istante, mostrando una comprensione degli eventi repentina. Lui rimase in piedi, intrappolato nell’idillio bollente dello scroscio. Quando uno degli altri predatori, un uomo dalla barba bionda e dal torace imponente, fu sulla donna e ne immobilizzò gli arti, lui si scostò dal getto termale e tentò, con un salto delle cosce che sentiva onnipotenti, di affossare, col suo peso, il predatore. Anche a costo di ferire la preda, si disse; mentre pensava al rimedio estremo, questo tentennamento riflessivo dalla durata indefinita, si ritrovò trafitto da una lancia nel costato, e annaspò nell’acqua bollente. Tre uomini, a turno, penetravano la preda davanti ai suoi occhi,  mentre una donna le riversava acqua calda sui capelli e sui seni, massaggiandola per mondare la violenza. Gli arti legati, immobilizzato ora in posizione eretta, come un uomo, trafitto al torace e alle gambe — un dolore mentale, si sorprese a pensare — implorava la preda di rivolgergli un ultimo sguardo. Non ottenne questa grazia: rimase a osservare, indifeso, le cure che gli altri predatori dispensavano alla donna. Rilasciò la tensione del collo, poggiando quasi il mento sul petto in segno di resa e notò, come un dettaglio ormai irrilevante, un’ascia di metallo scuro gocciolante di siero rosso, nelle mani di una donna fulva al suo fianco. Il suo pene galleggiava nell’acqua termale, semirigido, ancora volenteroso.

Anthony R. Shields si alzò di scatto, vomitandosi sui pantaloni. Rimase in piedi per qualche minuto, confuso, come nel bosco di casa sua. Si accorse, calpestandolo, che il dispositivo progettato per la fruizione visiva dell’applicazione in realtà virtuale Kidnapping, era fracassato per terra, le lenti spaccate, i cavi spezzati; com’è fragile, si disse, il progresso nelle sue fasi embrionali. D’istinto si tastò il torace, le cosce e il pube: il pene era ancora al suo posto, per quanto meno spavaldo.
Vagliò la possibilità di disporsi, senza indugi, come un cruccio metodologico — era uno scienziato sociale, dopo tutto —, allo studio delle istruzioni inviategli il giorno prima dall’assistente di Norman Hausman, strategic advisor del social FAME; tuttavia, due figure premevano con insistenza per uscire dalla sua testa sotto forma di pensiero verbale. Avrebbe ripreso le istruzioni in un secondo momento, si disse. Sedette alla scrivania, spense il tablet e annotò a mano su foglio bianco: vivido e fuga simbolica. Tracciò delle frecce, due sotto ogni parola, come insiemi dualistici in una mappa concettuale. Lo spazio vuoto che divideva l’estremità delle due frecce all’interno di ogni insieme era la tensione — il suo compito era riempire, formalizzare questo vuoto.

Trascorse il pomeriggio, fino al tramonto, a vagare per la città. Pensò all’uomo della moltitudine e, allo stesso tempo, allo stato di natura. Osservava gli individui scorrere per le strade, annotando mentalmente, d’istinto, quelli che secondo lui, in quelle condizioni, sarebbero stati in grado di accendere un fuoco con pietre e rametti in un bosco vergine, di difendere la preda con la propria vita.
Accelerò il passo tra la folla come per schiarirsi i pensieri. L’idea di aver fallito e interrotto il gioco a causa del desiderio impellente che l’aveva preso ai piedi dell’albero e poi nella grotta gli provocava un dolore insistente e difficilmente localizzabile, un fastidio simile al risentimento.

La luna alta sulla metropoli — un altro tipo di bosco vergine, già altrettanto desueto, si disse — sedette di nuovo alla scrivania. Dispose sul tavolo le istruzioni stampate, i fogli con la mappa concettuale da riempire a mano, e il file elettronico della relazione sul tablet: a ogni tecnologia la sua funzione cognitiva.
Rilesse la descrizione generica dell’applicazione:

Kidnapping: applicazione integrata al social FAME in cui l’utente con più followers di una cerchia, all’inizio del gioco, diventa oggetto di una caccia. Il rapitore che riesca a tenere nascosto il rapito fino alla fine di una sessione del gioco, diventa automaticamente oggetto della caccia nella sessione successiva. Non si può essere oggetti della caccia per due sessioni consecutive.
Il rapitore protegge il rapito da mali peggiori facendolo sparire: non si tratta di una caccia all’uomo, ma di una caccia all’idolo.
IMPORTANTE: si prega di leggere attentamente le istruzioni che seguono solo DOPO aver completato il gioco, per non inficiare l’esercizio di valutazione dello stesso.

L’eloquenza fredda, perentoria di Hausman lo innervosiva. Annotò, tuttavia, di scatto, nel primo dei due insiemi nella mappa concettuale

vivido2

Proseguì nella lettura delle istruzioni:

Test previo alla commercializzazione. Il gruppo-test1 coinvolge un campione non rappresentativo della popolazione dei paesi implicati nella prima fase del lancio dell’applicazione (G8+10). Al gruppo-test1 NON viene richiesta un’analisi di carattere tecnologico sul funzionamento dell’applicazione (per quanto ogni feedback in questo senso sarà tenuto in considerazione). Il carattere della relazione richiesta è di tipo eminentemente qualitativo. La relazione si compone di una sezione puramente associativa, e di una seconda di carattere analitico. Seguono dettagli, sezione per sezione, nel modulo 2.
Nota: i personaggi (prede e predatori) con cui ognuno dei membri del gruppo-test1 interagirà nel gioco non corrispondono a users effettivi del social FAME. Si tratta di profili creati artificialmente dal software in base a dati raccolti in maniera aleatoria da un campione di 10000 profili e rimescolati insieme secondo un algoritmo creato dal team di statistici e informatici di FAME, col consenso dei proprietari dei suddetti 10000 profili. Per fini comparativi, ognuno dei membri svolgerà lo stesso ruolo (rapitore/difensore della preda), mentre la scelta delle ambientazioni, in questa fase, è limitata a tre opzioni (cfr. nota 5; nella stessa troverà i dettagli rispetto alla durata reale di un’intera sessione del gioco). Per lo stesso motivo, ognuno dei membri del gruppo-test1 fruirà di un’esperienza Kidnapping individuale e separata.

La parola esperienza, nel briefing, lo colpì. Fu tentato di inserirla sotto una delle frecce dell’insieme fuga simbolica. Qualcos’altro, invece, lo spinse a desistere e a continuare la lettura del briefing.

Ripassò le due sezioni della relazione. Nella prima, si chiedeva ai membri del gruppo-test1 di individuare cinque parole chiave per descrivere l’esperienza — non gli sfuggiva l’ambiguità ulteriore che la figura assumeva nel gergo del marketing, in particolare quando riferito alla realtà virtuale — e di elaborare una frase semplice, senza subordinate, per ogni parola chiave. Nella seconda sezione, si richiedeva un elaborato analitico dall’estensione prestabilita (minima 12000 battute, massima 20000 battute), in cui i membri del gruppo-test1 erano confrontati a domande esplicite:

1. Descriva dettagliatamente se e quando taluni tratti dell’ambientazione, o del comportamento dei personaggi, abbiano subito modifiche sostanziali all’aumentare (o diminuire) della spinta emotiva, della motivazione da parte sua a portare a compimento il gioco. In caso negativo, si limiti a elaborare sulla relazione sogno/realtà virtuale.
2. Descriva la verosimiglianza del gioco. Ci sono state sospensioni della credulità? Se sì, in che momento? In entrambi i casi, descriva la sensazione di essere dentro il gioco. Analizzi, inoltre, indipendentemente dall’esito del gioco, le sue reazioni appena dopo la fine del gioco: quale emozione/stato affettivo ha contraddistinto il passaggio dal gioco alla realtà? Nostalgia, paura/panico, rifiuto, rabbia/aggressività, altre?
3. Ha riscontrato reazioni fisiologiche significative al momento di staccare il visore? Vomito, diarrea, incontinenza, fame, sete, altre? (Nota 2: La tecnologia Kidnapping interagisce, per mezzo di stimoli elettrici localizzati, con determinati circuiti neuronali. Per maggiori dettagli, si rimanda alla sezione Caratteristiche tecniche. Per sua informazione, i test condotti sul gruppo-test0 hanno riportato esiti negativi in merito a reazioni o danni fisiologici in seguito all’utilizzo della tecnologia Kidnapping.  L’analisi degli effetti collaterali riscontrati in fase test0 è disponibile in nota 4)
4. Essere preda:
a)   Se non è riuscito/a a portare a compimento il gioco, analizzi l’insieme delle reazioni al fallimento. In che misura il desiderio di diventare lei stesso preda ha svolto, o non ha svolto, il ruolo di motore per superare le difficoltà insite alla riuscita del gioco? Per quale motivo, a suo avviso, ha fallito? Quali ostacoli le sono sembrati più insormontabili?
b) Se è riuscito/a a portare a compimento il gioco: in che misura il desiderio di diventare lei stesso preda ha svolto il ruolo di motore per superare le difficoltà insite nella riuscita del gioco? Descriva, inoltre, il suo stato d’animo al momento della resa degli altri predatori: cosa ha sentito quando ha realizzato che  sarebbe divenuto/a preda nel gioco successivo? (Nota: la cerimonia del trionfo del predatore è ancora in fase beta e potrebbe subire lievi modifiche; per questo motivo, il suo feedback al riguardo è specialmente prezioso).
5. Descriva la natura del desiderio che ha riscontrato nei confronti della preda. Venerazione, desiderio sessuale, amore filiale, odio, vergogna, ribrezzo, altro? In che misura le caratteristiche estetiche della preda hanno influito sulle sue scelte?
6. Confrontato all’attacco degli altri predatori, descriva la sua prima, istintiva reazione.
7. In relazione alle parole chiave in sezione 1. Le disponga in ordine crescente per rilevanza. Elabori inoltre sulla relazione (conflittuale? armoniosa?) tra le prime due parole chiave.

Anthony R. Shields non fu sorpreso dell’assenza di riferimenti, nel briefing, all’ondata di rapimenti seriali che negli ultimi mesi aveva coinvolto, in vari paesi, celebrità dello show-business, della ricerca scientifica, dell’attivismo civile. È la natura del marketing, si disse, lucrare sui cortocircuiti, sull’impasse dell’opinione pubblica[1].

Si forzò di cacciare via l’eloquenza oracolare di Hausman dalla sua testa — il suo marketing profetico interferiva coi processi cognitivi sui quali cercava, a fatica, di concentrarsi. Si costrinse a pensare alla particolare declinazione del tema del servo e del signore che il gioco offriva: l’idea della cura, della protezione o venerazione che il predatore offre alla preda al netto della violenza — meglio: inclusa la violenza, come un dono rituale del desiderio; l’idea che tale venerazione potesse trasformarsi in desiderio simbiotico di diventare preda, di ricevere le stesse cure, era, sotto ogni punto di vista, notevole, originale e probabilmente votata al successo commerciale. Si forzò di annotare a mano, seguendo le istruzioni della sezione 1, le parole chiave dell’esperienza per prima cosa. Lo stallo cognitivo che ne derivava lo riportò alle ultime immagini del gioco, quando si trovava a osservare, frustrato e spento nel desiderio, la sua preda oggetto di cure altrui. L’immagine del suo pene fluttuante, spumoso nell’acqua termale, lo convinse ad accogliere, infine, come una necessità fisiologica, l’idea che la sua curiosità analitica dovesse dirigersi altrove.

Fissava ora l’insieme fuga simbolica, le cui estremità, sul foglio, rimanevano vuote. Richiamò, nel ricordo, certe scene del gioco: l’esplosione, l’allargamento del bacino del desiderio nella grotta, le trame complesse e necessarie intrecciate con quel corpo di donna. Risalì, per quanto possibile, alle sorgenti dell’impulso — mai, si disse, un tale impeto nel mio corpo —: le radici degli alberi e l’acqua termale vettori di desiderio non meno che il corpo esperito, virtuale di lei.
Non riusciva, nonostante lo sforzo, a formalizzare il flusso associativo in figure concettuali. Una vaga frustrazione lo immobilizzava sulla sedia come un parassita dietro la schiena: temette di finire per mutilarsi pur di risolvere lo stallo. Di colpo, invece, in piena notte, si mise in piedi e si gettò per strada. L’indomani si sarebbe occupato di giustificare il bonifico di 10000 sterline che FAME gli avrebbe corrisposto consegnata la relazione. Il pensatore seduto alla scrivania, si disse mentre annusava l’aria della metropoli di notte, è l’immagine più equivoca che l’occidente tecnologico possa lasciare ai posteri.

Delle figure più nitide gli scorrevano davanti mentre si apriva il passo tra una folla ora meno numerosa, più ondivaga: le fondamenta biologiche dell’esperienza, la configurazione del cervello, i suoi limiti genetici — la fisiologia dell’estetica — da un lato; dall’altro, allo stesso tempo, il carattere plastico, cangiante, performativo dell’esperienza stessa. In questo circolo pensò ciò che, in un’occasione più formale, avrebbe potuto definire teorema della fuga simbolica: ogni sconfinamento nell’orizzonte della tecnica produce una dilatazione dei limiti pensati del mondo. Pensò anche, in termini quasi algebrici: pensiero ≈ desiderio.
Ricordò — capì — di non aver indugiato, nel gioco, con le mani o con la bocca sui genitali del corpo della preda nel bosco. Non si sorprese, mentre accelerava il passo in preda a un’improvvisa amplificazione del tono muscolare, di cercare d’istinto, con lo sguardo, gli occhi dei passanti che vagavano nella notte — i suoi occhi verdi come l’aurora nel bosco. Accolse, prima con dolore e come opponendo resistenza, poi con sollievo, a strattoni tra la moltitudine notturna, l’idea che il suo stesso desiderio fosse in fase di slittamento e mutazione proprio in quell’istante, sotto i suoi occhi. Mentre svoltava in un vicolo deserto — nel fondo si stagliava il letto del fiume, un’urgenza lo prese di gettarsi in quella pozza stagnante — gli riuscì di rappresentare una figura più precisa: lo spazio stesso come feticcio; non i genitali del corpo della preda nel bosco, non l’algoritmo della vagina e delle sue pareti succose, ma il buco, il buco in sé.


[1] Lo stesso Hausman, d’altra parte, aveva scritto pochi giorni prima in un editoriale: “Ore dopo la scomparsa di due icone del cinema, Twitter è stato inondato dall’hashtag #TakeUsNotThem. Them è la chiave, ed è una proiezione: i famosi sono icone, vita sublimata, pura materia psichica e come tali non possono essere eliminati senza generare un cortocircuito nella macchina pensante della moltitudine”.

In copertina: Francesco Clemente, Partenza dell’argonauta (1986)