Quando perdi la testa per lei e lei ti rifiuta ma tu hai già perso la testa e una serie di spiacevoli eventi si susseguono e deposta ogni speranza hai già pregato al più divino degli dèi cui ogni tanto decidi di credere che non si sa mai dio esista in quel momento preciso magari pensa proprio a te e invece no, lui non ti degna manco di un sussulto biblico, allora tu che sei ancora vivo con la morte nell’anima e un velo sul volto che pari il cristo di sanmartino senza quell’aura di miracoloso e quella bellezza marmorea così insopportabilmente perfetta ma sei solo tu, pallido, con la lacrima sul viso pronta a rigarti la pelle a scivolare sotto la maglietta delle peggiori occasioni e lenta a fermarsi proprio sull’organo più esposto in occasioni siffatte, e, come se non bastasse, con un senso di insignificanza rispetto alle cose che i peggio pessimisti barbuti del pensiero filosofico mondiale stanno lì a lanciarti gli aeroplanini di carta ma tu sopporti tutto che tanto peggio di così… tu, dunque, ti ritrovi al cospetto di tre scelte:

1. whiskey giallognolo del discount che mezza bottiglia sotto l’effetto di ripetute martellate sul cranio e quasi cecità e noluntas e inesorabili valzer degli addii a ronzarti nelle orecchie capisci che al peggio del peggio manco c’è di peggio ma di più;
2. un kit di droghe abbastanza pesanti che ben mischiate in Gonzo-style pur scelti luoghi adatti ariosi spaziosi senza cagacazzi ma col solo santone che veglia affinché l’anima non trasmigri altrove si finisce a sussurrare ai cavalli all’ippodromo di agnano;
3. il suicidio.

Dario Esposito, anni 32, reo di aver fatto del male e deluso e incazzare come una bestia per mezzo di infelicissimi inopportuni giudizi pronunziati in stile oratorio attico Artemisia Banti, anni 26, causa rifiuto ricevuto, di grazia, in una serata caldo termosifone, consapevole che il tempo sulla terra fila dritto e che certi orrori commessi di quasi vilipendio non possono evaporare e che un rifiuto lavato col sangue rende tutto così, come dire, disdicevole per persona di comprovati intelletto e sensibilità tanto che l’ultimo reietto sulla strada ti guarda e ti dice “da te non voglio niente” e infatti non c’hai niente hai perso tutto e delle tre scegli
“quasi quasi, meglio il punto 3”,

Dario Esposito desto da notte di fantasmi per melodramma vissuto ingurgitato non digerito in cui vide Artemisia Banti allontanarsi ancora da lui, sicché dal reale al sogno, ne deduce, il risultato non muta e tutto ciò è, come dire, sin troppo triste per chi semplicemente e divinamente ha amato e vittima di eroico furore si è lasciato andare a se stesso fino a gettar ombra sulla luce dei suoi occhi e tanto e tanto e tanto pathos non renderebbe l’idea di una scena madre lunga ben due ore di batti e ribatti e scambio di non complimenti e di ottenuta cancellazione agli occhi dell’altra,

(Artemisia Banti è niña santa e bellezza e tutto quanto il poeta cerca in una musa per produrre canti bellissimi e sensuali e tutto quanto l’amante cerca in un un’amata per perpetuare il canto del cigno fino alla fine del proprio tempo)

Dario Esposito si recò presso la stazione della periferia molto underground in cui viveva, guardò sfilare 3 treni a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro dopodiché prese il coltellino e effettuò tagli perpendicolari ai polsi e sedutosi dietro la struttura cadente e desolata della stazione con odor di piscio nell’aere guardò la pelle piagnucolare sangue finché le palpebre si abbassarono.

*****

Aprì gli occhi, Dario Esposito, e si scoprì su una pianura verdeggiante ma proprio verde forte da cartina geografica e lui detestava la geografia ma si ritrovava come su un luogo disegnato seppur bene bene e uno a tonalità calda e serena ovvero rassicurante gli disse

«Io son Nicolaic, te stai all’inferno con Paolo e Francesca».
«Checcazz’!»

Paolo e Francesca erano vestiti in un modo inusuale a dir poco che faceva rinascimento da fiera del paese e camminavano mano nella mano e occhi negli occhi e ogni tanto vorticavano e poi tornavano a terra e Dario si accorse che vorticavano appena si baciavano,
“ma guarda un po’ se dopo il palo che ho preso [per palo si intende rifiuto, ndr] devo stare qui in questa pianura da atlante geografico deagostini con questi due qui amanti così fusi da non accorgersi nemmeno di stare all’inferno. Mah”.

Dario Esposito intraprese immantinente la ricerca dell’uomo toscano che gli aveva ordinato di condividere la vita nuova con Paolo e Francesca, era incazzato come una iena avrebbe detto M. che l’aveva amato in altri tempi e poi l’aveva abbandonato ma lui era sopravvissuto senza dover ricorrere ai tre punti di cui sopra perché a volte si sopravvive e a volte no. Con Artemisia Banti evidentemente no. Aveva realmente visto il paradiso alle porte prima che il castello di carte francesi crollasse dopo tanti insistiti soffi ed era sin troppo giusto, coerente, maledettamente perfetto, che invece ora si trovasse all’inferno nel cerchio dell’amore con Paolo e Francesca a sbaciucchiarsi e vorticare e lui tutto solo a rimuginare a quanto poteva essere e non è stato a sentirsi Paolo senza Francesca e checcazz’. Dicesi contrappasso in quanto suicida per perduto amore.

«Ehi, Nicolaic! Toscanaccio, dove cazzo sei?!»

Urlava Dario Esposito ormai giunto nella selva oscura proprio lui che senso dell’orientamento zero e odio profondo verso la commedia divina del più grande genio letterario della storia del mondo studiata fino all’esaurimento e alla dimenticanza e al disprezzo e alla bestemmia.

«Ascoltami, Dario, dolce fanciullo, qui non è il posto tuo, io t’avevo messo nel cerchio dell’amore e te che sei un romantico dovresti apprezzare la gentilezza mia».

Era spuntato da una frasca, il toscano, con un balzo da lepre che Dario Esposito per la prima volta all’inferno si era spaventato.

«Nicolaic carissimo, non puoi farmi questo! Io mi sono tagliato proprio perché l’amore mi ha squarciato dentro, e tu capisci che non c’è di peggio che il tuo cazzo di cerchio dell’amore!»
«Dario bello, ascoltami, te sei un caro e amabile ragazzo, ma capisci da solo che qui sei all’inferno, io più di questo non posso fare».
«Oh Nicolaic, maledetto toscano, io qui rischio di morirci, dovresti capirlo, e un minimo di pietà, su!»
«Bene caro, mi sembra un buon inizio. Ora ti consiglio d’andare da Paolo e Francesca e di cercare di fare amicizia con loro che son tanto belli e cari».
«Vaffanculo Nicolaic!»

E Dario Esposito corse folle nella selva oscura e più correva e più la selva era oscura e poi la selva si fece meno oscura causa luce incombente e d’un tratto cessò e iniziò il deserto.
Il deserto se uno ci pensa è la cosa peggiore che si possa vivere. Tutto giallo e tutto arido e uno si immagina un caldo atroce e acqua manco a pagarla con banconote carta di credito ecc. degne di spesa a via monte napoleone e più di tutto è il caldo che a Dario Esposito metteva paura perché lui soffre il caldo in modo spropositato e allora l’inferno per autoevidenza non era mondo adatto a lui. Si spogliò di felpa adidas d’ordinanza e rimase con t-shirt sempre strisciata e la fronte si imperlava di sudore e l’asma maledettissima che lo seguiva anche all’inferno causa sabbia iniziò a prendergli la gola.
“Forse è meglio che torni indietro, checcazz!’” pensò lo sventurato.
«Nicolaic! Nicolaic dove cazzo sei e soprattutto io dove cazzo sonooooo!?»

Nessuna risposta, tutto intorno deserto desolato deserto. Dario Esposito camminava e sudava e le scarpe affondavano e la stanchezza lo possedeva poco alla volta. Poi crollò sulle ginocchia e schiantò la faccia sulla sabbia.
Mani nei capelli qualcuno tirò la testa di Dario Esposito dalla sabbia e Dario Esposito lo identificò come un beduino, scuro di pelle e ricoperto di manti bianchi fino alla testa e scimitarra sul fianco.
«Te che ci fai qua?»
«Ma non lo so, Nicolaic mi aveva piazzato nel cerchio dell’amore e sono scappato, dove cazzo sono?»
«Te non dici brutte parole, capito straniero? Bevi ».
Dario Esposito bevve dalla borraccia.
«Ma è vino! Da te proprio non me l’aspettavo!»
«Te innanzitutto non mi dai del tu, e poi t’aggiorni che già devo tagliarti la testa».
«A me? E che ho fatto?»
«Te, sciocco eretico, hai lanciato accuse ingiuste d’intolleranza verso la niña santa, e io ora dovrei tagliarti la testa con questa scimitarra qui».
«Ma è lei che ha detto cose che…»
«Io tutto so, straniero. Ella espose sottili indagini sociologiche. Capisci di sociologia, te?»
«No.»
«E allora devi morire!»

Il beduino brandì la scimitarra e fissò Dario Esposito con occhi furiosi da eccitatissimo boia e Dario Esposito abbassò la testa come un cane colpevole mostrando il collo nudo e pronto al colpo e poi alzò la testa compassionevole con sabbia attaccata alle lacrime verso il beduino che stava ancora con questa scimitarra in alto brillante alla luce del sole finché Dario Esposito non vide la punta di una freccia uscire dal petto di quello e poi sangue e insomma era salvo. Si alzò e scappò immaginando frecce scoccare da ogni dove che manco braveheart.
Corse di nuovo pazzo di paura nel deserto fino a trovarsi sulla strada. Ma proprio una strada di cemento con strisce e automobili come tutte le strade che si rispettino. La attraversò per andare oltre, verso la terra che c’era dopo.

«Ehi, te! Fermo!»
“Oddio, le guardie, nooooooo”.

Dario Esposito come sempre quando si trattava di guardie andò nel panico e si fermò immediatamente anzi si immobilizzò sulla strada a rischio di essere messo sotto da un’auto.

«Ehi, te! Vien fuori dalla strada, subito!»

Dario Esposito fece dei passi indietro, direzione ciglio della strada.
Erano due guardie identiche. Gemelli.

«Patente e libretto».
«Ma sto a piedi».
«Te non fai l’impertinente, capito, che già sei nella merda».
«Io nella merda? Ma che ho fatto?»

Le due guardie gemelle si alternavano si davano pacche sulle spalle. Avevano facce e modi da cinema muto.

«Te hai contraddetto la niña santa dicendo cose su di noi da comunistello, e noi che siamo amici della niña santa dobbiamo fartela pagare, vero collega?»
«A esser vero l’è vero, a rigor di logica costui la deve pagare, la niña santa è amica troppo cara e noi agli amici vogliamo troppo bene, vero collega?»
«L’è vero, collega. Il comunistello qui c’ha la lingua lunga e tagliente e chi parla troppo è spirito errante per definizione, vero collega?»
«A esser vero l’è vero…»
«No, dai, lasciatemi andare. Io non ho fatto niente!»
«Te da qui non ti muovi. Ora ti ammanettiamo e ti spariamo, vero collega?»
«A esser vero l’è vero, la niña santa nostra cara amica non ha propriamente apprezzato certe accuse e allora noi ora ti ammanettiamo e ti spariamo, vero collega?»
«Uh, addiritturaaaa?»

Le guardie ammanettarono Dario Esposito e poggiarono la punta delle rispettive pistole sulle tempie di Dario Esposito e Dario Esposito tenne gli occhi chiusi e pianse e pianse e lacrime di coccodrillo sprizzarono dai pur serrati occhi bagnando tutto intorno anche le facce quadrate delle guardie e mai inferno fu per lui più infero, infero ma giusto. Poi però sentì le tempie libere dalle punte gelide delle pistole. Aprì gli occhi. Le guardie erano a terra, entrambe colpite al petto da frecce. La paura gli diede una scarica potente e ancora corse e attraversò la strada poi la terra poi il bosco e si unirono a lui gli aironi poi la terra poi la sabbia poi il mare nuotò e il mare era un lago con un’isola vulcanica e qui calpestò la terra calda e scura mentre dal vulcano che era l’isola uscivano lava e fumi e lapilli e lui non era solo ma intorno a lui una schiera di aironi. Un urlo e la terra si mosse.

«Tuuuuuuuuu!»
«Ah, finalmente uno che non è toscano!» (gli aironi ridono con la “a”)
«Tuuuuuuuuuuuuuuuuu!»
«Sì, io proprio» (gli aironi ridono con la “i”)

Era il vulcano a parlare, tremando.
Dario Esposito non era stupito. Aveva visto abbastanza e si aspettava la consueta condanna a morte, arreso.

«Tu sai dove seiiii».
«Sì, lo so».
«Tu non sai perché seiiii».
«Sì, lo so. Suicidio» (gli aironi ridono con la “u”)
«Tuuuuuuu, non haiiiiiii, capitooooo, uuuuuuun, cazzooooooo».
«Eh?» (gli aironi: muti)

Il vulcano mutò tono e si diede a spiegazioni.

«Ti aggiorno, fanciullino. Il suicidio da tempo non è più peccato degno di inferno, altrimenti qui saremmo pieni di povera gente e di punire la povera gente non ci fa piacere».
«Ah…»
«Tu sei qui per esclusivo e assoluto volere della niña santa narcisista da te definita».
«…»
«Tu capisci di psicologia?»
«Mmmmm, no».
«Ecco».

Dario Esposito cominciò a singhiozzare. Conati di lacrime e disperazione risuonarono nell’aere e gli aironi si sa come sono non ce la fecero a stare muti e dolenti anche loro piansero, ma di un pianto di tale e tanta tristezza che chiunque avrebbe voluto al peggio un deus ex machina dall’alto per porre fine al tutto con una rivelazione divina definitiva, un banale prevedibile solitamente sconsigliato deus ex machina. Ma il deus mancò. Il sole calò e il pianto disperato panteistico di Dario Esposito e degli aironi proseguì. La luna fissò lo spettacolo come un sorriso nella notte, le stelle caddero una a una perché evidentemente non sopportavano tutto ciò nemmeno dai più impervi luoghi dell’infinito universo, il vulcano continuò a rilasciare fiumi di lava che tanto esso aveva detto tutto quello che c’era da dire e ora si faceva i cazzi suoi. Dario Esposito pianse e si addormentò, sulla terra nera bollente tremebonda.

Dario Esposito a un certo punto si svegliò.
Era corpo a terra su un marciapiede sotto un palazzo a lui familiare. Sorrise. Varcò la soglia del portone e un miagolio attirò la sua attenzione: il gatto e l’ascensore.

«Se vabbe’, io non prendo mai l’ascensore e tu gatto sai perché».

Salì le scale correndo, euforico. Le scale non finivano mai. I piani senza porte si susseguivano che non si contavano. Poi finalmente un piano con una porta. La sua. Bussò. Aprì lei. Lungo abito bianco. Aureola dorata a pochi centimetri dalla nuca di fluenti lunghissimi capelli. La niña santa. Lo guardava dall’alto della sua santità, austera e con una punta di compassione. Poi accennò un sorriso, e si vedevano adorabili fossetta e neo sul mento che Dario Esposito avrebbe allungato il braccio e toccato e si sarebbe sentito unto dal signore e invece no, non era certo il momento per certe gesta profane.

«Ciao, Artemisia, scusaaaaaaa».

La niña santa si rabbuiò e tutto, intorno, si rabbuiò.
“Oh, cazzo, ora chissà, checcazz’”.
Frattanto ella sollevò un braccio e sferrò un ceffone che avrebbe abbattuto un orso bruno dell’Oregon figurarsi Dario Esposito, anni 32, reo di aver fatto del male e deluso e incazzare come una bestia per mezzo di infelicissimi inopportuni giudizi pronunziati in stile oratorio attico Artemisia Banti, anni 26, causa rifiuto ricevuto, di grazia, in una serata caldo termosifone.

In copertina: Claude Nori, Stromboli, 1991: http://www.editions-contrejour.com/p-35-stromboli.html.