“Questo è il luogo, Fharidi. Il silenzio, il luogo eletto.”
“Misura le parole, Quijano!”
Il terreno pesante, l’aria gelida. La neve si deposita ai lati, i confini del campo non esistono.
La palla-parola circola viscida, gli uni studiano gli altri, scivolano. Omero torvo in panchina s’infiamma con gli occhi.

Il pubblico sbraita, insulta, sputa. Harold Bloom fischia per un fallo lanciato dagli spalti al centro del campo. Prende nota, lo occulta nelle mutande.
“Sono lenti, riflettono. Si scivola, Fahridi. Non c’è sbocco”.
Nietzsche saltella da solo, grida incitando i suoi.
“Eppure guarda…” lo sguardo di Fharidi ricade su Socrate. Rimbaud avanza vocali al piede, si ferma, canticchia. Socrate gli si fa incontro a piedi nudi, da dietro. Gli accarezza le cosce. Il pisellino biondo di quello col freddo scompare.
“È un pompino!”
“Quijano dove hai lasciato Aristofane?”
È un pompino. Pasolini accorre in scivolata a guardare, mentre Sade con la lingua alliscia i piedi sporchi di Socrate.
“Ancora un trio”.
“Lo spirito del presidente defunto aleggia su tutti.”

Poi è Joyce che si incunea e ci prova. Irrompe, srotola il bandolo davanti a sè. La parola s’incarta tra i piedi, insegue se stessa. Lancia da destra, profondo. Platini con il tacco la gira nel centro. Hemingway emerge e la sputa dentro. Uno a zero.
“Catenaccio e pompini, Quijano. C’è qualcosa di nuovo?”
Il cazzetto di Arturo risuscita dal bozzolo “tenero come un pisello”. Schiller salta e grida, scivola. Batte la testa e si rialza. Sartre abbraccia Socrate e Arturo gli vomita addosso.
Omero sguaina la spada, Nietzsche capisce e spinge alla carica. Richiama Pasolini nel centro, attonito, lo spinge in porta. Il baffo al vento, pare gridare “qua imposto io”.
Diego capisce e fa qualche passo verso Mozart, gli indica la fascia, l’apertura, la festa che si preannuncia.
“Sono partiti forte, cazzo. Rimbaud è stato proprio catturato dall’aspirazione poetica.” Se la ride Quijano.
Riposa invece la ruga dietro l’occhio di Fharidi, che si rilascia sulla sedia, si accende l’ennesima sigaretta. “Guarda Omero, m’arrizza!” dice, prima che si raddrizzi, riprenda tono.
Il Milesio siede con due spade tra le gambe, l’occhio ancora più torvo, eccitato per dover recuperare lo svantaggio. Allora, doppiamente armato, scoppia fragoroso il suo riso ispirato. Si guarda le mani e ammicca.
“Or ora si apron le danze.”

***

Poco prima:

Scontro al vertice 1